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Consiglio di Stato, Sez. III, 22 novembre 2016, sentenza n. 4902 - Il principio enunciato dalla Corte di Giustizia con la sentenza 11 dicembre 2014 , C-113/13 secondo cui è legittimo l’affidamento diretto e prioritario, senza ricorrere ad una gara ad evidenza pubblica, del servizio di trasporto sanitario di urgenza ed emergenza alle associazioni di volontariato è applicabile anche al trasporto sanitario ordinario in quanto obbedisce alle medesime esigenze di tutela della salute della collettività.   Tar Piemonte, Sez. I, 26 maggio 2016, decreto n. 193 – la mancata riassunzione entro 90 giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee nell’incidentale giudizio Comunitario comporta l’estinzione del processo - La Corte di Giustizia con sentenza del 28 gennaio 2016 relatica alla causa C-50/2014 ha stabilito che le disposizioni comunitarie in materia di evideza pubblica e di concorrenza sul mercato non ostano a una normativa nazionale, che consente alle autorità locali di attribuire la fornitura di servizi di trasporto sanitario mediante affidamento diretto, in assenza di qualsiasi forma di pubblicità, ad associazioni di volontariato - il diritto dell’Unione non incide sulla competenza di cui dispongono gli Stati membri per configurare i loro sistemi di sanità pubblica e previdenziali - l’obiettivo di mantenere, per ragioni di sanità pubblica, un servizio medico e ospedaliero equilibrato e accessibile a tutti può rientrare parimenti in una delle deroghe giustificate da motivi di sanità pubblica, se un siffatto obiettivo contribuisce al conseguimento di un livello elevato di tutela della salute - la mancanza di obblighi di pubblicità implica che le autorità pubbliche che ricorrono ad associazioni di volontariato non siano tenute, ai sensi del diritto dell’Unione, a procedere a una comparazione tra gli organismi di volontariato.   Consiglio di Stato, Sez. III, ordinanza 6 aprile 2016, n. 1161 Il Consiglio di Stato nel respingere l'istanza cautelare di parte appellante ha dato atto dei principi statuiti dalla Corte di Giustizia nelle cause C-113/13 e C-50/14 sulla compatibilità della normativa interna che consente l’affidamento senza gara del trasporto sanitario con la normativa comunitaria - la Terza Sezione ha affermato che non appare evidente la sussistenza in capo all’appellante dell’interesse concreto ed attuale alla sospensione degli effetti della sentenza, in quanto l’appellante ha azionato un interesse pretensivo alla futura indizione di una gara per l’affidamento del servizio, cui essere ammessa a partecipare, mentre dalla invocata sospensione della sentenza non trarrebbe alcun beneficio diretto ed immediato con riguardo ai servizi in corso di esecuzione - Il Consiglio di stato ha, infine, affermato che nel bilanciamento dei contrapposti interessi appare prevalente quello della Regione a realizzare la gestione del servizio nel rispetto dei principi di economicità e di solidarietà   Consiglio di Stato, Sez. III, ordinanza 27 febbraio 2013, n. 1195. Quanto più si riconosce che le associazioni di volontariato (più in generale i soggetti no profit) possono oggi partecipare alle gare di appalto in condizioni di apparente parità con gli altri operatori, tanto meno si giustificano oramai le disposizioni di legge che autorizza(vano) la stipula di convenzioni “dirette” con le amministrazioni pubbliche per lo svolgimento di servizi, al di fuori di un confronto concorrenziale. “Dica la Corte di Giustizia se gli articoli 49, 56, 105 e 106 del TFUE ostano ad una norma interna che prevede che il trasporto sanitario sia affidato in via prioritaria alle associazioni di volontariato, Croce Rossa Italiana ed alle altre istituzioni o enti pubblici autorizzati, per quanto sulla base di convenzioni che stabiliscano l’esclusiva erogazione dei rimborsi delle spese effettivamente sostenute”. “Dica la Corte di Giustizia se il diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici – nel caso in esame, trattandosi di contratti esclusi, i principi generali di libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità – osti ad una normativa nazionale che permetta l’affidamento diretto del servizio di trasporto sanitario, dovendo qualificarsi come oneroso un accordo quadro, quale quello qui in contestazione, che preveda il rimborso anche di costi fissi e durevoli nel tempo” Corte di Giustizia, Sez. V, Sentenza 28 gennaio 2016 - gli articoli 49 TFUE e 56TFUE devono essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa nazionale che consente alle autorità locali di attribuire la fornitura di servizi di trasporto sanitario mediante affidamento diretto, in assenza di qualsiasi forma di pubblicità, ad associazioni di volontariato, purché il contesto normativo e convenzionale in cui si svolge l’attività delle associazioni in parola contribuisca effettivamente a una finalità sociale e al perseguimento degli obiettivi di solidarietà ed efficienza di bilancio - qualora uno Stato membro consenta alle autorità pubbliche di ricorrere direttamente ad associazioni di volontariato per lo svolgimento di determinati compiti, un’autorità pubblica che intenda stipulare convenzioni con associazioni siffatte non è tenuta, ai sensi del diritto dell’Unione, a una previa comparazione delle proposte di varie associazioni - qualora uno Stato membro, che consente alle autorità pubbliche di ricorrere direttamente ad associazioni di volontariato per lo svolgimento di determinati compiti, autorizzi dette associazioni a esercitare determinate attività commerciali, spetta a tale Stato membro fissare i limiti entro i quali le suddette attività possono essere svolte

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E' stato pubblicato in G.U. n. 308 del 12.12.2020 il d.m. 1° ottobre 2020, n. 163 recante "Regolamento concernente modifiche al decreto del Ministro della giustizia 12 agosto 2015, n. 144, recante disposizioni per il conseguimento e il mantenimento del titolo di avvocato specialista, ai sensi dell'articolo 9 della legge 31 dicembre 2012, n. 247" con il quale sono introdotte modifiche all'attuale regolamento con particolare riguardo ai settori di specializzazione e alle modalità di conseguimento del titolo.   TAR CAMPANIA , NAPOLI,  SEZ. VIII,  1/ 10/ 2020 Viene impugnato dal ricorrente l’annullamento della prova scritta per l’esame di abilitazione all’esercizio della professione di avvocato. La motivazione di tale determinazione  sarebbe stata la parziale identicità della prova del ricorrente a quella di un altro candidato. Vengono presentati dal suddetto candidato  quattro motivi per il ricorso. Con il primo viene dedotta l’erronea valutazione per la violazione dei criteri. Infatti non sarebbe stata effettuata alcuna attività istruttoria per l’individuazione dell’effettivo colpevole. per mezzo del  secondo è stata evidenziata la parziale identicità della prova relativamente al parere di diritto penale dell’altro candidato al quale è stata annullata la prova per identicità del parere di diritto civile di un terzo . Il terzo motivo ha dedotto il difetto di motivazione essendo apparentemente non adeguatamente identificate le parti del compito simili. Il quarto e ultimo motivo viene dedotto che una certa identicità delle prove non basti a dimostrare il difetto di originalità delle prove essendo i libri di testo utilizzati i medesimi. La sentenza in commento richiama in primo luogo la  giurisprudenza secondo cui  l’originalità della prova è fattore indicativo del grado di maturità e di preparazione  del candidato. Viene pertanto considerando pienamente conforme al canone dell’imparzialità ex art. 97 COST. l’operato della commissione che annulli le prove risultate per lo più identiche confermando l’esigenza che vengano ammessi candidati sufficientemente preparati.  Non occorreva dunque , svolgere alcuna indagine per verificare chi fosse l’autore del plagio, poiché una volta verificata senza ombra di dubbio l’identità tra le prove di due candidati , ne conseguiva necessariamente l’annullamento dei compiti di entrambi, dovendosi considerare l’elaborato del candidato inutilizzabile ai fini dell’esame , non fornendo contezza della sua preparazione e delle sue capacità.     - la previsione dell'art,. 6, comma 4 in forza della quale "nel caso di domanda fondata sulla comprovata esperienza il Consiglio nazionale forense convoca l'istante per sottoporlo ad un colloquio sulle materie comprese nel settore di specializzazione" appare illegittima poiché "il colloquio, come delineato dalla disposizione regolamentare impugnata, ha contorni vaghi e imprecisi, sicché non ne risulta sufficientemente tutelato né l‘interesse del professionista aspirante al titolo, né, per altro verso, l’interesse del consumatore-cliente, che nella speciale qualificazione attestata dal titolo deve poter riporre un ragionevole affidamento"; - irragionevolezza delle 18 materie di specializzazione individuate "alla luce della acclarata irragionevolezza della suddivisione relativa che individua ambiti contermini e settori affini, tanto da far apparire egualmente irragionevole la limitazione impugnata. E’ evidente che rivisitazione dell’elenco e individuazione di un limite ragionevole e congruo dovranno andare di pari passo" e prima ancora "Per l’impossibilità di ricostruire il criterio ordinatore dei settori di specializzazione contenuti nel regolamento, tale giudizio negativo implica un profondo ripensamento della disciplina introdotta con l’adozione di parametri che siano il frutto di una scelta di merito, ma che devono rispettare i criteri di effettività, congruità e ragionevolezza; né tale articolazione"; - è illegittima l'introduzione del nuovo illecito disciplinare di cui all'art. 2, comma 3 "Commette illecito disciplinare l'avvocato che spende il titolo di specialista senza averlo conseguito", poiché "la norma regolamentare è illegittima se vuole ampliare l’ambito delle fattispecie rilevanti, superflua e illogica se non perplessa, e dunque parimenti da annullare, se intende riportarsi alle previsioni del codice deontologico specificandole".     Il T.A.R. Lazio, sez. I, 14 aprile 2016, nn. 4424, 4426, 4227 e 4228 annulla in parte qua, limitatamente agli artt. 3, comma 1, lett. a-t e art. 6, comma 4, il d.m. 12.08.2015, n. 144 "Regolamento recante disposizioni per il conseguimento e il mantenimento del titolo di avvocato specialista, a norma dell'articolo 9 della legge 31 dicembre 2012, n. 247" sostanzialmente per soltanto due tra i numerosi profili di carattere sostanziali che erano stati dedotti dalle parti ricorrenti ossia: - irragionevolezza dell'elenco delle materie risultando sconosciuto il criterio utilizzato per la scelta delle 18 materie; - iragionevolezza della norma per non aver individuato il contenuto del colloquio occorrente per il colloquio delle domande fondate sull'esperienza professionale;     Con il d.m. Giustizia 25.02.2016, n. 47 recante "Regolamento recante disposizioni  per  l'accertamento  dell'esercizio della professione forense" in G.U. n. 81 del 7.4.2016, stabilisce ai sensi dell'art. 1, comma 3,  e  21,  comma  1,  della  legge  31 dicembre 2012, n. 247 i requisiti occorrenti per poter continuare ad esercitare la professione di avvocato. Tali requisiti sono:       a) e' titolare di una partita  IVA  attiva  o  fa  parte  di  una societa' o associazione professionale che sia titolare di partita IVA attiva;      b) ha l'uso di locali e di almeno un'utenza telefonica  destinati allo svolgimento dell'attivita' professionale, anche in  associazione professionale, societa' professionale o in associazione di studio con altri colleghi o anche presso altro avvocato ovvero  in  condivisione con altri avvocati;      c) ha trattato almeno cinque affari per ciascun  anno,  anche  se l'incarico professionale e' stato conferito da altro professionista;      d) e' titolare di un indirizzo di posta elettronica  certificata, comunicato al consiglio dell'Ordine;      e) ha assolto l'obbligo di aggiornamento professionale secondo le modalita' e le condizioni stabilite dal Consiglio nazionale forense;      f) ha  in  corso  una  polizza  assicurativa  a  copertura  dellaresponsabilita' civile derivante dall'esercizio della professione Quest'ultimo requisito ad oggi non è obbligatorio fino a quando non sarà il regolamento che dovrà stabilire le caratteristiche della polizza assicurativa. I requisiti sono dichiarati tramite autocertificazione. Ai fini dell'attuazione del regolamento occorrerà attendere tuttavia il decreto del Ministero della giustizia,  da  adottarsi  entro sei mesi  dall'entrata  in  vigore  del  presente  regolamento,  con il quale saranno stabilite le modalita' con cui ciascuno  degli  ordini  circondariali individua, con sistemi automatici, le  dichiarazioni  sostitutive  dasottoporre annualmente a controllo a campione, a norma  dell'articolo 71 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre  2000,  n. 445   In G.U. n. 214 del 15.9.2015 il d.m. Giustizia 12.8.2015, n. 144 recante "Regolamento recante disposizioni per il conseguimento e il mantenimento del titolo di avvocato specialista, a norma dell'articolo 9 della legge 31 dicembre 2012, n. 247" con il quale si stabiliscono le regole in forza delle quali gli esercenti la professione di avvocato potranno utilizzare il titolo di specialista e con il quale sono altresì individuati tutti i possibili settori di specializzazione: a) diritto delle relazioni familiari, delle persone e dei minori;b) diritto agrario;c) diritti reali, di proprieta', delle locazioni e del condominio;d) diritto dell'ambiente;e) diritto industriale e delle proprieta' intellettuali;f) diritto commerciale, della concorrenza e societario;g) diritto successorio;h) diritto dell'esecuzione forzata;i) diritto fallimentare e delle procedure concorsuali;l) diritto bancario e finanziario;m) diritto tributario, fiscale e doganale;n) diritto della navigazione e dei trasporti;o) diritto del lavoro, sindacale, della previdenza edell'assistenza sociale;p) diritto dell'Unione europea;q) diritto internazionale;r) diritto penale;s) diritto amministrativo;t) diritto dell'informatica

