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T.A.R. Liguria, Sez. I, 21 gennaio 2019, n. 42 - A fronte di una realizzazione quasi completamente rispettosa del progetto sotto il profilo dimensionale, avrebbero dovuto essere chiarite le ragioni in forza delle quali si è ritenuto di configurare un intervento in totale difformità. La pacifica traslazione del fabbricato sull’area di pertinenza, infatti, non autorizza tale qualificazione né consente di configurare una variazione essenziale, poiché non è stato dimostrato l’eventuale superamento dei limiti quantitativi previsti dall’art. 44, comma 2, lettera c), l.r. Liguria n. 16/2008.    T.A.R. Liguria, Sez. I, 19 dicembre 2017, n. 931 - L’impugnativa proposta con il ricorso n. 376/2017 fonda sull’asserita natura di “silenzio-rigetto” del comportamento inerte serbato dall’Amministrazione a fronte dell’istanza di accertamento di conformità. L’art. 49, comma 4, della l.r. Liguria 6 giugno 2008, n. 16, vigente ratione temporis, stabiliva che “sulla richiesta di accertamento di conformità il responsabile dello SUE si pronuncia, con adeguata motivazione, entro sessanta giorni dalla presentazione dell'istanza completa di tutta la documentazione necessaria, decorsi i quali sulla richiesta si intende formato il silenzio-rifiuto”. Questo Tribunale ha recentemente avuto modo di precisare che il “silenzio rifiuto in esame non dà luogo ad una ipotesi di silenzio significativo di diniego” (T.A.R. Liguria, sez. I, 20 marzo 2017, n. 225). In tal senso depone, del resto, l’inequivoco tenore letterale del citato comma 4. Ne consegue l’insussistenza di un provvedimento denegatorio formatosi per silentium e, in conseguenza, l’inammissibilità del ricorso contenente la sola domanda di annullamento di tale supposto provvedimento tacito.   T.A.R. Liguria, Sez. I, 26 maggio 2017, n. 463 - Assume rilievo dirimente il principio secondo cui nel processo amministrativo, ove l'interessato abbia attivato un procedimento per ottenere il permesso di costruire a sanatoria degli abusi edilizi da lui commessi, il ricorso già proposto avverso il provvedimento repressivo emesso dall'Amministrazione pubblica diviene improcedibile per sopravvenuta carenza d'interesse, perché divenuto inefficace, dovendo essere sostituito da un nuovo provvedimento sanzionatorio (cfr. ex multis CdS 4941\2016); - atteso che in tal caso, infatti, la presentazione dell'istanza di sanatoria produce l'effetto di rendere inefficace tale provvedimento e, quindi, improcedibile l'impugnazione stessa per sopravvenuta carenza di interesse, atteso che a seguito dell'istanza di sanatoria l'ordinanza di demolizione deve essere sostituita o dalla concessione in sanatoria o da un nuovo provvedimento sanzionatorio (cfr. ex multis Tar Piemonte 1284\2016).   T.A.R. Liguria, Sez. I, 26 febbraio 2015, n. 235 - Considerato che sotto il profilo della legittimazione a richiedere la sanatoria, questa sezione ha già evidenziato che la platea degli aventi diritto a chiedere l'accertamento di conformità non è affatto circoscritta a chi vanti una situazione giuridica d'appartenenza sull'opus, essendo estesa, oltre al responsabile dell'abuso, a tutti coloro i quali abbiano un interesse qualificato alla sanatoria (cfr. sent 800\2014; cfr. altresì CdS 3220\2013, Tar Lecce 2409\2014 e CdS 6906\2006); - atteso che, in proposito, va ribadito che potenziale responsabile dell'abuso edilizio e, quindi, legittimato (ex art. 13, l. 28 febbraio 1985 n. 47 e ora ex art. 36 tu edilizia e 49 l.r. 16\2008) a presentare istanza di sanatoria può essere non solo il proprietario o altro soggetto che vanti, sull'area, un diritto reale o obbligatorio, ma anche soggetti che, in relazione al loro rapporto privilegiato o comunque qualificato con il bene (in quanto, ad esempio, legittimi detentori o possessori dello stesso), possano avere avuto la possibilità di realizzare l'abuso, così assumendosene la responsabilità; - rilevato che il criterio della responsabilità non prefigura, infatti, ai fini del rilascio della sanatoria, la sussistenza, in capo al richiedente, di uno specifico rapporto giuridico sottostante di natura reale o obbligatoria con il bene oggetto della sanatoria (area di sedime e manufatto), ma pone l'accento — e il presupposto giuridico per l'applicabilità della norma — sul comportamento dell'autore dell'illecito; - atteso che, di conseguenza, in quanto artefice delle opere non consentite, ma conformi, comunque, alla disciplina urbanistica vigente sia al momento della realizzazione delle opere che al momento della richiesta della sanatoria, il responsabile dell'abuso è legittimato, anche per non incorrere nel regime sanzionatorio, ad avanzare la dichiarazione di conformità e conseguire il relativo titolo autorizzatorio o concessorio, salvi restando, naturalmente, i diritti dei terzi; - considerato che, nel caso de quo, il rapporto col bene emerge sia dal fatto di essere pacificamente qualificabile, il consorzio ricorrente, quale responsabile dei lavori contestati, sia per il pacifico legittimo utilizzo della strada stessa, la quale non a caso dà il nome al consorzio stesso, sia, in termini dirimenti, per la titolarità al riguardo di pregressi titoli (sia ordinario di ampliamento della strada, sia di sanatoria del medesimo abuso in questione) nonché per la qualifica di destinatario di precedente ordine contingibile ed urgente proprio in relazione all’opera ed ai luoghi in contestazione.   T.A.R. Liguria, Sez. I, 13 gennaio 2015, n. 71 - Il ricorso è fondato, sotto l’assorbente profilo, dedotto con il primo motivo, della violazione dell’art. 3 L. n. 241/1990 per difetto assoluto di motivazione. In effetti, la motivazione del diniego appare apodittica, non indicando quali sarebbero – in concreto – i profili di contrasto con le N.T.A. del piano di recupero e delle relative schede di analisi puntuale, e quali sarebbero le disposizioni urbanistico-edilizie specificamente non rispettate. Donde l’illegittimità del diniego, con obbligo del comune di rideterminarsi motivatamente sulla domanda di sanatoria.   T.A.R. Liguria, Sez. I, 9 dicembre 2014, n. 1821 - La conferma è una manifestazione di volontà non innovativa con cui l'autorità ribadisce una sua precedente determinazione, eventualmente ripetendone il contenuto, e a sua volta si distingue in conferma propria, allorquando la precedente statuizione è confermata sulla base di una rinnovata valutazione degli interessi sottesi alla fattispecie dedotta nell'atto, e conferma impropria (o atto meramente confermativo), allorquando la conferma della precedente statuizione non avviene a seguito di una nuova valutazione, ma semplicemente rigettando le osservazioni formulate dall'interessato (T.A.R. Liguria, I, 11.6.2014, n. 910; id., 13.5.2011, n. 762). Nel caso di specie, ancorché la commissione edilizia sembrerebbe essere stata nuovamente investita della questione, non risulta acquisito all’istruttoria alcun nuovo elemento di fatto (tali non potendosi certo ritenere le osservazioni dei ricorrenti circa la qualificazione giuridica dell’intervento), ma – soprattutto – non risulta effettuata né dalla commissione, né dall’amministrazione alcuna nuova valutazione della situazione e degli interessi in gioco, che aveva condotto al precedente provvedimento di diniego. Si tratta dunque di un atto meramente confermativo, chiara espressione della decisione di non ritornare sulle scelte effettuate, come tale insuscettibile di autonoma impugnazione.   