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E' stato pubblicato in G.U.U.E. 20.10.2020 serie L347/1il regolamento 2020/1503 del Parlamento e del Consiglio Europeo del 7 ottobre 2020 relativo ai fornitori europei di servizi di crowdfunding per le imprese, e che modifica il regolamento (UE) 2017/1129 e la direttiva (UE) 2019/1937. Il termine di recepimento è fissato al 10 novembre 2021.     In G.U. n. 294 del 19.12.2018 è stato pubblicato il Provvedimento della Banca D'Italia 5 dicembre 2018 recante modifiche alle disposizioni in materia di trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari - correttezza delle relazioni tra gli intermediari ed i clienti.     Con G.U. n. 10 del 13.01.2018 è stato pubblicato il d.lgs. 15 dicembre 2017, n. 178 recante “Recepimento della direttiva (UE) 2015/2366  relativa  ai  servizi  di pagamento nel mercato interno, che modifica le direttive  2002/65/CE, 2009/110/CE e 2013/36/UE e il regolamento (UE) n. 1093/2010, e abroga la  direttiva  2007/64/CE,  nonche'  adeguamento  delle  disposizioni interne al regolamento (UE) n.  751/2015  relativo  alle  commissioni interbancarie  sulle  operazioni  di  pagamento  basate   su   carta”. Ecco le principali novità: a) viene ridefinita la “succursale” (lett. e TUB )e vengono introdotte le nuove definizione di “servizi di pagamento” (lett. h-septies.1) e di “punto di contatto centrale” (lett. h-novies) ossia “il soggetto o  la  struttura  designato dalle banche, dagli istituti di moneta elettronica o  dagli  istituti di pagamento comunitari che operano sul territorio  della  Repubblica in regime di diritto di stabilimento, senza succursale,  tramite  gli agenti di cui all'articolo 128-quater” (art. 1, comma 1); b) viene introdotto l’art. 114-bis.1 al TUB riguardante la distribuzione della moneta elettronica, statuendosi che le banche e gli istituti di  moneta  elettronica  possono  avvalersi  di soggetti convenzionati che agiscano in loro nome per la distribuzione e il rimborso della moneta elettronica. Inoltre, le  banche  aventi  sede  legale  in  uno  Stato  terzo  possono avvalersi  di  soggetti  convenzionati  per  la  distribuzione  e  il rimborso  della  moneta  elettronica  in  Italia,  a  condizione  che stabiliscano una succursale, autorizzata dalla Banca d'Italia (art. 1, comma 2); c) a questo riguardo all’art. 128-decies TUB, con l’introduzione del comma 2-bis, si prevede ora che le banche, gli istituti di pagamento e gli istituti di moneta elettronica comunitari che prestano, in regime di  diritto  di stabilimento senza succursale, servizi di  pagamento  nel  territorio della Repubblica per il tramite  degli  agenti  di  cui  all'articolo 128-quater, designano in Italia un punto  di  contatto  centrale  nei casi e per l'esercizio delle funzioni previsti dalle  norme  tecniche di  regolamentazione  emanate  dalla  Commissione  europea  ai  sensi dell'articolo 29, paragrafo 7, della direttiva 2366/2015/UE,  secondo le disposizioni  dettate  dalla  Banca  d'Italia (art. 1, comma 21); d) sempre in merito agli istituti di moneta elettronica si stabilisce che gli istituti di moneta elettronica con sede legale in  uno Stato  terzo  possono  operare  nel  territorio  della  Repubblica  a condizione che stabiliscano  una  succursale  in  Italia  autorizzata dalla Banca d'Italia. L'autorizzazione e' rilasciata, sentito il Ministero degli affari esteri, tenendo anche conto della condizione di reciprocita' (art. 1, comma 4); e) la  Banca  d'Italia  iscrive  in   un   apposito   albo, consultabile  pubblicamente,  accessibile  sul   sito   internet   ed aggiornato periodicamente, gli istituti di pagamento  autorizzati  in Italia,  con  indicazione  della  tipologia  di  servizi   che   sono autorizzati a prestare e i relativi agenti; sono iscritte altresi' le succursali di istituti di pagamento italiani stabilite in  uno  Stato comunitario diverso dall'Italia. Per  i  prestatori  dei  servizi  di disposizione di ordini di pagamento,  l'albo  riporta  anche  i  dati identificativi della polizza assicurativa o della analoga garanzia (art. 1, comma 6); f) viene introdotta la figura dei prestatori del servizio di informazione sui conti all’art. 114-septiesdecies TUB (art. 1, comma 13). Si veda anche ora la lett. b-ter), comma 1 d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 11; g) viene introdotto anche l’art. 114-octiesdecies TUB nel quale si stabilisce che le banche possono negare o revocare l'apertura di conti di pagamento in caso  di  contrasto  con obiettivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza  individuati  ai sensi dell'articolo 126 o qualora ricorrano altri giustificati motivi ostativi in base  alle  disposizioni  in  materia  di  contrasto  del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo. In tal caso le banche  notificano  immediatamente  alla  Banca  d'Italia  il rifiuto dell'apertura di un conto di pagamento o la  sua  revoca.  La notifica contiene tutte le necessarie e adeguate motivazioni relative alla chiusura o revoca del conto  di  pagamento (art. 1, comma 13); h) viene modificato l’art. 127-bis TUB in materia di spese addebitabili agli utenti, stabilendosi che “Non possono essere addebitate al cliente  spese,  comunque denominate, inerenti alle informazioni e alle comunicazioni  previste ai  sensi  di  legge  se  trasmesse  al  cliente  con  strumenti   di comunicazione telematica o allo stesso fornite su  supporto  durevole diverso da quello cartaceo. Per le informazioni  e  le  comunicazioni previste ai sensi di  legge  relative  a  servizi  di  pagamento  non possono essere addebitate  al  cliente  spese,  comunque  denominate, qualunque sia lo strumento di comunicazione o  il  tipo  di  supporto utilizzato.  Le  informazioni  precontrattuali  e  le   comunicazioni previste ai sensi dell'articolo 118 sono  sempre  gratuite  qualunque sia lo strumento di comunicazione o il tipo di  supporto  utilizzato”; i) sono apportate rilevanti modifiche al d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 11 recante “Attuazione della direttiva 2007/64/CE, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, recante modifica delle direttive 97/7/CE, 2002/65/CE, 2005/60/CE, 2006/48/CE, e che abroga la direttiva 97/5/CE”. In particolare viene inserito gli artt. 34-bis e 34-ter al fine di disciplinare il limite alle commissioni interbancarie  applicate  alle operazioni di pagamento nazionali effettuate rispettivamente con carta di  debito  e di credito ad uso dei consumatori (artt. 2 e 3); l) sono aggiornate le sanzioni previste dal d.lgs. 2015, n. 135 recante “Attuazione dell'articolo 11 del Regolamento (UE) n. 260/2012 del 14 marzo 2012 che stabilisce i requisiti tecnici e commerciali per i bonifici e gli addebiti diretti in euro e disposizioni sanzionatorie per le violazioni del Regolamento (CE) n. 924/2009 relativo ai pagamenti transfrontalieri nella Comunita'” (art. 4); m) nella l. 15 dicembre 1990, n. 386 recante “Nuova disciplina sanzionatoria degli assegni bancari” è ora inserito l’art. 10-ter che disciplina il preavviso di revoca dell'autorizzazione  all'utilizzo di carte di pagamento e  annotazione  dell'avvenuto  pagamento  delle ragioni di debito (art. 6)         Pubblichiamo la chiarissima Relazione illustrativa del Senato della Repubblica sui piani finanziari di risparmio a lungo termine (P.I.R.) disciplinati dai commi 100-114 dell'art. 1 l. n. 11.12.2016, n. 232 (Legge di stabilità 2017).    Pubblicato in G.U. n. 247 del 21.10.2016 il provvedimento della Banca D'Italia 30.09.2016 recante "Disposizioni in materia di trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari - Correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti".   Si pubblica il provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle Entrate del 5.4.2016, prot. n. 49121 che definisce per le imprese bancarie non residenti i metodi di calcolo del fondo di dotazione di cui all'art. 152, comma 2, secondo periodo del T.U.I.R. il quale ricordiamo stabilisce che "1.  Per le società e gli enti commerciali con stabile organizzazione nel territorio dello Stato, il reddito della stabile organizzazione è determinato in base agli utili e alle perdite ad essa riferibili, e secondo le disposizioni della Sezione I, del Capo II, del Titolo II, sulla base di un apposito rendiconto economico e patrimoniale, da redigersi secondo i principi contabili previsti per i soggetti residenti aventi le medesime caratteristiche, salva quella della emissione di strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in mercati regolamentati di qualsiasi Stato membro dell'Unione europea ovvero diffusi tra il pubblico di cui all'articolo 116 testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria", di cui al d.lgs. n. 58/98. "2. Ai fini del comma 1, la stabile organizzazione si considera entità separata e indipendente, svolgente le medesime o analoghe attività, in condizioni identiche o similari, tenendo conto delle funzioni svolte, dei rischi assunti e dei beni utilizzati. Il fondo di dotazione alla stessa riferibile è determinato in piena conformità ai criteri definiti in sede OCSE, tenendo conto delle funzioni svolte, dei rischi assunti e dei beni utilizzati".     E' stato convertito con modificazioni in l. 24 marzo 2015, n. 33 (in G.U. 25.3.2015, n. 70) il d.l. 24 gennaio 2015, n. 3 recante "Misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti". Ecco le principali novità: a) introdotte molte modifiche alla disciplina delle banche popolari (art. 1); b) prevista la portabilità dei conti correnti senza "senza  oneri  e  spese  di portabilita' a carico del cliente" anche in caso che al conto corrente ineriscano strumenti  finanziari, ordini di pagamento ed ulteriori servizi  o strumenti  ad  esso associati. L'articolo è stato completamente riscritto dalla legge di conversione, stabilendosi il termine di dodici giorni lavorativi da parte dell'istituto di credito per eseguire il trasferimento. Nel caso in cui il consumatore nel'ambito del servizio di portabilità chiuda il conto corrente trasferito trova applicazione l'art. 126-septies del d.lgs. n. 385/1993, talché per l'operazione di chiusura non potranno essere addebitate penalità o spese di chiusura. Per quanto concerne il trasferimento, su richiesta del consumatore, di strumenti finanziari da un conto di deposito titoli ad un altro, con o senza la chiusura del conto di deposito titoli  di origine, così come per la previsione di indennizzi per ritardi nell'esecuzione del presente articolo, occorrerà tuttavia attendere i decreti attuativi del MEF di cui al comma 18(art. 2); c) sono introdotte disposizione specifiche a tutela del consumatore che intenda trasferire il proprio conto corrente in un Paese dell'Unione (art. 2-bis); d) la SACE può essere autorizzata dalla Banca d'Italia ad esercitare il credito diretto (art. 3); e) viene definita la "piccola e media impresa innovativa" prevedendosi presso le CCIIA l'istituzione di un'apposita sezione speciale  del  registro delle imprese di cui all'articolo 2188 c.c. Ad esse si applicano molte delle disposizione previste in materia di start-up innovative di cui al d.l. n. 179/2012 convertito con modificazioni in l. n. 221/2012 (art. 4); f) sono compiute modifiche alla tassazione dei redditi derivanti dallo sfruttamento dei beni immateriali, mentre viene notevolmente ridimensionato il ruolo della Fondazione Istituto Italiano di Tecnologia, in relazione al quale viene ora stabilito che possa ostituire ovvero partecipare  a start-up innovative [...] e altre  societa', anche con soggetti pubblici e privati, italiani e stranieri, operanti nei settori funzionali al raggiungimento  del  proprio  scopo,  anche rivolte  alla  realizzazione  di  progetti  in  settori   tecnologici altamente   strategici,   previa   autorizzazione    del    Ministero" g) viene prevista l'istituzione di una Societa' di servizio per la patrimonializzazione e la ristrutturazione delle imprese. La Società intraprende iniziative per il rilancio di imprese industriali o gruppi di imprese con sede in Italia che, nonostante temporanei  squilibri  patrimoniali  o  finanziari,  siano caratterizzate da adeguate prospettive industriali e di mercato, ma necessitino  di  ridefinizione  della  struttura  finanziaria  o di adeguata patrimonializzazione o comunque di interventi di ristrutturazione. La Societa' ha lo scopo di promuovere e realizzare operazioni di ristrutturazione,  di  sostegno  e   riequilibrio   della   struttura finanziaria e patrimoniale delle  imprese,  favorendo,  tra  l'altro, processi di consolidamento industriale. A tal fine, la Societa'  puo' investire  capitale  raccolto  in  proprio,  compiere  operazioni di finanziamento, acquisire o  succedere  in  rapporti  esistenti  anche ridefinendone le condizioni e i termini, al servizio  dello  sviluppo operativo e dei piani di medio-termine all'uopo predisposti, compreso l'affitto  o  la  gestione  di  aziende,  rami  di  aziende  o   siti produttivi (art. 7); h) vengono ulteriormente rafforzate le misure in favore delle imprese in amministrazione straordinaria (artt. 7-bis e 8-ter).   Interessante provvedimento del Governo in G.U. n. 279 del 1.12.2014 che con d.m. 17 ottobre 2014, n. 176, dando attuazione dell'art. 111, comma 5 del T.U.B. introduce la disciplina del microcredito finalizzata a sostenere l'avvio o lo sviluppo di un'attività: - di lavoro autonomo (purché non possesso di partita IVA da più di 5 anni o comunque non aventi più di 5 dipendenti; - di microimpresa, organizzata in forma individuale, di associazione, di societa' di persone, di societa' a responsabilita' limitata semplificata o di societa' cooperativa (purché non aventi più di 10 dipendenti o comunque con un indebitamento superiore a 100.000€); - ovvero a promuovere l'inserimento di persone fisiche nel mercato del lavoro. Il finanziamento è rivolto: - all'acquisto di beni per l'attività; - al pagamento delle retribuzioni; - al pagamento di corsi di formazione. I finanziamenti generalmente non possono superare i 25.000€. L'attività di erogazione del credito può essere svolta anche da soggetti non iscritti nell'elenco di cui all'art. 111, comma 1 T.U.B., purché abbiano forma di: a) associazioni e fondazioni aventi personalita' giuridica;b) societa' di mutuo soccorso di cui alla legge 15 aprile 1886, n. 3818;c) aziende pubbliche di servizi alla persona derivanti dalla trasformazione delle Istituzioni di assistenza e beneficenza;d) cooperative riconosciute come organizzazioni non lucrative di utilita' sociale ai sensi dell'articolo 10, comma 1, del decretolegislativo 4 dicembre 1997 n. 460;e) cooperative sociali disciplinate dalla legge 8 novembre 1991, n. 381. In tal caso, a differenza dei soggetti iscritti, il TAEG, comprensivo degli interessi, deve essere non remunerativo e adeguato a consentire il mero recupero delle spese sostenute; non puo' in ogni caso superare il TAEG medio rilevato per la categoria di operazionirisultante dall'ultima rilevazione trimestrale effettuata ai sensi della legge 7 marzo 1996, n. 108, moltiplicato per un coefficiente pari a 0,4 (mentre per i soggetti iscritti nell'elenco il finanziamento può essere remunerativo ed il coefficiente può arrivare allo 0,8).