T.A.R. Liguria, Sez. II, 2 dicembre 2014, n. 1763 - Il ricorso è invece fondato nella restante parte, concernente il diniego di sanatoria opposto dal Comune con riguardo al materiale di copertura del manufatto in questione. I ricorrenti sostengono infatti a ragione che, in assenza di vincoli di qualsiasi natura (estetica, di sicurezza o igienico sanitaria) – si tratta di zona a destinazione industriale - la realizzazione del tetto in tegole in laterizio alla marsigliese, posta dal Comune come condizione per la chiesta sanatoria ex art. 13 della legge n. 47/1985, malgrado le difficoltà tecniche ed economiche evidenziate dagli interessati, rappresenta una prescrizione illogica e soprattutto immotivata, non rinvenendosi negli atti istruttori le ragioni di interesse pubblico che ne impongono l’adozione.   T.A.R. Liguria, Sez. I, 28 novembre 2014, n. 1755 - Sempre in via preliminare, dev’essere rigettata l’eccezione comunale di improcedibilità del ricorso R.G. n. 1868/1996 in ragione dell’avvenuta presentazione dell’istanza di sanatoria. Difatti, secondo una consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato, la presentazione di un’istanza di sanatoria per doppia conformità – diversamente dalla presentazione di un’istanza di sanatoria straordinaria o condono – non comporta affatto la sopravvenuta carenza di interesse rispetto all’impugnazione dell’ordine di demolizione (cfr. Cons. di St., V, 31.3.2014, n. 1546; id., IV, 26.9.2013, n. 4818).   T.A.R. Liguria, Sez. I, 21 ottobre 2014, n. 1458 - Rilevato che l’istruttoria comunale, lungi dal valutare prioritariamente tali elementi concernenti la consistenza e la funzione attuale del manufatto, ha costruito il diniego conclusivo sul presupposto del mero futuro eventuale e potenziale utilizzo del manufatto, il quale tuttavia presuppone interventi di consistenza edilizia ed urbanistica allo stato del tutto assenti e meramente ipotetici; - considerato che, in linea di diritto, costituisce jus receptum il principio a mente del quale i volumi tecnici come tali non sono rilevanti ai fini della volumetria di un immobile (cfr. ex multis CdS n. 3038\2014); - atteso che sarebbe quindi illogico attribuire un diverso e superiore rilievo edilizio ed urbanistico ad un qualcosa di inferiore al volume tecnico (nozione ben nota nel vigente ordinamento di governo del territorio), il “vuoto tecnico” (nozione invero sconosciuta a livello ordinamentale edilizio – urbanistico) che, rispetto al primo, è insuscettibile di autonomo utilizzo ai fini abitativi contestati, anche solo in via di accessorietà degli impianti ivi collocati come accade per il volume tecnico (ed assenti nel caso del vuoto); - rilevato che, in proposito, anche la giurisprudenza più rigorosa ha evidenziato che la realizzazione di un volume interrato determina inevitabilmente una alterazione dello stato dei luoghi, rilevante oltre che sotto il profilo paesaggistico anche sul piano urbanistico-edilizio, salvo che per le sue caratteristiche non possa essere qualificato come un mero volume tecnico (cfr. ad es Tar Umbria n. 356\2014); - considerato che, pertanto, l’amministrazione comunale avrebbe dovuto (e dovrà in sede di riesame) preliminarmente valutare l’attuale consistenza e destinazione del volume in contestazione, valutando la prospettazione dello stesso nella presentata funzione di fondamenta ed intercapedine prima che in quella, solo ipotetica, di futura utilizzabilità abitativa previa realizzazione di ulteriori interventi, allo stato assenti.   T.A.R. Liguria, Sez. I, 30 settembre 2014, n. 1403 - Con l’ultimo motivo il ricorrente lamenta che l’amministrazione non abbia segnalato al ricorrente la possibilità di avvalersi dell’accertamento di conformità. Nessun obbligo gravando in tal senso sull’amministrazione, tanto più che il ricorrente era perfettamente edotto in ordine alla possibilità di ottenere l’accertamento di conformità - avendo lo stesso ricorrente precedentemente presentato analoga istanza - il motivo deve essere respinto.   T.A.R. Liguria, Sez. I, 1 luglio 2014, n. 1034 - In assenza di specifica istanza dell’interessato l’amministrazione non è tenuta ad accertare l’impossibilità di procedere a demolizione senza recare pregiudizio alle parti conformi.   T.A.R. Liguria, Sez. I, 14 novembre 2013, n. 1367 - Il Collegio ritiene regolarizzabili -- e per l'effetto annulla il diniego di sanatoria -- le opere comportanti un lieve incremento volumetrico volto all'adeguamento tecnologico ed al miglioramento energetico dell'edificio (cfr. anche T.A.R. Liguria, Sez. I, n. 331/2012): "La documentazione versata in atti dimostra che le opere di manutenzione realizzate, per eliminare le infiltrazioni, hanno portato alla eliminazione delle intercapedini esistenti tra i tubi di sostegno della originaria veranda ed il confine del terrazzo. Questo Tribunale (sez. I n.331\2012) ha già avuto modo di affermare che, nei casi in cui il risibile ampliamento del manufatto ha, come nel caso di specie, una funzione di miglioramento energetico del manufatto, attraverso l’inspessimento delle pareti per una migliore coibentazione, le opere possono essere regolarizzate".   La pronuncia riassume gli effetti che la proposizione della domanda di sanatoria determina sulla precedente ordinanza di demolizione smentendo il consolidato principio secondo cui il riesame dell'abusività dell'opera provocato dalla domanda di regolarizzazione comporta ex se la necessaria formazione di un nuovo provvedimento che vale comunque a superare il provvedimento sanzionatorio oggetto dell'impugnativa,dal momento che, in caso di diniego del richiesto accertamento di conformità, l'amministrazione comunale dovrebbe emettere nuova ordinanza di demolizione con fissazione di nuovi termini per ottemperarvi.   T.A.R. Liguria, Sez. I, 19 aprile 2013, n. 699 - "La Sezione, con ciò aderendo ad un diverso orientamento giurisprudenziale (per il quale cfr. Cons. di St., IV, 15.6.2012, n. 3534), ha più volte affermato che la presentazione di un’istanza di accertamento di conformità condiziona al più l’efficacia della precedente ordinanza di demolizione, ma non può giammai - per il principio tempus regit actum - costituire parametro della sua legittimità e - men che meno - espungerla dal mondo del diritto, sicché l'amministrazione è tenuta a mandare ad esecuzione l’ordine di demolizione non appena abbia rigettato tale domanda (così T.A.R. Lazio, I, 9.7.2012, n. 6197; T.A.R. Liguria, I, 11.7.2011, n. 1084). Più precisamente, la presentazione dell’istanza di accertamento di conformità determina un arresto dell’efficacia della misura ripristinatoria, nel senso che questa è soltanto sospesa, determinandosi uno stato di temporanea quiescenza dell’atto, all’evidente fine di evitare, in caso di accoglimento dell’istanza, la demolizione di un’opera che, pur realizzata in assenza o difformità dal permesso di costruire, è conforme alla strumentazione urbanistica vigente (cfr., tra le tante, T.A.R. Campania, II Sezione, 4 febbraio 2005, n. 816 e 13 luglio 2004, n.10128). Ne consegue che, in caso di accoglimento della domanda di sanatoria, l’ordine di demolizione viene inevitabilmente meno per il venir meno del suo presupposto, vale a dire del carattere abusivo dell’opera realizzata, in ragione dell’accertata conformità dell’intervento alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso sia al momento della presentazione della domanda. In caso di rigetto, invece, il provvedimento sanzionatorio a suo tempo adottato riacquista la sua efficacia -- che non era definitivamente cessata ma solo sospesa in attesa della conclusione del nuovo iter procedimentale -- con la sola specificazione che il termine concesso per l’esecuzione spontanea della demolizione decorre dal momento in cui il diniego perviene a conoscenza dell’interessato, che non può rimanere pregiudicato dall’avere esercitato una facoltà di legge e deve, pertanto, poter usufruire dell’intero termine a lui assegnato per adeguarsi