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T.A.R. Liguria, Sez. I, 7 gennaio 2019, n. 12 - E’ contestata la legittimità del provvedimento ex art. 21, comma 4, del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, con cui la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici della Liguria ha respinto la richiesta di autorizzazione all’installazione di un dehors a servizio dell’esercizio commerciale della Società ricorrente, ubicato presso un immobile sottoposto a vincolo monumentale. La motivazione del diniego, che riproduce quasi letteralmente i motivi ostativi comunicati in sede endoprocedimentale, si sostanzia nel rilievo secondo cui la posa in opera di un manufatto “attaccato alla struttura storica” comporterebbe l’inserimento di un elemento incongruo, tale da impedire la vista della facciata dello stabile tutelato. Si osserva preliminarmente che le scelte compiute dall’amministrazione per la tutela dei beni vincolati, essendo connotate da ampi profili di discrezionalità, sono sindacabili dal giudice amministrativo entro limiti piuttosto ristretti, coincidenti con il riscontro di eventuali violazioni delle regole procedurali e del vizio di eccesso di potere desumibile dalla semplice lettura degli atti, come nelle ipotesi di manifesta e grave irragionevolezza, illogicità, mancanza di motivazione o travisamento dei fatti. Ciò premesso, l’atto impugnato non si sottrae alle censure sollevate con i primi due motivi di ricorso. L’Amministrazione, infatti, si è limitata a ribadire la precedente posizione, senza prendere in considerazione le osservazioni che la Società ricorrente aveva presentato tramite il proprio tecnico, secondo cui la previsione di un distacco di 90 cm e la struttura trasparente del dehors salvaguarderebbero la visibilità della facciata dell’edificio storico. Tali elementi sono indubbiamente significativi ai fini di una puntuale valutazione dell’impatto sull’edificio vincolato, sicché la loro omessa valutazione rende illegittimo il provvedimento finale per violazione dell’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990. Nella memoria del tecnico incaricato dalla richiedente, si precisava anche che la soluzione progettuale ricalca quella elaborata dallo studio Renzo Piano, nell’ambito del più generale progetto di restauro del 1992, per l’installazione di dehors pertinenziali alle attività commerciali del Porto Antico di Genova. Neppure questa circostanza, di rilievo non trascurabile, è stata considerata nel provvedimento finale. La mancata (o incompleta) disamina della memoria procedimentale si traduce, altresì, in vizio sostanziale dell’atto, per difetto di motivazione e travisamento dei fatti, laddove l’Amministrazione, senza tener conto dei chiarimenti forniti dal privato, ha erroneamente ribadito che il manufatto in progettorisulterebbe “attaccato” all’edificio sottoposto a tutela, anziché collocato a una distanza di quasi un metro da esso. Ciò dimostra che la Soprintendenza non ha correttamente preso in esame le caratteristiche del manufatto medesimo, onde rapportarlo in modo puntuale ai valori dell’edificio vincolato.   Cons. Stato, Sez. VI, 4 gennaio 2018, n. 46 - L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, infatti, con la sentenza n. 20 del 22 settembre 1999, ha chiarito che sussiste l’obbligo di acquisire il parere da parte della Autorità preposta alla tutela del vincolo in sede di rilascio della concessione edilizia in sanatoria, a prescindere dall’epoca in cui sia dvenuto efficace l’atto che ha imposto il regime di tutela, in quanto la compatibilità dell’opera da condonare con il regime di salvaguardia garantito dal vincolo deve essere comunque valutata alla data dell’esame della domanda di sanatoria. In tal senso si è costantemente affermato in giurisprudenza, successivamente a tale sentenza dell’Adunanza plenaria, che ai fini delle procedure di condono sono da ritenere rilevanti tutti i vincoli apposti alla data in cui viene valutata l'istanza di sanatoria, a prescindere dalla data di esecuzione delle opere e di imposizione dei vincoli medesimi (Cons. Stato, Sez. VI, 27 aprile 2015, n. 2111, e 12 novembre 2014, n. 5549).   Cons. Stato, Sez. VI, 28 febbraio 2017, n. 922 - A cogliere nel segno, ad avviso del Collegio, sono, invece, le deduzioni di parte appellante basate sul rilievo della sopravvenuta introduzione di un trattamento sanzionatorio “più afflittivo” rispetto a quello anteriore (sulla “sanatoria ex post”, mediante il pagamento della sola sanzione pecuniaria, prima della entrata in vigore del correttivo al codice del 2006, non sembra esservi contestazione tra le parti), e sulla applicabilità, nella specie, del principio della irretroattività della disciplina più severa, considerando operativa la sopravvenuta disciplina più severa esclusivamente per le opere realizzate dopo la sua entrata in vigore. Parte appellante critica cioè l’avvenuta applicazione in via “retroattiva”, da parte del Comune, di una disciplina sanzionatoria “aggravata” rispetto al passato. Il divieto, sopravvenuto, di sanatoria “ex post” (salvo i casi marginali di cui si è detto) mediante la “regolarizzazione” della posizione del trasgressore applicando, a determinate condizioni, unicamente una sanzione pecuniaria “sostitutiva” della restituzione in pristino, ben può essere qualificato, nella sostanza, come un aggravamento del trattamento sanzionatorio originario e antecedente alla modifica della disciplina, trattamento anteriore “riducibile” al versamento unicamente di una sanzione pecuniaria. Poiché si fa questione dell’applicazione di misure sanzionatorie, e dato che la mancata applicazione della meno severa disciplina pregressa è dipesa anche dalla inosservanza del termine di 180 giorni di cui si è detto sopra, con l’incidenza, quindi, in capo al privato, di un legittimo affidamento alla permanenza dell’assetto di interessi “meno sfavorevole” (se solo si fosse giunti a una pronuncia tempestiva sulla compatibilità paesaggistica); dalla qualificazione su esposta di “disciplina sanzionatoria aggravata” essendo venuta meno la possibilità di versare la sola sanzione pecuniaria; e dalla considerazione della situazione e degli atti impugnati nel loro insieme, consegue che il “divieto di regolarizzazione” suddetto deve trovare applicazione esclusivamente con riferimento agli interventi effettuati –e comunque alle infrazioni accertate- dopo l’entrata in vigore della disciplina stessa (marzo del 2006). Ciò, alla stregua del principio della irretroattività delle disposizioni che inaspriscono la disciplina sanzionatoria: dal che discende, in riforma, sul punto, della decisione del Tar, che ha invece inteso applicare in modo rigoroso il principio “tempus regit actum”, l’annullamento degli atti impugnati in primo grado, da considerarsi come detto “indisgiungibili” nel loro insieme, e la necessità, per l’Amministrazione, nel “riesercizio conformativo” delle proprie funzioni, secondo quanto stabilito in sentenza, di compiere, “ora per allora”, le verifiche prescritte allo scopo di valutare l’esistenza delle condizioni per potere commutare la restituzione in pristino con la irrogazione di una sanzione pecuniaria.    Corte Cost., 10 marzo 2017, n. 50 - 3.– Non può ritenersi invece cessata la materia del contendere per quanto riguarda l’impugnazione dell’art. 2, comma 3, della legge regionale n. 11 del 2015, il quale sostituisce il comma 5 dell’art. 2 della legge reg. Liguria n. 36 del 1997 con il comma seguente: «I piani di bacino, nonché i piani delle aree protette di cui alla vigente legislazione regionale, vincolano, nelle loro indicazioni di carattere prescrittivo, la pianificazione territoriale di livello regionale, metropolitano, provinciale e comunale con effetto di integrazione della stessa e, in caso di contrasto, di prevalenza su di essa». Secondo il ricorrente, la norma violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione all’art. 145, comma 3, del codice dei beni culturali e del paesaggio, il quale prevede che le disposizioni dei piani paesaggistici prevalgono sulle disposizioni contenute negli altri atti di pianificazione territoriale di settore. 3.1.‒ La questione è fondata. La norma regionale, subordinando la pianificazione territoriale di livello regionale ai piani di bacino e ai piani per le aree protette, si pone in evidente contrasto con il principio di prevalenza del piano paesaggistico sugli atti di pianificazione ad incidenza territoriale posti dalle normative di settore, dettato dall’art. 145, comma 3, del codice dei beni culturali e del paesaggio. Infatti, ai sensi dell’art. 3 della legge reg. Liguria n. 36 del 1997, nella formulazione vigente al momento della proposizione del ricorso, lo strumento della pianificazione territoriale di livello regionale è il PTR, avente (a norma dell’art. 13, comma 3, della legge reg. Liguria n. 36 del 1997, poi abrogato dall’art. 8, comma 3, della legge reg. Liguria n. 29 del 2016) valore di «piano urbanistico-territoriale, con specifica considerazione dei valori paesaggistici». La chiarezza dell’enunciato normativo non lascia margini all’interpretazione conforme suggerita dalla Regione Liguria. La rilevata antinomia non è stata superata dallo ius superveniens. Anche dopo la legge reg. Liguria n. 29 del 2016, il comma 5 dell’art. 2 della legge reg. Liguria n. 36 del 1997 continua a vincolare ai piani di bacino e delle aree protette l’intera «pianificazione territoriale di livello regionale», categoria quest’ultima che ‒ a seguito delle modifiche apportate all’art. 3 della legge reg. n. 36 del 1997 dall’art. 2, comma 1, della legge reg. n. 29 del 2016 ‒ include ora anche il «Piano paesaggistico».   T.A.R. Liguria, Sez. I, 18 maggio 2016, n. 499 - Sostengono gli esponenti che, prima di emettere il contestato provvedimento di diniego, l’Amministrazione procedente avrebbe dovuto acquisire il parere vincolante della Soprintendenza territorialmente competente. Tale doglianza è priva di pregio, poiché l’accertamento di una preclusione legale alla sanabilità delle opere abusivamente realizzate su immobili soggetti a vincolo (in questo caso l’accertata realizzazione di un incremento volumetrico e superficiario n.d.r.), con la conseguente diagnosi di insussistenza dei presupposti richiesti per l’accertamento della compatibilità paesaggistica delle opere medesime, ha reso sostanzialmente inutile l’intervento dell’autorità preposta alla tutela del vincolo.   Il Cons. Stato, Sez. Cons. Atti normativi, con parere 31 agosto 2016, n. 1404, si è pronunciato favorevolmente sullo schema di decreto proposto dal Ministero per i beni culturali avente ad oggetto l’individuazione degli interventi esclusi dall’autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata, in modo da consentire uno snellimento della burocrazia sulle iniziative di privati, cittadini e imprese.   Consiglio di Stato, Ad. Plenaria, 27 luglio 2016 n. 17 - L'Adunanza Plenaria è chiamata a dirimere la questione se l'art. 20, c. 4, della l. n. 241/1990, come sostituito dall'art. 3, c. 6ter, d.l. 14/3/2005, n. 35, conv. da l. 14/5/2005, n. 80, nel disporre che "le disposizioni del presente articolo non si applicano agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l'ambiente, la tutela del rischio idrogeologico, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza, l'immigrazione, l'asilo e la cittadinanza, la salute e la pubblica incolumità, ai casi in cui la normativa comunitaria impone l'adozione di provvedimenti amministrativi formali [...]", abroghi o meno la previsione dell'art. 13, c. 1 e 4 della l. n.  6 dicembre 1991, n. 394 (legge quadro sulle aree protette) secondo cui decorso inutilmente il termine di sessanta giorni dalla richiesta di nulla osta per concessioni o autorizzazioni relative a interventi "il nulla osta si intende rilasciato". Sotto il profilo sostanziale non si rinvengono nella giurisprudenza costituzionale o comunitaria preclusioni alla possibilità per il legislatore ordinario statale di impiegare lo strumento del silenzio-assenso anche in materia ambientale, laddove si tratti di "valutazioni con tasso di discrezionalità non elevatissimo" e non siano richiesti accerttamenti tecnici o verificazioni. Sotto il profilo sistematico, da un lato, l'art. 20 pare riguardare i casi generali e non estendersi a precedenti specifiche disposizioni, come quella dell'art. 13; dall'altro lato, non sarebbe logico che la generalizzazione dello strumento del silenzio assenso ad opera della riforma del 2005 determinasse il venire meno delle ipotesi di silenzio-assenso già previste. Nella fattispecie, peraltro, il silenzio assenso si inseriva nell'ambito di una normativa organica del settore sui parchi e le aree protette (la l. n. 394 del 1991), sicché deve ritenersi che "essa fosse il frutto di un bilanciamento complessivo degli interessi ivi coinvolti e costituisse effetto di una valutazione legislativa ponderata e giustificata dalla specificità della materia". Ad avviso dell'A.P. il nulla osta dell’art. 13, l. n. 394 del 1991 ha ad oggetto la verifica di conformità dell’intervento con le disposizioni del piano per il parco (che a norma dell'art. 12 persegue la tutela dei valori naturali ed ambientali affidata all'Ente Parco) e del regolamento del Parco (che a norma dell'art. 11 disciplina l'esercizio delle attività consentite entro il territorio del parco. Trattandosi di verifica di conformità il margine di discrezionalità tecnica connaturato è ben più ridotto di quanto sarebbe, ad esempio, per un'autorizzazione che fosse prevista per valutare la concreta compatibilità dell'intervento con un vincolo interessante il territorio. In questo quadro non viene meno la cura concreta dell'interesse ambientale e non vengono sovvertiti i principi fondamentali tesi a perimetrare il silenzio assenso in amteria ambientale. La preminenza di questa cura resta integra ed effettiva giacché la valutazione di conformità non comporta un giudizio tecnico-discrezionale autonomo e distinto da quello contenuto nel piano e nel regolamento del parco che assorbono in sè le valutazioni possibili e le traducono in precetti negativi (divieti o restrizioni quantitative), rispetto ai quali resta in concreto da compiere una mera verifica di conformità senza residui margini di apprezzamento. Per quanto sopra, trattandosi di valutazione da considerare a basso margine di discrezionalità, lo strumento del silenzio assenso deve ritenersi compatibile con il rilascio del nulla osta dell'Ente Parco per concessioni e autorizzazioni.   T.A.R. Liguria, Sez. I, 8 giugno 2016, n. 579 -  Il Collegio ritiene che la natura vincolante del parere della Soprintendenza di cui all’articolo 1, comma 39, della legge 15 dicembre 2004, n. 308 - direttamente stabilita dal legislatore ai sensi dell’art. 182, comma 3 ter, secondo periodo, del D.Lgs. n. 42/2004 - comporti l’idoneità di tale atto a condizionare l’esito del procedimento alla stregua di una decisione preliminare. Consegue, alla natura sostanzialmente decisoria del parere in questione, altresì che la reale fase partecipativa deve coinvolgere l’organo chiamato a formulare le valutazioni, dalle quali l’amministrazione investita della titolarità formale del procedimento non può discostarsi, in merito alla compatibilità paesaggistica dell’intervento abusivo (cfr. T.A.R. Liguria, sez. I, 26 marzo 2015, n. 345 e 25 giugno 2014, n. 1014). Prima di comunicare il proprio parere negativo vincolante, pertanto, la Soprintendenza deve a garantire il coinvolgimento procedimentale dell’interessato, attraverso la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della domanda. La pacifica omissione di tale incombente procedimentale determina la sussistenza del denunciato vizio di legittimità che, stante l’ampia discrezionalità di cui dispone la Soprintendenza nella materia de qua e la conseguente impossibilità di applicare la cosiddetta sanatoria giurisprudenziale, comporta l’annullamento dell’atto impugnato.     Cons. Stato, Sez. VI, 13 maggio 2016, n. 1935 - L’art. 167, comma 4, del D.Lgs. n. 42/2014 prevede il possibile accertamento postumo della compatibilità paesaggistica, secondo le procedure di cui al comma 5, solo nei seguenti casi: a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato la creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati; b) per l’impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica; c) per i lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell’art. 3 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. Nel caso in cui non sia rispettato il termine di 90 giorni stabilito dall’art. 167, comma 5, del D.Lgs. n. 42/2004 per il parere vincolante della Soprintendenza, sulla compatibilità paesaggistica postuma, il potere dell’Amministrazione statale continua a sussistere, ma l’interessato può proporre ricorso al giudice amministrativo, per contestare l’illegittimo silenzio-inadempimento dell’organo statale; decorso il termine assegnato, l’organo statale conserva la possibilità di rendere il parere, ma il parere espresso tardivamente perde il suo valore vincolante e deve essere quindi autonomamente e motivatamente valutato dall’amministrazione preposta al rilascio del titolo.   T.A.R. Liguria, Sez. I, 4 maggio 2016, n. 419 - L'atto di autorizzazione paesaggistica, espressione dell'esercizio di valutazioni tecniche, deve contenere un'adeguata motivazione, e deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'amministrazione, in relazione alle risultanze dell'istruttoria (cfr. art. 3, comma 1, della legge n. 241 del 1990), ed in particolare non appare ammissibile che la motivazione di un provvedimento autorizzatorio paesaggistico possa esaurirsi nell'integrale richiamo « per relationem » di un atto privato, senza esprimere un'autonoma valutazione dell'ente preposto alla cogestione del vincolo (cfr. ad es. CdS 4925\2015); in materia, va conseguentemente condivisa la preminente giurisprudenza che nello specifico settore in esame la motivazione può ritenersi adeguata quando risponde a un modello che contempli, in modo dettagliato, a titolo esemplificativo la descrizione: I) dell'edificio mediante indicazione delle dimensioni, delle forme, dei colori e dei materiali impiegati; II) del contesto paesaggistico in cui esso si colloca, anche mediante l'indicazione di eventuali altri immobili esistenti, della loro posizione e dimensioni; III) del rapporto tra edificio e contesto, anche mediante l'indicazione dell'impatto visivo al fine di stabilire se esso si inserisca in maniera armonica nel paesaggio.   T.A.R. Liguria, Sez. I, 16 aprile 2016, n. 345 - - atteso che, in linea di diritto, costituisce jus receptum quello in base al quale nell'ambito del procedimento di autorizzazione paesaggistica il parere vincolante della soprintendenza deve essere puntualmente e congruamente motivato; - rilevato che in generale va ribadito che l'atto di autorizzazione paesaggistica espressione dell'esercizio di valutazioni tecniche, deve contenere un'adeguata motivazione, e deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'amministrazione, in relazione alle risultanze dell'istruttoria (cfr. art. 3, comma 1, della legge n. 241 del 1990), ed in particolare non appare ammissibile che la motivazione di un provvedimento autorizzatorio paesaggistico possa esaurirsi nell'integrale richiamo « per relationem » di un atto privato, senza esprimere un'autonoma valutazione dell'ente preposto alla cogestione del vincolo (cfr. ad es. CdS 4925\2015); - atteso che, in materia, va conseguentemente ribadito con la citata preminente giurisprudenza che nello specifico settore in esame la motivazione può ritenersi adeguata quando risponde a un modello che contempli, in modo dettagliato, a titolo esemplificativo la descrizione: I) dell'edificio mediante indicazione delle dimensioni, delle forme, dei colori e dei materiali impiegati; II) del contesto paesaggistico in cui esso si colloca, anche mediante l'indicazione di eventuali altri immobili esistenti, della loro posizione e dimensioni; III) del rapporto tra edificio e contesto, anche mediante l'indicazione dell'impatto visivo al fine di stabilire se esso si inserisca in maniera armonica nel paesaggio; - rilevato che nel caso di specie il provvedimento impugnato è del tutto carente di qualsiasi valutazione, limitandosi ad una formula non solo di stile ma altresì dubitativa (“allo stato attuale delle conoscenze e delle informazioni contenute nella relazione…risultano compatibili”), senza alcuna indicazione di un qualsiasi elemento concreto e della connessa valutazione da cui trarre tale reputata compatibilità, ciò in specie in considerazione della ampiezza dell’intervento che coinvolge una arteria ed un’area rilevante del centro storico; - considerato che analoghe considerazioni in diritto – a maggior ragione – vanno ribadite per quanto riguarda l’assenso sotto il profilo storico artistico, secondo il consolidato principio per cui anche il potere della competente Soprintendenza di valutare la compatibilità degli interventi edilizi progettati dai proprietari con il vincolo posto sui beni vincolati sotto il profilo storico-artistico, già previsto dall'art. 18 della l. 1089 del 1939 e dall'art. 23 d.lg. 490 del 1999, adesso contemplato dall'art. 21 d.lg. 42 del 2004, sfocia in un atto di natura autorizzativa, con conseguente onere di puntuale ed adeguata motivazione; - atteso che nel caso di specie l’analisi dell’atto evidenzia – analogamente all’assenso paesaggistico - una formula di stile e palesemente dubitativa (“le opere in progetto sembrano allo stato attuale delle conoscenze risultare compatibili con le esigenze di tutela monumentale dell’edificio in oggetto”); - rilevato che, conseguentemente, il ricorso va accolto in parte qua con conseguente annullamento degli atti di assenso paesaggistico e storico artistico impugnati;   Corte Cost., 23 marzo 2016, n. 56 - È noto che la discrezionalità di cui gode il legislatore nel delineare il sistema sanzionatorio penale trova il limite della manifesta irragionevolezza e dell’arbitrio, come avviene a fronte di sperequazioni tra fattispecie omogenee non sorrette da alcuna ragionevole giustificazione (sentenze n. 81 del 2014, n. 68 del 2012, n. 161 del 2009, n. 324 del 2008 e n. 394 del 2006). 4.1.– Facendo applicazione di tali principi nella materia in esame, questa Corte ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1-sexies del decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312 (Disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale), introdotto dall’art. 1 della legge di conversione 8 agosto 1985, n. 431, che dettava una disciplina inversa a quella odierna, perché puniva più severamente le violazioni incidenti sui beni sottoposti a vincolo legale. In quell’occasione la Corte ha affermato che «la ratio della introduzione di vincoli paesaggistici generalizzati (in base a tipologie di beni) risiede nella valutazione che l’integrità ambientale è un bene unitario, che può risultare compromesso anche da interventi minori e che va, pertanto, salvaguardato nella sua interezza (sentenze n. 247 del 1997, n. 67 del 1992 e n. 151 del 1986; ordinanze n. 68 del 1998 e n. 431 del 1991)» e che la severità del relativo trattamento sanzionatorio «trova giustificazione nella entità sociale dei beni protetti e nel ricordato carattere generale, immediato ed interinale, della tutela che la legge ha inteso apprestare di fronte alla urgente necessità di reprimere comportamenti tali che possono produrre danni gravi e talvolta irreparabili all’integrità ambientale (sentenze n. 269 e n. 122 del 1993; ordinanza n. 68 del 1998)» (ordinanza n. 158 del 1998). La più rigorosa risposta sanzionatoria nei confronti dei reati incidenti su beni paesaggistici vincolati per legge è stata quindi ritenuta non irragionevolmente discriminatoria per il fatto che introduce «una tutela del paesaggio (per vaste porzioni del territorio individuate secondo tipologie paesistiche, ubicazioni o morfologiche), improntata a integrità e globalità, implicante una riconsiderazione assidua dell’intero territorio nazionale alla luce e in attuazione del valore estetico-culturale (v., da ultimo, ordinanze n. 68 del 1998 e n. 431 del 1991)» (ordinanza n. 158 del 1998). 4.2.– Tale assetto ha subito una modifica in occasione della “codificazione” della materia paesaggistica, prima con l’art. 163 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a norma dell’articolo 1 della L. 8 ottobre 1997, n. 352) e poi con l’originario art. 181 del codice dei beni culturali e del paesaggio. Con tali norme il legislatore, innalzando il grado di tutela dei beni vincolati in via provvedimentale allo stesso livello di quelli tutelati per legge, ha optato per l’identità di risposta sanzionatoria, evidentemente sul presupposto di una ritenuta sostanziale identità dei valori in gioco. 4.3.– Con le modifiche apportate all’art. 181 del codice dalla legge 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione) il legislatore è tuttavia tornato a distinguere le fattispecie. Nel fare ciò, non solo ha invertito la risposta sanzionatoria, punendo più gravemente le condotte incidenti su beni sottoposti a vincoli puntuali rispetto a quelle incidenti su beni vincolati per legge, ma ha anche delineato un complessivo trattamento sanzionatorio delle prime di gran lunga più severo rispetto a quello riservato alle seconde. Ed infatti, i lavori eseguiti sui beni vincolati in via provvedimentale senza la prescritta autorizzazione o in difformità da essa integrano sempre un delitto e sono puniti con la reclusione da uno a quattro anni; mentre i lavori eseguiti sui beni vincolati per legge integrano una contravvenzione e sono puniti con l’arresto fino a due anni e l’ammenda da 30.986,00 a 103.290,00 euro, a meno che non costituiscano, ai sensi dell’art. 181, comma 1-bis, lettera b), opere di notevole impatto volumetrico, nel qual caso sono puniti alla stessa stregua dei primi. Solo per i reati commessi su beni sottoposti a vincolo legale, poi, operano, alle condizioni specificamente previste, le cause di non punibilità e di estinzione del reato rispettivamente introdotte dai commi 1-ter e 1-quinquies. 5.− Si è dunque in presenza di una legislazione ondivaga, non giustificata né da sopravvenienze fattuali né dal mutare degli indirizzi culturali di fondo della normativa in materia; e già questo è sintomo di irragionevolezza della disciplina attuale. Tale irragionevolezza è resa poi manifesta dalla rilevantissima disparità tanto nella configurazione dei reati (nell’un caso delitto, nell’altro contravvenzione), quanto nel trattamento sanzionatorio, in relazione sia alla entità della pena che alla disciplina delle cause di non punibilità ed estinzione del reato. 6.− Dalla fondatezza della questione consegue la parificazione della risposta sanzionatoria (secondo l’assetto già sperimentato dal legislatore al momento della codificazione), con la riconduzione delle condotte incidenti sui beni provvedimentali alla fattispecie incriminatrice di cui al comma 1, salvo che, al pari delle condotte incidenti sui beni tutelati per legge, si concretizzino nella realizzazione di lavori che comportino il superamento delle soglie volumetriche indicate al comma 1-bis. Tale risultato si ottiene mediante l’eliminazione dell’inciso dell’art. 181, comma 1-bis, che va dai «:», che seguono le parole «di cui al comma 1», e precedono la lettera a), alla congiunzione «ed» di cui alla lettera b).    T.A.R. Liguria, Sez. I, 28 gennaio 2016, n. 198 - In linea di principio, l'autorizzazione paesaggistica deve contenere un'adeguata motivazione ed indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'Amministrazione. Tuttavia, il giudizio di adeguatezza di tale motivazione non può prescrindere dalla natura e dalle dimensioni dell'intervento, così come alla situazione di urbanizzazione già esistente nell'intorno. Allo stesso tempo, la formulazione di mere opinioni inerenti all'impatto dell'opera, non valgono ad evidenziare alcun profilo di illogicità della contraria valutazione operata dall'Amministrazione.  Il Collegio afferma che la distanza minima di 10 metri tra pareti finestrate, fissata dall'art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968 per evitare la formazione di intercapedini nocive sotto il profilo igienico-sanitario e della sicurezza, non può trovare applicazione nel caso di un impianto per telefonia mobile che per le sue caratteristiche non sviluppa volumetria o cubatura. E' però annullabile il provvedimento che autorizza l'installazione di un impianto per telefonia mobile che non sia stato preceduto dalla pubblicizzazione dell'istanza a cura dello sportello locale, al fine di sensibilizzare la popolazione coinvolta e consentirne la partecipazione al processo decisionale. A questo fine, non è sufficiente, ai sensi dell'art. 87, comma 4, del D.Lgs. n. 259/2003, la pubblicazione dell'autorizzazione sull'albo pretorio.    