all’ordine, evitando così le conseguenze negative connesse alla mancata esecuzione dello stesso (così T.A.R. Campania-Napoli, II, 2.3.2010, n. 1259; T.A.R. Liguria, I, 5.2.2011, n. 226). Si tratta di un orientamento che -- a parere del collegio -- trova un solido fondamento normativo proprio nel principio fondamentale contenuto nell’art. 36 comma 3 del D.P.R. 6.6.2001, n. 380, a mente del quale “sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro sessanta giorni decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata”. La disposizione, come già l’art. 13 della L. 28.2.1985, n. 47, configura un caso paradigmatico di silenzio-rifiuto o silenzio-diniego (come tale spesso portato dalla manualistica ad esempio del silenzio significativo negativo), sicché è la stessa legge che si è data carico di individuare addirittura il tempo (sessanta giorni dalla presentazione dell’istanza di accertamento di conformità) nel quale l’efficacia dell’ordinanza di demolizione deve ritenersi sospesa".   T.A.R. Liguria, Sez. I, 26 novembre 2012, n. 1483 e 27 novembre 2012, n. 1511 - Il provvedimento comunale di rigetto della domanda di accertamento di conformità di opere edilizie deve essere preceduto dall'invio della comunicazione prevista dall'art. 10-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241.   T.A.R. Liguria, Sez. I, 4 dicembre 2012, n. 1565 - La presentazione di una nuova domanda di sanatoria non è atto idoneo a dimostrare la rinuncia alla precedente domanda o acquiescenza alla sua reiezione allorquando l'interessato abbia formulato una specifica clausola di riserva in tal senso.   L'onere di dimostrare l'epoca di realizzazione di un'opera edilizia ai fini dell'ottenimento del condono o dell'esenzione ratione temporis dalla necessità di un titolo grava sul privato richiedente e comporta che anche la dichiarazione sostitutiva di atto notorio non è sufficiente a tal fine, essendo necessari ulteriori riscontri documentali, eventualmente anche indizari, purchè altamente probanti. Tale onere può ritenersi a sufficienza soddisfatto soltanto quando le prove addotte risultano obiettivamente inconfutabili sulla base di atti e documenti che, da soli o unitamente ad altri elementi probatori, offrono la ragionevole certezza dell'epoca di realizzazione del manufatto, mentre la semplice produzione di una dichiarazione sostitutiva non può in alcun modo assurgere al rango di prova, seppur presuntiva, sull'epoca di realizzazione dell'abuso

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Cons. Stato, Ad. plen. 9 novembre 2021, nn. 17 e 18: L’Adunanza plenaria enuncia i seguenti principi di diritto: 1. Le norme legislative nazionali che hanno disposto (e che in futuro dovessero ancora disporre) la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative – compresa la moratoria introdotta in correlazione con l’emergenza epidemiologica da Covid-19 dall’art. 182, comma 2, d.l. n. 34/2020, convertito in legge n. 77/2020 – sono in contrasto con il diritto eurounitario, segnatamente con l’art. 49 TFUE e con l’art. 12 della direttiva 2006/123/CE. Tali norme, pertanto, non devono essere applicate né dai giudici né dalla pubblica amministrazione. 2. Ancorché siano intervenuti atti di proroga rilasciati dalla P.A. (e anche nei casi in cui tali siano stati rilasciati in seguito a un giudicato favorevole o abbiamo comunque formato oggetto di un giudicato favorevole) deve escludersi la sussistenza di un diritto alla prosecuzione del rapporto in capo gli attuali concessionari. Non vengono al riguardo in rilievo i poteri di autotutela decisoria della P.A. in quanto l’effetto di cui si discute è direttamente disposto dalla legge, che ha nella sostanza legificato i provvedimenti di concessione prorogandone i termini di durata. La non applicazione della legge implica, quindi, che gli effetti da essa prodotti sulle concessioni già rilasciate debbano parimenti ritenersi tamquam non esset, senza che rilevi la presenza o meno di un atto dichiarativo dell’effetto legale di proroga adottato dalla P.A. o l’esistenza di un giudicato. Venendo in rilievo un rapporto di durata, infatti, anche il giudicato è comunque esposto all’incidenza delle sopravvenienze e non attribuisce un diritto alla continuazione del rapporto. 