T.A.R. Liguria, Sez. I, 16 gennaio 2015, n. 83 - Il settimo motivo lamenta la violazione dell’art. 35 del PTCP vigente, in quanto la realizzazione del progetto così come assentito colliderebbe con lo scopo prefisso dalla strumento di settore, che impone il regime di mantenimento per l’area in questione. Il collegio condivide al riguardo l’orientamento della giurisprudenza che ha ritenuto che la previsione paesistica orientata al mantenimento di un’area non ne implica l’assoluta immodificabilità, quanto la necessità che ogni nuovo impianto si inserisca in modo armonioso con le preesistenze. Il progetto approvato è quasi del tutto interrato, la relazione di compatibilità ambientale ne comprova la non percepibilità da quasi tutti gli angoli visuali ipotizzabili a Moneglia, sì che appare condivisibile l’orientamento espresso dalla commissione locale per il paesaggio che ha rimarcato che i caratteri esistenti in zona non saranno alterati dalla realizzazione del progetto.   T.A.R. Liguria, Sez. I, 13 gennaio 2015, n. 58 - È dirimente l’art. 7 delle NTA del PRG del comune di Varazze che, recependo il d.m. 1 aprile 1968, nell’area di insediamento del manufatto prevede il vincolo d’inedificabilità assoluta. Le opere, oggetto di condono, sono state infatti realizzate a mt. 1,50 dalla sede autostradale, in violazione della fascia di rispetto prescritta dall’art. 4 d.m. 1 aprile 1968 e dagli artt. 26 e 28 d.P.R. 495/1992 (sulla precettività della disciplina vincolistica della fascia di rispetto stradale, cfr. Tar Liguria, sez. I, 5 luglio 2010 n. 5565). Norme che disciplinano il c.d. vincolo di rispetto della fascia autostradale, cui hanno fatto riferimento sia il diniego opposto – in fase di rilascio del parere contrario al condono – dalla Società Autostrade e – di seguito a conclusione del procedimento – dal Comune. In definitiva, contrariamente a quanto suppone la ricorrente, i provvedimenti impugnati contengono un espresso riferimento, ancorché non indicata nel dettaglio, alla disciplina, anche urbanistica in quanto fatta propria dal PRG, conformativa dell’area, ex se ostativa alla sanatoria delle opere. Le singole disposizioni richiamate (anche l’art. 7 delle NTA quale norma regolamentare), sebbene non specificamente indicate negli atti impugnati, costituiscono fonti normative conosciute o conoscibili ex lege, senza che possa nemmeno in astratto ipotizzarsi la c.d. integrazione postuma della motivazione, denunciata nelle memorie defensionali dalla ricorrente. In questa cornice, vale a dire, ritenuto sussistente il vincolo d’inedificabilità assoluta, in forza dell’art. 33 l. n. 47/85, non si è affatto formato il silenzio assenso. Il diniego, evocando il regime d’inedificabilità è, a sua volta, sufficientemente motivato. E, con specifico riferimento alla perimetrazione del centro urbano, il certificato comunale del 4 aprile 1998, attestante la localizzazione dei mappali sui quali insistono le opere oggetto dell’istanza di condono, è irrilevante stante la disciplina urbanistica richiamata.   T.A.R. Liguria, Sez. I, 13 gennaio 2015, n. 70 - Il ricorso è fondato, sotto l’assorbente profilo, dedotto con il secondo motivo di ricorso, dell’eccesso di potere per difetto di motivazione. In effetti, la valutazione di compatibilità paesaggistica di un’opera edilizia integra un giudizio di merito altamente discrezionale, che – proprio per questo – necessità di una congrua ed adeguata motivazione. Nel caso di specie, la motivazione del diniego appare però di mero stile ed apodittica, non indicando quali sarebbero le caratteristiche del manufatto che – in concreto – si pongono in contrasto con le caratteristiche ambientali dei luoghi, anch’esse neppure indicate. Donde l’illegittimità del diniego, con obbligo del comune di rideterminarsi motivatamente sulla domanda di condono.   T.A.R. Liguria, Sez. I, 29 dicembre 2014, n. 1953 - Il parere negativo sulla concessione della sanatoria dell’ampliamento volumetrico conseguita mediante l’estensione del locale interrato ad uso abitativo è motivato succintamente senza prendere in considerazione la disciplina paesaggistico-ambientale della zona come disciplinata in dettaglio ed in concreto dagli strumenti di pianificazione (ossia: piano del parco e regolamenti attuativi). Sicché il generico richiamo all’art. 20 delle NTA del Piano, che proscrive in astratto tutti gli interventi d’ampliamento volumetrico ad uso abitativo all’interno del perimetro del Parco, pare essere una mera formula di stile, in antitesi con il dovere di individuare le ragioni specifiche (di fatto e di diritto) ostative alla compatibilità (seppure ex post) delle opere, come realizzate.   T.A.R. Liguria, Sez. I, 9 dicembre 2014, n. 1825 - Con esso, infatti, il ricorrente sostiene come per l’esecuzione dell’intervento di demolizione e ricostruzione del magazzino agricolo in questione non fosse neppure necessario munirsi della preventiva autorizzazione paesaggistica ex art. 7 L. n. 1497/1939, posto che l’art. 82 comma 12 del D.P.R. 24.7.1977, n. 616 la esclude per gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria di consolidamento statico e di restauro conservativo “che non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici”. Non soltanto è stato lo stesso ricorrente – che, dunque, contravviene ora al principio di buona fede ed al divieto di venire contra factum proprium - a chiedere l’autorizzazione preventiva ed a qualificare l’intervento come “ristrutturazione” (doc. 1 delle produzioni 1.4.1998 di parte provinciale), ma egli si guarda bene anche soltanto dall’affermare che non vi sia stata alterazione dell'aspetto esteriore dell’edificio.   T.A.R. Liguria, Sez. I, 27 novembre 2014, n. 1718 - In sostanza il parere evidenzia come le opere in relazione alle tipologie edilizie e ai materiali costruttivi impiegati avrebbero comportato una rilevante alterazione del pregevole contesto ambientale architettonico e storico del nucleo antico dell’abitato di Portofino. Sul punto occorre rilevare come si tratti di una motivazione esclusivamente apparente poiché non è dato comprendere come opere di così contenute dimensioni abbiano comportato una rilevante alterazione del contesto. Nulla viene specificato in ordine ai motivi per cui le tipologie costruttive sarebbero incongrue; nulla viene specificato in ordine all’incongruità dei materiali edilizi. Nulla viene specificato in relazione alla posizione dei manufatti. Specificazione vieppiù necessaria dal momento che le opere in contestazione sono state realizzate all’ interno di un cortile. In definitiva, se pure opere di ridotte dimensioni in un contesto come quello di Portofino possono essere astrattamente idonee a determinare un’alterazione rilevante dei valori protetti, nondimeno una specificazione concreta dei profili di incompatibilità appariva necessaria. Tutto ciò nella specie è mancato con conseguente illegittimità dell’atto impugnato.   T.A.R. Liguria, Sez. I, 18 novembre 2014, n. 1645 - Sull’invocato versante paesaggistico non risulta compiuta dal Comune alcuna concreta e dovuta valutazione, come indicato dalla stessa Regione nel caso di specie oltre che in generale imposto dalla giurisprudenza costante. A quest’ultimo proposito, in relazione alla motivazione, costituisce jus receptum il principio per cui in tema di autorizzazione paesaggistica, per l'amministrazione è necessario motivare la determinazione in modo tale che emerga l'apprezzamento di tutte le rilevanti circostanze di fatto e la non manifesta irragionevolezza della scelta effettuata sulla prevalenza di un valore in conflitto con quello tutelato in via primaria, non potendo l'autorità amministrativa limitarsi ad affermazioni apodittiche e dovendosi pure riferire non all'entità atomisticamente valutata del singolo intervento, ma al complesso strutturalmente individuato che deriva dalla sovrapposizione con quello preesistente; occorre, quindi, esternare adeguatamente l'avvenuto apprezzamento comparativo, da un lato, del contenuto del vincolo e, dall'altro, di tutte le rilevanti circostanze di fatto relative al manufatto ed al suo inserimento nel contesto protetto, in modo da giustificare la scelta di dare prevalenza all'interesse del privato rispetto a quello tutelato in via primaria attraverso l'imposizione del vincolo (cfr. ad es. Tar Liguria n. 1393\2011). Inoltre, l'onere di puntuale motivazione non sussiste solo in caso di diniego del titolo, non essendo dubbia la sua doverosità per l'assenso, dovendosi dar conto, in quest'ultimo caso, dell'iter logico seguito per verificare e riconoscere la compatibilità effettiva degli interventi edificatori in riferimento agli specifici vincoli paesaggistici dei luoghi (cfr. Tar Liguria n. 34 del 2013).     Cons. Stato, Sez. VI, 12 novembre 2014, n. 5549 - Sotto questo profilo, il Collegio preliminarmente osserva che l’area su cui insiste il complesso immobiliare di proprietà della parte odierna appellante risulta essere stato sottoposto al vincolo previsto dalla legge 29 giugno 1939, n.1497 (Protezione delle bellezze naturali), come da decreto ministeriale del 24 gennaio 1953 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 45 del 24 febbraio 1953, recante dichiarazione di notevole interesse pubblico della zona della collina di Posillipo sita nell’ambito del comune di Napoli, vincolo generico e non di inedificabilità assoluta. Ciò sino all’emanazione del decreto ministeriale 28 marzo 1985[ pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 98 del 26 aprile 1985], recante dichiarazione di notevole interesse pubblico di tre zone site nel comune di Napoli. Integrazione delle dichiarazioni di notevole interesse pubblico, adottato ai sensi dell’articolo 2 del decreto ministeriale 21 settembre 1984 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 265 del 26 settembre 1984, confermato dalla legge 8 agosto 1985, n. 431 ( legge Galasso), che ha convertito in legge il decreto legge 27 giugno 1985, n. 312 concernente disposizioni urgenti per la tutela della zone di particolare interesse ambientale. L’articolo 1 quinquies della predetta legge n. 431/85 afferma, infatti, espressamente, che” le aree e i beni individuati ai sensi del’articolo 2 del citato d.m. 21 settembre 1984 sono inclusi tra quelli in cui è vietato, sino all’adozione dei piani di cui all’articolo 1 bis ogni modificazione dell’assetto del territorio, nonché ogni opera edilizia”. Va precisato che il richiamato d.m. 28 marzo 1985 ha integrato il dispositivo di cui al precedente pure citato d.m. 24 gennaio 1953, prescrivendo che per le zone Chiaia-Posillipo sono vietate, sino al 31 dicembre 1985, modificazioni dell’assetto del territorio, nonché opere edilizie e lavori, fatta eccezione per i lavori di restauro, risanamento conservativo e per quelli che non modificano l’aspetto esteriore dei luoghi. Peraltro, il richiamato articolo 1 bis della stessa legge n. 431/85, prorogando il precedente termine, ha precisato che la redazione dei piani paesistici doveva essere approvata entro il 31 dicembre 1986, con ciò affermando la natura perentoria dello stesso termine, diversamente da quanto ritenuto da quella giurisprudenza secondo la quale ( VI, n.2131, 9 aprile 2001 ) secondo la quale il termine finale in questione è incertus, quando coincidente con l’adozione da parte delle Regioni dei piani paesistici di cui all’articolo 1 bis della legge n. 431/85, essendo quel termine soltanto teso a consentire l’esercizio del potere ministeriale sostitutivo. La proroga del termine è invece, secondo questo Collegio, significativa della volontà di accordare alle Regioni un ulteriore lasso di tempo per l’adozione dei citati piani, decorso il quale è venuta a cessare la temporaneità del vincolo di inedificabilità assoluta.. Altrimenti, senza alcuna necessità di prorogare il precedente termine fissato, sarebbe stato sufficiente da parte del legislatore affermare che tale potere sostitutivo poteva essere esercitato decorso il termine del 31 dicembre 1985, termine in vigore all’atto dell’emanazione della legge n. 431/85. Le ragioni che comunque confortano sulla scelta di questo Collegio sono in appresso specificamente illustrate. L’impugnato provvedimento ministeriale dell’8 novembre 1991, del resto, nel fare riferimento, nelle premesse, al d. m. 24 gennaio 1953, come integrato dal d.m. 28 marzo 1985, sempre al fine della tutela paesaggistica, assume, come già detto in precedenza, l’assoggettamento dell’area in questione a vincolo di inedificabilità assoluta, visto che il sopraggiunto citato d.m. del 1985 ha sostituito il vincolo generico previsto dal precedente d.m. del 1953. Va rilevato quindi che, alla data di presentazione dell’istanza di condono da parte dell’odierna appellante (30 giugno 1986), l’area in questione era gravata dal vincolo di inedificabilità assoluta , ma va rilevato altresì che, al momento in cui tale istanza è stata presa in considerazione ed è stato adottato il provvedimento di autorizzazione comunale, il vincolo di inedificabilità assoluta era decaduto, non sussistendo più il divieto stabilito con il d.m. 28 marzo 1985 valido prima sino al 31 dicembre 1985 e poi protratto sino al 31 dicembre 1986 dal cennato articolo 1 bis della legge n. 431/85. In effetti, non essendo stato a quella data ancora adottato il piano paesistico previsto dalla predetta legge Galasso, alla data di presa in considerazione dell’istanza di condono non sussisteva più il vincolo di inedificabilità assoluta, legato appunto al termine fissato prima al 31 dicembre 1985 e poi prorogato al 31 dicembre dell’anno successivo dalla legge Galasso, ma sussisteva solo il precedente vincolo generico di cui al decreto ministeriale del 24 gennaio 1953. Quest’ultimo decreto, come innanzi rilevato, non aveva posto, infatti, alcun vincolo di inedificabilità assoluta, ma aveva assoggettato l’area in questione alla disciplina della legge n. 1497/39, subordinando così la realizzazione di opere all’esclusiva autorizzazione prevista dall’articolo 7 della stessa legge,norma in base alla quale poi il Comune, dopo la verifica della compatibilità