3. Al fine di evitare il significativo impatto socio-economico che deriverebbe da una decadenza immediata e generalizzata di tutte le concessioni in essere, di tener conto dei tempi tecnici perché le amministrazioni predispongano le procedure di gara richieste e, altresì, nell’auspicio che il legislatore intervenga a riordinare la materia in conformità ai principi di derivazione europea, le concessioni demaniali per finalità turistico-ricreative già in essere continuano ad essere efficaci sino al 31 dicembre 2023, fermo restando che, oltre tale data, anche in assenza di una disciplina legislativa, esse cesseranno di produrre effetti, nonostante qualsiasi eventuale ulteriore proroga legislativa che dovesse nel frattempo intervenire, la quale andrebbe considerata senza effetto perché in contrasto con le norme dell’ordinamento dell’U.E.   Proroga L'art.12 , par. 1, della direttiva 2006/123 dispone che il rilascio di autorizzazioni, qualora il loro numero sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali, "deve essere soggetto a una procedura di selezione tra i candidati potenziali che deve presentare tutte le garanzie di imparzialità e di trasparenza, in particolare un'adeguata pubblicità". Una normativa nazionale che preveda una proroga ex lege della data di scadenza delle autorizzazioni da un lato "equivale a un loro rinnovo automatico", espressamente escluso dall'art. 12, par. 2, della direttiva 2006/123, e dall'altro contrasta con l'obbligo di selezione pubblica di cui all'art. 12, par. 1, della medesima direttiva. L'art. 12, par. 1 e 2, della direttiva 2006/123 deve essere dunque interpretato nel senso che osta a una misura nazionale che prevede la proroga automatica delle autorizzazioni demaniali marittime e lacuali in essere per attività turistico-ricreative, in assenza di qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali candidati.  La proroga tesa a consentire ai concessionari di ammortizzare gli investimenti genera una disparità di trattamento giustificabile solo per motivi imperativi di interesse generale, in particolare dalla necessità di rispettare il principio della certezza del diritto: tale esigenza rileva per le concessioni rilasciate quando non era ancora stato sancito che l'interesse transfrontaliero di un contratto comporta l'obbligo di trasparenza, ma non per quelle successive in relazione alle quali, dunque, il principio di certezza del diritto non può essere invocato a giustificazione di una disparità di trattamento vietata dall'art. 49 TFUE   Procedure di affidamento Nel parere 27 giugno 2016, n. 1505, il Consiglio di Stato ribadisce che la procedura di assegnazione dell’area o della singola banchina non può più muovere esclusivamente - come accadeva con l’art. 18 della L. n. 84/1994 -  dall’istanza dell’interessato, senza un atto di programmazione a monte che sfoci poi in un bando ed in una, seppur peculiare, procedura di gara ad evidenza pubblica per la concessione del bene. La previgente disciplina infatti, pur garantendo i principi di pubblicità e visibilità dell’azione amministrativa, non limitava come dovuto la discrezionalità dell’ente pubblico, stante l’assenza di un bando e la mancata predeterminazione di criteri di selezione delle domande, dei livelli minimi dei canoni concessori e di criteri per individuare la durata della concessione, la quale non può prescindere dalla pianificazione del soggetto concedente titolare della governance e dalla programmazione degli