ambientale degli interventi effettuati ai fini della sanatoria, è intervenuto con il provvedimento n.110 del 28 maggio 1991, quello annullato dal provvedimento ministeriale impugnato dall’odierna parte appellante. In sostanza, scaduto il termine fissato dalla legge n.431/85 a causa dell’inerzia della Regione Campania che ha provveduto all’approvazione del piano paesistico nel 1995, a quasi dieci anni dalla scadenza di quel termine, la tutela è tornata ad essere affidata e regolata dalla disciplina prevista dalla citata legge n. 1497/39 e dall’articolo 82 del DPR 24 luglio 1977, n.616, modificato dall’articolo 1, comma 5 della legge n. 431/85 , secondo cui il provvedimento di previa autorizzazione va trasmesso al Ministero cui compete l’eventuale annullamento motivato, in caso di incompatibilità degli interventi. Fermo restando, ovviamente, che essa non costituisce fonte di diritto, non può comunque omettersi di rilevare che la stessa circolare ministeriale n.8 del 31 agosto 1985 (applicazione della legge 8 agosto 1985 n.431), adottata dal Ministero proponente immediatamente dopo l’approvazione di quest’ultima e prima della data del 7 settembre di sua entrata in vigore, nel precisare il divieto nelle aree individuate di ogni modificazione dell’assetto del territorio e di qualsiasi opera edilizia sino all’adozione obbligatoria da parte della Regione dei piani paesaggistici e ambientali o urbanistico-territoriali entro il 31 dicembre 1986, chiaramente affermava che il legislatore, trattando del divieto in questione, lo ritiene vigente sino a quella data, essendo esso perentorio ( paragrafo Tutela, sottoparagrafo III- vincoli e loro natura) Del resto, a questo Collegio appare ragionevole ritenere che l’inibizione di qualsiasi opera edilizia e di quanto comporti modificazione dell’assetto territoriale, poiché incide contestualmente sulla tutela della proprietà privata parimenti garantita dalla Costituzione non possa attingere a un livello di compressione illimitata di tale diritto, in assenza di una specifica regolamentazione ed è ragionevole quindi ritenere che quel legislatore abbia inteso fissare un termine temporale ritenuto congruo, anche attraverso la proroga del termine fissato in precedenza per l’adozione dei piani succitati.. Decorso e consumato quest’ultimo termine, in assenza del previsto adempimento e in presenza di un’inerzia significativa di una carenza di interesse della Regione a regolamentare il vincolo, non ritenendo prioritaria la tutela ipotizzata, è altresì ragionevole che debba venire meno la temporanea assolutezza del vincolo di inedificabilità, allo scopo di contemperare le due esigenze, entrambe costituzionalmente protette, quella della proprietà e quella paesistico-ambientale. Ciò attraverso la fine del regime temporaneo del vincolo di inedificabilità assoluta e la reintroduzione del regime vincolistico precedente di natura generica per le aree comprese nelle zone elencate dall’articolo 82, comma 5 del DPR 24 luglio 1976,n.616, come integrato dalla più volte citata legge n..431/85 o elencate nella legge 29 giugno 1939, n.497: Peraltro, riprendendo quanto gà osservato in precedenza l’articolo1 bis, comma 2 della stessa legge Galasso rinvia agli articoli 4 e 82 del sopraccitato DPR n. 616/77, specificando che, decorso il termine del 31 dicembre 1986, per l’adozione dei piani paesistici o urbanistico-territoriali, con specifica considerazione dei valori paesistici e ambientali e con riferimento ai beni elencati nel successivo comma 5, il Ministro per i beni culturali e ambientali è tenuto ad esercitare i poteri di cui agli articoli 4 e 82 del citato DPR n. 616/77. Ma ciò non consente di ritenere che il termine prorogato al 31 dicembre 1986 svolga solo la funzione di consentire l’esercizio del potere ministeriale sostitutivo e non quella di limitare la durata del divieto contenuto nell’articolo 1 quinquies citato. Sarebbe stato irragionevole e inutile, se così fosse, il ricorso alla proroga Quanto argomentato in merito alla verifica del vincolo al momento in cui l’istanza di condono viene ad essere esaminata, è in linea con la giurisprudenza di questo Consiglio. È ius receptum, infatti, che, in sede di rilascio della concessione edilizia in sanatoria per opere ricadenti in zone sottoposte a vincolo, nella specie previsto dall’art. 32 l. n. 47 del 1985, l’esistenza del vincolo va valutata al momento in cui deve essere presa in considerazione la domanda di condono, a prescindere dall’epoca della sua introduzione e, quindi, anche per le opere eseguite anteriormente all’apposizione del vincolo in questione; tale valutazione corrisponde all’esigenza di vagliare l’attuale compatibilità, con il vincolo, dei manufatti realizzati abusivamente (ex multis: Cons. Stato, Ad. plen., 22 luglio 1999, n. 20; IV, 29 novembre 2012, n. 6082; IV, 11 marzo 2013, n. 1464; VI, 31 maggio 2013, n. 3015). In relazione alla disciplina del condono edilizio della l. n. 47 del 1985 e delle connesse questioni (poste dall’art. 33) relative ai procedimenti di condono riguardanti territori con vincoli di inedificabilità relativa, si deve avere riguardo al regime vincolistico sussistente alla data di esame della domanda di sanatoria, secondo il principio tempus regit actum; quanto ai vincoli di inedificabilità assoluta, se è vero che alla stregua dell’art. 33 l. n. 47 del 1985 il vincolo di inedificabilità assoluta non può operare in modo retroattivo, tuttavia non si può considerare inesistente per il solo fatto che sia sopravvenuto all’edificazione (ciò che paradossalmente porterebbe a ritenere senz’altro sanabili gli interventi, i quali pertanto fruirebbero di un regime più favorevole di quello riservato agli abusi interessati da vincoli sopravvenuti di inedificabilità relativa); pertanto, se il vincolo di inedificabilità assoluta sopravvenuto non può considerarsi sic et simpliciter inesistente, ne discende che gli va applicato lo stesso regime della previsione generale dell’art. 32, 1º comma, stessa l. n. 47 del 1985, che subordina il rilascio della concessione in sanatoria per opere su aree sottoposte a vincolo al parere favorevole dell’autorità preposta alla tutela del vincolo medesimo (Cons. Stato, sez. VI, 6 maggio 2013, n. 2409).   T.A.R. Liguria, Sez. I, 14 ottobre 2014, n. 1440 - Effettivamente non v’è corrispondenza fra i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, comunicati alla ricorrente, e il parere negativo adottato dalla Soprintendenza, dopo le controdeduzioni presentate dalla stessa. La comunicazione ex art. 10 bis l. 241/90 individuava nell’alterazione del vincolo paesaggistico imposto con D.M. la ragione giustificatrice della non compatibilità dell’intervento di demolizione e ricostruzione del fabbricato. Dopo la comunicazione delle controdeduzioni tempestivamente formulate dalla ricorrente, dalle quali s’evinceva l’assenza di vincolo specifico, la Soprintendenza, anziché ritornare sui propri passi, aprendo una nuova istruttoria, ha negato ex abrupto la compatibilità paesaggistica dell’intervento. Sulla scorta dello stesso giudizio negativo, confortato dalla medesima motivazione, già esposti nella comunicazione dei motivi ostativi, ha individuato - anziché nel vincolo specifico - nella fascia di 150 metri dal corso d’acqua, ed in ragione del regime di mantenimento dell’area previsto dal PTCP, il vincolo ex lege ostativo alla realizzazione dell’intervento programmato. In definitiva nonostante l’individuazione di un vincolo diverso rispetto a quello su cui s’è articolato il contraddittorio, la Soprintendenza s’è espressa negativamente. L’elusione sostanziale del contraddittorio è tanto più evidente in ragione del fatto che la tutela di ciascun vincolo sottende una specifica valutazione non mutuabile ad libitum: il vincolo specifico ex art. 136 d.lgs 42/2004 tutela una tassonomia di beni per specifiche e peculiari caratteristiche; il vincolo ex art. 142 lett c) d.lgs. cit. tutela invece i fiumi ed i corsi d’acqua iscritti negli elenchi e le relative sponde. Il giudizio, e il relativo contraddittorio, sulla tutela del primo coinvolge profili, valori ed interessi che non riguardano affatto l’altro. E viceversa.   T.A.R. Liguria, Sez. I, 30 settembre 2014, n. 1402 - Il ricorso è fondato, avuto riguardo al difetto di motivazione dell’autorizzazione della Soprintendenza dedotto con il primo motivo. L’autorizzazione in questione (26 novembre 2013 n. prot. 00034445), infatti, dopo avere rilevato che “la collocazione è prevista in una zona di particolare pregio della città, trattandosi di uno slargo tra via XX Settembre, Via San Vincenzo (ambedue strade da intendersi sottoposte a tutela monumentale, risultando di proprietà comunale e realizzate da oltre 70 anni), ed in prossimità del Ponte monumentale”, con ciò lasciando presagire un’analisi particolarmente approfondita del progetto e della compatibilità con i valori ai quali il vincolo appresta tutela il provvedimento prosegue “preso atto che le opere in progetto sembrano allo stato attuale delle conoscenze, risultare compatibili con le esigenze di tutela monumentale dell’edificio in oggetto”. È agevole rilevare come faccia difetto completamente l’analisi delle esigenze di tutela presidiate dal vincolo e qualsiasi analisi della compatibilità del manufatto con il vincolo stesso.  Anche l’inciso “allo stato attuale delle conoscenze” rende manifesta la perplessità che affligge il provvedimento. Infatti, se la Soprintendenza avesse avuto il sospetto che le opere potessero essere diverse da quelle rappresentate negli elaborati avrebbe dovuto negare l’autorizzazione, se, invece, gli atti di cui disponeva fossero stati insufficienti ad esprimere il proprio avviso avrebbe dovuto approfondire l’istruttoria.  Peraltro la circostanza che tra le prescrizioni imposte vi fosse anche quella di produrre, a lavori ultimati, ampia documentazione fotografica a colori illustrante lo stato dell’immobile prima durante e dopo l’intervento rende evidente il difetto di istruttoria in cui è incorsa la Soprintendenza, ammettendo confessoriamente l’insufficienza della documentazione sulla base della quale l’autorizzazione è stata rilasciata.  Da questo angolo visuale la precisazione secondo la quale l’autorizzazione è rilasciata “allo stato attuale delle conoscenze” e la successiva richiesta di trasmissione della documentazione fotografica appaiono significativamente concordanti. Le successive integrazioni prodotte in giudizio non possono essere assunte a giustificazione del provvedimento impugnato atteso che, stante la natura tecnico discrezionale del giudizio della Soprintendenza, la possibilità di una integrazione motivazionale si scontra con il divieto di motivazione postuma del provvedimento amministrativo.   T.A.R. Liguria, Sez. I, 23 settembre 2014, n. 1355 - Il diniego è apodittico. Vi si legge: le opere sono “in palese contrasto con le finalità della legge 1497/1939 atteso che determinano uno stato di alterazione nella configurazione paesaggistica”.  Non si dà atto che il vincolo che grava sull’area scaturisce dal d.m. 24 aprile 1985; non è indicato il valore paesaggistico (asseritamente) compromesso (cfr. Tar Liguria, sez I, 30 ottobre 2013 n. 1256). Il tutto a fronte di opere consistenti nella modifica delle bucature esterne dell’edificio già preesistente e nell’ampliamento della sua volumetria resasi necessaria per adeguare la struttura agli standards richiesti per svolgere la pratica agraria. In aggiunta, con l’atto impugnato la Provincia ha fatto proprie valutazioni edilizie che sono istituzionalmente demandate all’ente locale (cfr. Tar Liguria, sez. I., 30 aprile 2010 n. 2031).   T.A.R. Liguria, Sez. I, 24 luglio 2014, n. 1200 - In ordine alla natura del giudizio contestata con il quarto ordine di rilievi, lungi dall’avere carattere estetico la valutazione svolta dagli organi comunali si è basata sulla stretta applicazione della norma di piano, mentre il parere della commissione locale del paesaggio non risulta imposto per le ipotesi quale quella in esame. Peraltro, la sezione (sentenza n. n. 360 del 2014) ha già avuto modo di evidenziare in materia che il parere della commissione locale per il paesaggio si rende necessario tutte le volte in cui venga in questione una valutazione di natura 'discrezionale' circa la compatibilità paesaggistica di un intervento ex art. 167 comma 4 del D. Lgs. n. 42/2004, per esempio circa l'impiego di materiali in difformità dall'autorizzazione paesaggistica. Diversamente, tutte le volte in cui la compatibilità paesaggistica debba essere negata per profili strettamente edilizi e sulla base di un'applicazione 'vincolata' della disposizione (per esempio, per interventi eccedenti la manutenzione, che abbiano determinato la creazione di superfici utili o volumi, ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati), il parere in questione potrà essere legittimamente omesso, in ossequio al divieto di inutile aggravamento del procedimento amministrativo ex art. 1 comma 2 L. n. 241/1990. In ogni caso, il provvedimento di diniego di sanatoria costituisce espressione di potere vincolato rispetto ai presupposti normativi richiesti e dei quali deve farsi applicazione, sicché l'omissione di un parere anche laddove dovesse reputarsi obbligatorio - e costituire violazione di norma sul procedimento - è sanabile mercé l'applicazione dell'art. 21-octies comma 2 L. n. 241/1990, allorché sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.   In relazione alla dedotta mancata comunicazione di avvio del procedimento, costituisce jus receptum il principio a mente del quale l'ingiunzione di demolizione di un manufatto abusivo, emessa successivamente all'adozione di un diniego di concessione edilizia in sanatoria, non necessita del previo avviso di avvio del procedimento amministrativo ex art. 7, l. 7 agosto 1990 n. 241, trattandosi di atto vincolato e meramente conseguenziale nell'ambito di un procedimento sanzionatorio sostanzialmente unitario (cfr. ad es. CdS n. 1480\2013 e Tar Liguria n. 150\2011).     T.A.R. Liguria, Sez. I, 24 luglio 2014, n. 1202 - Inammissibile il ricorso interposto avverso i provvedimenti di diniego delle domande di permesso di costruire e di autorizzazione paesaggistica in assenza della pertinente impugnativa del parere della Soprintendenza – La ricorrente non ha impugnato il parere vincolante della Soprintendenza che ha espresso parere negativo sulla domanda d’esecuzione dei lavori d’ampliamento, oggetto del permesso di costruire.   Il parere della Soprintendenza, formalmente comunicato alla società il 24.11.2011, ai sensi dell’art. 146 d.lgs. 42 del 2004, ha natura obbligatoria e vincolante e, determinando l’arresto del procedimento di rilascio del titolo edilizio, doveva essere autonomamente impugnato, con specifici motivi di censura (cfr., Tar Lombardia, Milano, sez. IV, 16 febbraio 2006 n. 416; Tar Molise 4 dicembre 2013 n. 721).   Impugnazione che avrebbe dovuto essere proposta anche nel giudizio che ne occupa promosso per l’annullamento dei dinieghi opposti dal Comune sulle domande di rilascio del permesso di costruire e d’autorizzazione paesaggistica.   I dinieghi, adottati all’esito del parere negativo della Soprintendenza, sono atti dovuti: sicché il loro (ipotetico) annullamento non procurerebbe alcun concreto vantaggio alla ricorrente.     T.A.R. Liguria, Sez. I, 1 luglio 2014, n. 1035 - La nozione di atto amministrativo implicito può ammettersi qualora ricorrano congiuntamente i seguenti elementi: a) una manifestazione chiara di volontà (comportamento concludente o altro atto amministrativo), proveniente da un organo amministrativo competente e nell'esercizio delle sue attribuzioni; b) la possibilità di desumere, in modo non equivoco, da tale manifestazione (altro atto o comportamento della pubblica amministrazione) una specifica volontà provvedimentale. Deve cioè emergere un collegamento biunivoco tra l'atto implicito e l'atto diverso o l'altra condotta, nel senso che l'atto implicito deve essere l'unica conseguenza possibile della presupposta manifestazione di volontà ( TAR Sicilia, Catania, I 13 giugno 2013 n. 1741 CGA, 1° febbraio 2012 n. 118; vedi anche T.A.R. Campania, Napoli, sez. VII, 7 giugno 2012 n. 2727).    Il primo requisito per la configurabilità di un atto amministrativo implicito è l’identità della competenza che nel caso di specie fa difetto, essendo la competenza al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica in capo al Comune mentre il parere proviene dalla Soprintendenza. Né vale evidenziare come il parere sia obbligatorio e vincolante ai sensi dell’art. 146 d.lgs. 42/04 posto che non pare possibile ammettere per implicito un atto di amministrazione attiva dall’esercizio di un potere consultivo di competenza di altro soggetto.    Con il secondo motivo la ricorrente sostiene che il provvedimento implicito sarebbe quello con il quale l’amministrazione ha quantificato gli oneri concessori e richiesto documentazione integrativa.   Il motivo è infondato.    Stante l’autonomia del procedimento per il rilascio del titolo edilizio da quello paesaggistico non è possibile inferire dalla nota in questione la positiva conclusione del procedimento di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica. Peraltro nella nota in questione neppure è menzionato il parere della Soprintendenza ed anzi è richiesta ulteriore documentazione quale copia della relazione paesaggistica, del computo metrico e di alcune tavole progettuali.    Ne consegue che non è possibile ritenere formatasi l’autorizzazione paesaggistica per implicito.     T.A.R. Liguria, Sez. I, 25 giugno 2014, n. 1004 - E' finanche intuitivo che, con riguardo a ciascuna categoria di vincolo, la commissione paesaggistica, chiamata ad esprimere il parere sulla domanda di condono edilizio, debba esprimere un'attenta valutazione in ordine alla specifica situazione paesaggistica tutelata.     T.A.R. Liguria, Sez. I, 28 maggio 2014, n. 802 - In proposito, costituisce principio consolidato nella giurisprudenza -- anche della sezione -- quello per cui in tema di determinazioni paesaggistiche, per l'amministrazione è necessario svolgere una motivazione in modo tale che emerga l'apprezzamento di tutte le rilevanti circostanze di fatto e la non manifesta irragionevolezza della scelta effettuata sulla prevalenza di un valore in conflitto con l'altro, non potendo l'autorità amministrativa limitarsi ad affermazioni apodittiche e dovendosi pure riferire non all'entità atomisticamente valutata del singolo intervento, ma al complesso strutturalmente individuato che deriva dalla sovrapposizione con quello preesistente e occorre, quindi, esternare adeguatamente l'avvenuto apprezzamento comparativo, da un lato, del contenuto del vincolo e, dall'altro, di tutte le rilevanti circostanze di fatto relative al manufatto ed al suo inserimento nel contesto protetto, in modo da giustificare la scelta di dare prevalenza all'interesse del privato rispetto a quello tutelato in via primaria attraverso l'imposizione del vincolo (cfr. ad es. Tar Liguria n. 1393/2011, 1406/2013 e 162/2014, Cds 4481/2013 e 3896/2013). Inoltre, l'onere di puntuale motivazione non sussiste solo in caso di diniego del titolo, non essendo dubbia la sua doverosità per l'assenso, dovendosi dar conto, in quest'ultimo caso, dell'iter logico seguito per verificare e riconoscere la compatibilità effettiva degli interventi edificatori in riferimento agli specifici vincoli paesaggistici dei luoghi (cfr. Tar Liguria n. 34 del 2013).   T.A.R. Liguria, Sez. I, 5 maggio 2014, n. 691 - Rilevato che il ricorso appare prima facie fondato sotto il duplice profilo assorbente del difetto di motivazione e della violazione dell’art. 10 bis l. 241 cit.;- considerato che, in linea di fatto, il diniego si basa sulla mera formula di stile sopra riportata, priva di qualsiasi riferimento alla normativa di piano ovvero edilizia applicata nonchè al vincolo applicato ed alle relative caratteristiche che si ritengono violate, nonché alla documentazione prodotta da parte istante;- rilevato che, in linea di diritto, va ribadito il principio a mente del quale è illegittimo il diniego di intervento edilizio e di connesso assenso paesaggistico qualora con esso l’ente si sia limitato ad esprimere le conclusioni di un giudizio di valore estetico-paesaggistico sul manufatto, senza operare, nel merito, una preventiva valutazione di conformità dell’intervento, rispetto ai valori ambientali tutelati in quella parte di territorio;- atteso che in tema di autorizzazione paesaggistica, a maggior ragione nel caso di diniego, per l'amministrazione è necessario motivare la determinazione in modo tale che emerga l'apprezzamento di tutte le rilevanti circostanze di fatto e la non manifesta irragionevolezza della scelta effettuata sulla prevalenza di un valore in conflitto con quello tutelato in via primaria, non potendo l'autorità amministrativa limitarsi ad affermazioni apodittiche e dovendosi pure riferire non all'entità atomisticamente valutata del singolo intervento, ma al complesso strutturalmente individuato che deriva dalla sovrapposizione con quello preesistente;- rilevato che occorre, quindi, esternare adeguatamente l'avvenuto apprezzamento comparativo, da un lato, del contenuto del vincolo e, dall'altro, di tutte le rilevanti circostanze di fatto relative al manufatto ed al suo inserimento nel contesto protetto, in modo da giustificare la scelta di dare prevalenza all'interesse del privato rispetto a quello tutelato in via primaria attraverso l'imposizione del vincolo (cfr. ex multis Tar Liguria sent nn. 1406\2013 e 2187\2008); - considerato che sotto il secondo profilo, risulta del tutto omessa qualsiasi valutazione delle considerazioni svolte in sede di partecipazione procedimentale, anche in risposta alla doverosa comunicazione ex art. 10 bis cit.; - atteso che, al riguardo, costituisce principio condiviso dal Collegio quello per cui la motivazione del provvedimento amministrativo è intesa a consentire al cittadino la ricostruzione del percorso logico e giuridico mediante il quale l'Amministrazione si è determinata ad adottarlo, controllando il corretto esercizio del potere ad esso conferito dalla legge, con la conseguenza, è illegittimo il provvedimento amministrativo nel quale non si dia conto delle motivazioni in risposta alle osservazioni proposte dal privato a seguito dell'avviso dato ai sensi dell'art. 10 bis, l. n. 241 del 1990, limitandosi l'Amministrazione a darne riscontro con formula di mero stile, come nella specie in cui si è solo ribadita la formula generica già evidenziata in sede di comunicazione.   Ordinanza T.A.R. Sicilia-Palermo, Sez. I, 10 aprile 2013, n. 802 - Il Tribunale Siciliano sottopone alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea la seguente questione pregiudiziale: "se l'articolo 17 della Carta dei diritti fondamentali dell'U.E. ed il principio di proporzionalità come principio generale del diritto dell’U.E., ostino all’applicazione di una normativa nazionale che, come l’art. 167, comma 4, lett. a), del Decreto legislativo n. 42 del 2004, esclude la possibilità del rilascio di una autorizzazione paesaggistica in sanatoria per tutti gli interventi umani comportanti l’incremento di superfici e volumi, indipendentemente dall’accertamento concreto della compatibilità di tali interventi con i valori di tutela paesaggistica dello specifico sito considerato"

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Com'è noto legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221 e ss.mm.ii., in materia di incentivi fiscali all'investimento in start-up innovative ha stabilito che "Per gli anni 2013, 2014, 2015 e 2016, all'imposta lorda  sul reddito delle persone fisiche si detrae un importo  pari al 19 per cento della somma investita dal contribuente nel capitale sociale di una o piu' start-up innovative direttamente ovvero per il tramite di organismi di investimento  collettivo  del  risparmio  che  investano prevalentemente in start-up innovative. 2. Ai fini di  tale  verifica,  non  si  tiene  conto  delle  altre detrazioni eventualmente spettanti al contribuente.  L'ammontare,  in tutto o in parte, non detraibile nel periodo d'imposta di riferimento puo' essere portato in  detrazione  dall'imposta  sul  reddito  delle persone fisiche nei periodi d'imposta successivi, ma non oltre il terzo. 3. L'investimento massimo detraibile ai sensi del comma 1, non puo' eccedere, in ciascun periodo d'imposta, l'importo di euro  500.000  e deve essere mantenuto per  almeno  due  anni;  l'eventuale  cessione, anche parziale, dell'investimento prima del decorso di tale  termine, comporta la decadenza dal beneficio e l'obbligo per  il  contribuente di restituire l'importo detratto, unitamente agli interessi legali. 4. Per i  periodi  d'imposta  2013,  2014,  2015  e  2016,  non concorre  alla  formazione   del   reddito   dei   soggetti   passivi dell'imposta sul reddito delle societa', diversi da imprese  start-up innovative, il 20  per  cento  della  somma  investita  nel  capitale sociale di una o piu' start-up innovative direttamente ovvero per  il tramite di organismi di investimento collettivo del risparmio o altre societa' che investano prevalentemente in start-up innovative. 5. L'investimento massimo deducibile ai sensi del comma 4 non puo' eccedere, in ciascun periodo d'imposta, l'importo di euro 1.800.000 e deve essere mantenuto per  almeno  due  anni.  L'eventuale  cessione, anche parziale, dell'investimento prima del decorso di tale  termine, comporta la decadenza dal  beneficio  ed  il  recupero  a  tassazionedell'importo dedotto, maggiorato degli interessi legali. 6. Gli organismi di investimento collettivo del risparmio  o  altre societa' che investano prevalentemente in imprese start-up innovative non beneficiano dell'agevolazione prevista dai commi 4 e 5. 7.  Per  le  start-up  a  vocazione  sociale  cosi'  come  definite all'articolo  25,  comma  4  e  per  le  start-up  che  sviluppano  e commercializzano esclusivamente prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico in ambito energetico la detrazione di cui al comma 1 e' pari al 25 per cento della somma investita e la deduzione di cui al comma 4 e' pari al 27 per cento della somma investita. 8. Con decreto del  Ministro  dell'economia  e  delle  finanze,  di concerto con il Ministro dello sviluppo economico,  entro  60  giorni dalla  data  di  entrata  in  vigore  del  presente decreto, sono individuate le modalita' di attuazione delle agevolazioni previste dal presente articolo. 9.  L'efficacia  della  disposizione  del  presente articolo e' subordinata, ai sensi dell'articolo 108, paragrafo  3,  del  Trattato sul funzionamento dell'Unione  europea, all'autorizzazione della Commissione europea , richiesta a cura del Ministero  dello  sviluppo economico". Con il d.m. 30 gennaio 2014 (G.U. n. 66 del 20.3.2014) è stata data finalmente attuazione a detto decreto. Si rinvia, per ogni dettaglio, al testo regolamentare. E' stato pubblicato in G.U. n. 264 del 13.11.2014 il d.m. 24.9.2014 recante "Riordino degli interventi di sostegno alla nascita e allo sviluppo di start-up innovative in tutto il territorio nazionale",nel quale vengono stabilite misure di finanziamento a favore delle start-up.    E' stato pubblicato in G.U. n. 84 dell'11.4.2016 il d.m. 25.2.2016 recante "Modalita' di attuazione dell'articolo 29 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17  dicembre 2012, n. 221, recante incentivi fiscali all'investimento in  start-up innovative". Tra le varie previsioni spicca l'agevolazione fiscale di cui all'art. 4, comma 1 in forza della quale "I  soggetti  passivi  dell'imposta  sul  reddito  delle  persone fisiche possono detrarre dall'imposta lorda, un importo  pari  al  19 per cento dei conferimenti  rilevanti  effettuati,  per  importo  non superiore a euro 500.000, in ciascun periodo d'imposta ai  sensi  del presente decreto. Per i soci di societa'  in  nome  collettivo  e  in accomandita semplice l'importo per il quale spetta la  detrazione  e'determinato in proporzione alle rispettive  quote  di  partecipazione agli utili e il limite  di  cui  al  primo  periodo  si  applica  con riferimento al conferimento in denaro effettuato dalla società", mentre ai sensi del successivo comma 3 "I soggetti  passivi  dell'imposta  sul  reddito  delle  societa' possono dedurre dal proprio reddito complessivo un importo pari al 20 per cento dei conferimenti  rilevanti  effettuati,  per  importo  non superiore a euro 1.800.000, per ciascun periodo  d'imposta". Le condizioni per poter fruire delle agevolazioni sono prevista dal successivo art. 5.

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L.R. n. 15/2017 - Adeguamento della disciplina dell'attività edilizia al D.L. cd. "SCIA 2".   Ricorso per legittimità Costituzionale n. 65/2015 - Impugnate dal Governo alcune norme della L.R. n. 16/2008    L.R. 6 giugno 2008, n. 16 - Disciplina dell'attività edilizia

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Ricorso per legittimità Costituzionale n. L.R. n. 36/1997 - Impugnata dal Governo la Legge Urbanistica Ligure

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T.A.R. Liguria, Sez. I, 22 giugno 2016, n. 639 - Preliminarmente, è infondata l’eccezione di inammissibilità per difetto di giurisdizione del giudice adito, sollevata da parte resistente. In materia va infatti condivisa la giurisprudenza prevalente a mente della quale rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi dell'art. 133 comma 1 lett. a), c.p.a, la controversia avente ad oggetto l'efficacia di un accordo transattivo (cfr. ad es. Cass SSUU n. 2546\2011 e Tar Bari n. 1796\2011). Ricorre pertanto la giurisdizione del giudice amministrativo ai sensi della normativa predetta (prima ex art. 11, comma 5, l. n. 241 del 1990) nell'ipotesi in cui un Comune e dei privati stipulino un accordo transattivo con il quale si pattuisca, da una parte, che i privati rinuncino ad alcuni ricorsi promossi innanzi al T.A.R. avverso provvedimenti comunali volti alla realizzazione di interventi pubblici e, dall'altra, che il Comune assuma l'obbligo di approvare il progetto allegato all’accordo, diverso da quello oggetto dei ricorsi rinunciati. Nella specie, in particolare, l’accordo ha carattere procedimentale, teso a predeterminare il contenuto di provvedimenti amministrativi, approvativi dell’intervento come modificato. In ordine poi all’estensione di tale ipotesi generale di giurisdizione esclusiva la giurisprudenza ha già avuto modo di evidenziarne la portata ampia, in una lettura all’evidenza ragionevole tesa a garantire unicità di statuizione in tutti i casi in cui, come nella specie, oggetto della vertenza sia l’interpretazione, applicazione ed esecuzione dell’accordo procedimentale o sostitutivo, quale che sia la parte che agisce o che si reputi inadempiente. Nella specie, inoltre, nessun elemento ostativo può desumersi dalle conclusioni cui è giunto il Tribunale di Savona: sia in termini formali di vincolo delle relative statuizioni, peraltro parziali, in tema di estensione della giurisdizione; sia a fronte del limitato oggetto della questione azionata in sede di ricorso ex art. 702 bis cpc, rispetto alle domande proposte in questa sede. Peraltro, quale che sia la soluzione in tema di estensione della giurisdizione della g.a. in materia, nessun dubbio viene sollevato, nella specie – neppure da parte resistente –, in ordine alla cognizione domanda di annullamento degli atti impugnati, rientrante nella ordinaria sfera di cognizione di legittimità del g.a. ovvero nella sfera della giurisdizione esclusiva ex art. 133 comma 1 lett. f) s. cod proc amm..   Interessante pronunciamento dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, 12 aprile 2016, n. 7 il materia di delimitazione della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, secondo cui "il carattere fondamentale del diritto nella specie azionato non può certo essere decifrato come un’eccezione innominata al perimetro della giurisdizione esclusiva.   La cognizione e la tutela dei diritti fondamentali, infatti, intendendosi per tali quelli costituzionalmente garantiti, non appare affatto estranea all’ambito della potestà giurisdizionale amministrativa, nella misura in cui il loro concreto esercizio implica l’espletamento di poteri pubblicistici, preordinati non solo alla garanzia della loro integrità, ma anche alla conformazione della loro latitudine, in ragione delle contestuali ed equilibrate esigenze di tutela di equivalenti interessi costituzionali.   Non solo, ma l’affermazione dell’estensione della giurisdizione esclusiva amministrativa anche alla cognizione dei diritti fondamentali (peraltro ammessa, al punto 2.6, anche dalla Sezioni Unite nella sentenza più volte richiamata) non vale in alcun modo a sminuire l’ampiezza della tutela giudiziaria agli stessi assicurata, nella misura in cui al giudice amministrativo è stata chiaramente riconosciuta la capacità di assicurare anche ai diritti costituzionalmente protetti una tutela piena e conforme ai precetti costituzionali di riferimento (Corte Cost., sentenza 27 aprile 2007, n.140), che nessuna regola o principio generale riserva in via esclusiva alla cognizione del giudice ordinario.    4.4- Né, per altro verso, i confini della giurisdizione esclusiva possono intendersi ristretti o ridimensionati, in ragione della natura vincolata o tecnica dell’esercizio della potestà oggetto del giudizio (potendosi, nella fattispecie esaminata, sostenere che la stima delle ore di sostegno necessarie all’alunno disabile deve indefettibilmente fondarsi su un apprezzamento della gravità della sua patologia e delle coerenti esigenze dell’insegnamento di sostegno, secondo parametri scientifici e, perciò, cogenti).   E’ sufficiente, al riguardo, osservare che l’attribuzione al giudice amministrativo della giurisdizione esclusiva in determinate materia implica, evidentemente, una cognizione piena, e non limitata ai soli profili di esercizio discrezionale del potere, della controversie ad essa riferibili. Ne consegue che, là dove il diritto azionato postuli, per la sua completa realizzazione, l’espletamento di una potestà pubblica che si risolve nella verifica, sulla base di canoni medici o scientifici, dei presupposti per la sua attuazione, la potestà cognitoria del giudice amministrativo deve intendersi estesa anche allo scrutinio della correttezza del predetto apprezzamento, in quanto implicato dalla disamina della fondatezza della pretesa azionata in giudizio, seppur nei limiti del sindacato relativo alla discrezionalità tecnica (Cons. St., sez. III, 12 aprile 2013, n.1989)"

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E' stato finalmente pubblicato sulla G.U. n. 121 del 25.5.2022 il d.m. 11 marzo 2022, n. 55 recante "Regolamento recante disposizioni in materia di comunicazione, accesso e consultazione dei dati e delle informazioni relativi alla titolarita' effettiva di imprese dotate di personalita' giuridica, di persone giuridiche private, di trust produttivi di effetti giuridici rilevanti ai fini fiscali e di istituti giuridici affini al trust" che ricordiamo è stato emanato in forza dell'art. 21 d.lgs. n. 231/2007 il quale per quanto qui d'interesse stabilisce che "[...] I  trust  produttivi  di  effetti  giuridici  rilevanti  a  fini fiscali, secondo quanto disposto dall'articolo  73  del  decreto  del Presidente della Repubblica del 22 dicembre 1986 n. 917 nonche' gli istituti giuridici affini stabiliti o residenti sul territorio  della Repubblica italiana, sono tenuti all'iscrizione in apposita sezione speciale  del  Registro  delle  imprese.  Le  informazioni   di   cui all'articolo 22, comma 5, relative  alla  titolarita'  effettiva  dei medesimi trust e  degli  istituti  giuridici  affini,  stabiliti  o residenti sul territorio della Repubblica italiana sono comunicate, a cura del fiduciario ((o dei fiduciari, di altra persona  per  conto del fiduciario  o  della  persona  che  esercita  diritti,  poteri  e facolta'  equivalenti  in  istituti  giuridici  affini,   per   via esclusivamente telematica e in esenzione  da  imposta  di  bollo,  al Registro  delle  imprese,  ai  fini  della  relativa   conservazione. L'omessa comunicazione delle informazioni sul titolare  effettivo  e' punita con la medesima sanzione di cui all'articolo 2630  del  codice civile. 4. L'accesso alle informazioni di cui  all'articolo  22,  comma  5, relative alla titolarita' effettiva dei medesimi trust e' consentito:       a) alle autorita' di cui al comma 2, lettera a) e alla  Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, senza alcuna restrizione;       b)  ((...))  all'autorita'   giudiziaria   nell'esercizio   delle rispettive  attribuzioni  istituzionali,  previste   dall'ordinamento vigente;       c) alle autorita' preposte al  contrasto  dell'evasione  fiscale, secondo modalita' di accesso idonee a garantire il  perseguimento  di tale  finalita',  stabilite  in   apposito   decreto   del   Ministro dell'economia e delle finanze  di  concerto  con  il  Ministro  dello sviluppo economico;       d) ai soggetti obbligati, a supporto degli adempimenti prescritti in occasione dell'adeguata verifica, previo accreditamento  e  dietro pagamento dei diritti di segreteria  di  cui  all'articolo  18  della legge 29 dicembre 1993, n. 580.       d-bis) dietro  pagamento  dei  diritti  di  segreteria  di  cui all'articolo 18 della legge 29 dicembre 1993,  n.  580,  ai  soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi diffusi, titolari  di un interesse giuridico rilevante e differenziato, nei casi in cui  la conoscenza della titolarita' effettiva sia necessaria  per  curare  o difendere   un   interesse   corrispondente   ad    una    situazione giuridicamente  tutelata,  qualora  abbiano   evidenze   concrete   e documentate della non  corrispondenza  tra  titolarita'  effettiva  e titolarita' legale. L'interesse  deve  essere  diretto,  concreto  ed attuale e, nel caso di enti rappresentativi di interessi diffusi, non deve  coincidere  con  l'interesse  di  singoli   appartenenti   alla categoria rappresentata. In circostanze eccezionali,  l'accesso  alle informazioni sulla titolarita'  effettiva  puo'  essere  escluso,  in tutto o in parte, qualora l'accesso esponga il titolare  effettivo  a un rischio sproporzionato di frode, rapimento,  ricatto,  estorsione, molestia,  violenza  o  intimidazione  ovvero  qualora  il  titolare effettivo sia una  persona  incapace  o  minore  d'eta',  secondo  un approccio caso per caso e previa dettagliata valutazione della natura eccezionale delle circostanze. I dati statistici relativi  al  numero delle  esclusioni  deliberate  e  alle  relative   motivazioni   sono pubblicati e comunicati alla Commissione  europea  con  le  modalita' stabilite dal decreto di cui al comma 5.     5. Con apposito decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello sviluppo  economico,  sentito  il Garante per la protezione dei dati personali, sono stabiliti:       a) i dati e le informazioni  sulla  titolarita'  effettiva  delle imprese dotate di personalita' giuridica,  delle  persone  giuridiche private e dei trust e degli istituti giuridici affini, stabiliti  o residenti sul territorio della Repubblica italiana da comunicare al Registro delle imprese nonche' le modalita' e  i  termini  entro  cui effettuare la comunicazione;       b) le modalita' attraverso cui le informazioni sulla  titolarita' effettiva delle  imprese  dotate  di  personalita'  giuridica,  delle persone giuridiche private e dei trust e degli  istituti  giuridici affini,  stabiliti  o  residenti  sul  territorio  della   Repubblica italiana sono rese tempestivamente accessibili  alle  autorita'  di cui al comma 2, lettera a);       c) le modalita' di consultazione delle informazioni da parte  dei soggetti obbligati e i relativi requisiti di accreditamento;       d) i termini, la competenza e le modalita' di  svolgimento  del procedimento volto a rilevare la ricorrenza delle cause di esclusione dell'accesso e a valutare la sussistenza  dell'interesse  all'accesso in capo ai soggetti di cui al comma  4,  lettera  d-bis),  nonche'  i mezzi di tutela dei medesimi soggetti interessati avverso il  diniego opposto dall'amministrazione procedente;))       e) con specifico riferimento alle informazioni sulla  titolarita' effettiva di persone giuridiche private diverse dalle  imprese  e  su quella dei trust produttivi di effetti  giuridici  rilevanti  a  fini fiscali, le modalita' di dialogo tra il Registro delle imprese  e  le basi di dati, relative alle persone  giuridiche  private,  gestite dagli Uffici territoriali del governo  nonche'  quelle))  di  cui  e' titolare l'Agenzia delle entrate relativi al codice  fiscale  ovvero, se assegnata, alla partita IVA del  trust  e  agli  atti  istitutivi, dispositivi, modificativi o traslativi inerenti le  predette  persone giuridiche e i trust, rilevanti in quanto presupposti impositivi  per l'applicazione di imposte dirette o indirette.       e-bis)  le  modalita'  attraverso  cui  i  soggetti   obbligati segnalano al Registro  le  eventuali  incongruenze  rilevate  tra  le informazioni relative alla titolarita'  effettiva,  consultabili  nel predetto  Registro  e  le  informazioni,  relative  alla  titolarita' effettiva, acquisite dai predetti soggetti  nello  svolgimento  delle attivita' finalizzate all'adeguata verifica della clientela;       e-ter) le  modalita'  di  dialogo  con  la  piattaforma  centrale europea istituita dall'articolo 22, paragrafo 1, della direttiva (UE) 2017/1132, del Parlamento europeo e  del  Consiglio,  del  14  giugno 2017, relativa ad alcuni aspetti di diritto societario,  al  fine  di garantire l'interconnessione tra le sezioni del Registro  di  cui  ai commi 1 e 3 del presente articolo e  i  registri  centrali  istituiti presso gli Stati membri per la conservazione delle informazioni e dei dati sulla titolarita' effettiva di enti giuridici e trust.     6. I  diritti  di  segreteria  per  gli  adempimenti  previsti  dal presente  articolo  sono  stabiliti,  modificati  e  aggiornati,  nel rispetto dei costi standard, con le modalita' di cui all'articolo  18 della legge 29 dicembre 1993, n. 580, e successive modificazioni.     7. La consultazione dei registri di cui al  presente  articolo  non esonera i soggetti obbligati dal valutare il rischio di riciclaggio e finanziamento del terrorismo cui sono  esposti  nell'esercizio  della loro attivita' e dall'adottare misure adeguate al rischio medesimo.     7-bis. I soggetti obbligati che consultino i registri di  cui  al presente articolo a supporto degli adempimenti di  adeguata  verifica del   titolare   effettivo,   acquisiscono   e    conservano    prova dell'iscrizione del titolare effettivo nei predetti  registri  ovvero conservano  un  estratto  dei  registri  idoneo  a  documentare  tale  iscrizione".   Interessante risposta n. 355/2019 dell'Agenzia delle Entrate in risposta ad un interpello nel quale il contribuente chiedeva il regime fiscale di un atto di risoluzione consensuale di un trust. Secondo l'Agenzia delle Entrate un atto di trust non è scioglibile in via consensuale ai sensi dell'art. 1372 c.c. poiché l'atto istitutivo del trust così come i successivi atti di conferimenti sono atti unilaterali formati esclusivamente dal disponente, che si spoglia del potere di disporre del bene conferito a favore del trustee cui compete la titolarità esclusiva dello stesso sicché "Ne consegue, che, da un punto di vista fiscale troverà applicazione l’ordinaria disciplina dell’imposta sulle successioni e donazioni contenuta nel D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 (di seguito TUS) e, per quanto concerne le imposte ipotecaria e catastale, la disciplina del D.lgs. 31 ottobre 1990, n. 347.A tal fine, si può far riferimento anche alle Circolari n. 48 del 6 agosto 2007 e n. 3 del 22 gennaio 2008 che forniscono chiarimenti in merito alle modalità di applicazione al trust dell'imposta sulle successioni e donazioni.Al riguardo, si ricorda che le imposte ipotecaria e catastale sono dovute, rispettivamente, per la formalità della trascrizione di atti aventi ad oggetto beni immobili o diritti reali immobiliari e per le relative volture catastali"   Si può trovare in allegato un articolo che riassume in modo sintetico i più rilevanti pronunciamenti giurisprudenziali in materia di trust che sono intercorsi nell'ultimo anno.

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Con le importanti decisioni nn. 333 e 334 del 4 aprile 2016 il TAR Liguria si è pronunciato sul riparto di giurisdizione G.A./G.O. in tema di dismissione delle partecipazioni azionarie vietate ai sensi dell'art. 1, c. 569, L. n. 147/2013 e di piano operativo di razionalizzazione delle società e delle partecipazioni societarie direttamente o indirettamente possedute dagli Enti pubblici ai sensi dell'art. 1, c. 611 e 612 L. n. 190/2014.     Secondo il Giudice adito l’art. 1, c. 569, legge n. 14/2013, nel disporre la cessazione ope legis delle partecipazioni azionarie vietate e il conseguente diritto dell’Amministrazione alla liquidazione del relativo valore, è una tipica norma di relazione tesa a disciplinare non tanto i poteri degli organi pubblici, che sono anzi surrogati dalla previsione di un’ipotesi eccezionale di recesso ex lege, quanto i rapporti tra la pubblica amministrazione e le società partecipate, fonte immediata di diritti soggettivi (di recesso e liquidazione della quota) e di corrispondenti obblighi. La dismissione della partecipazione concreta quindi un atto jure privatorum, compiuto dal comune uti socius – e non jure imperii – a valle della scelta di fondo circa l’impiego del modello societario. Non venendo in rilievo l’esercizio di un potere amministrativo propriamente detto, ma soltanto l’accertamento vincolato del ricorrere dei presupposti di legge per la cessazione della partecipazione azionaria, deve ritenersi che la controversia esuli, ex art. 7 c.p.a., dalla giurisdizione del G.A. per rientrare in quella del G.O., al quale spetta d’altronde la cognizione delle domande concernenti il diritto di recesso del socio e, per il caso di contestazioni, sulla liquidazione del valore delle azioni.   Viceversa, il Piano operativo ex art. 1, c. 611 e 612 L. n. 190/2014 di razionalizzazione delle società e delle partecipazioni direttamente o indirettamente possedute in società aventi per oggetto attività di produzioni e servizi “indispensabili” al perseguimento delle finalità istituzionali dell’Ente (e come tali non vietate) è redatto dagli Enti sulla base di una serie di criteri e obiettivi di risparmio, con definizione delle modalità e dei tempi di attuazione, dunque sulla base di valutazioni tipicamente discrezionali circa il quid, il quando e il quomodo della razionalizzazione. Viene quindi in rilievo una tipica norma di azione, con la conseguenza che le scelte operate in attuazione della stessa sono sindacabili dal GA, involgendo posizioni di interesse legittimo, come accade generalmente per i provvedimenti generali e/o di pianificazione.

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