investimenti da effettuarsi. Un siffatto modo di procedere rischierebbe oggi, da un lato, di ingessare per interi decenni, senza una preliminare valutazione strategica, l’uso o la destinazione di aree fondamentali per lo sviluppo del porto e dei traffici e, dall’altro lato, di porsi in contrasto con la disciplina comunitaria. Come da tempo evidenziato in giurisprudenza, infatti, la sottoposizione ai principi di evidenza pubblica trova il suo presupposto sufficiente nella circostanza che con la concessione di area demaniale marittima venga fornita un’occasione di guadagno a soggetti operanti sul mercato, tale da imporre una procedura competitiva ispirata ai ricordati principi di trasparenza e non discriminazione (da ultimo, Cons. Stato, VI, 7 marzo 2016, n. 889).   Normativa: L. n. 228/2012 La l. 24.12.2012, n. 228 recante « Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2013)» pubblicata su G.U. n. 302 del 29-12-2012 - S.O. n. 212, al comma 547 ha disposto la proroga al 31 dicembre 2020 delle concessioni di beni demaniali marittimi per finalità turistico-ricreative estendendo la proroga anche ai beni demaniali “lacuali e fluviali” e per le finalità “sportive, nonché quelli destinati a porti turistici, approdi e punti di ormeggio dedicati alla nautica da diporto”.    Normativa: L. n. 194/2009 Ecco il testo del nuovo art. 1, comma 18 d.l. 30.12.2009, n. 194 convertito con modificazioni in l. 26 febbraio 2010, n. 25  “Ferma restando la disciplina relativa all'attribuzione di beni a regioni ed enti locali in base alla legge 5 maggio 2009, n. 42, nonché alle rispettive norme di attuazione, nelle more del procedimento di revisione del quadro normativo in materia di rilascio delle concessioni di beni demaniali marittimi lacuali e fluviali con finalità turistico-ricreative e sportive, nonché quelli destinati a porti turistici, approdi e punti di ormeggio dedicati alla nautica da diporto, da realizzarsi, quanto ai criteri e alle modalità di affidamento di tali concessioni, sulla base di intesa in sede di Conferenza Stato-regioni ai sensi dell'articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, che è conclusa nel rispetto dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento, di garanzia dell'esercizio, dello sviluppo, della valorizzazione delle attività imprenditoriali e di tutela degli investimenti, nonché in funzione del superamento del diritto di insistenza di cui all'articolo 37, secondo comma, secondo periodo, del codice della navigazione, il termine di durata delle concessioni in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto e in scadenza entro il 31 dicembre 2015 è prorogato fino al 31 dicembre 2020, fatte salve le disposizioni di cui all'articolo 03, comma 4-bis, del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494. All'articolo 37, secondo comma, del codice della navigazione, il secondo periodo è soppresso”.  Viene pubblicato, altresì, un breve commento dell'Avv. Damonte sullo schema della norma che è stata poi inserita nel testo della legge di Stabilità.

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L.R. 3 novembre 2009, n. 49 - Misure urgenti per il rilancio dell'attività edilizia e per la riqualificazione del patrimonio urbanistico-edilizio.

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L.R. 6 agosto 2001, n. 24 e successive modificazioni - Recupero ai fini abitativi dei sottotetti esistenti Circolari L.R. 12 novembre 2014, n. 30 (modifiche alla L.R. n. 24/2001).

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T.A.R. Liguria, Sez. I, 4 dicembre 2012, n. 1564 - Un intervento rivolto a conservare l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell'organismo stesso, ne consentano la destinazione d'uso abitativa con essi ritenuta compatibile è qualificabile di restuaro e risanamento conservativo ai sensi dell'articolo 3 del D.P.R. n. 380/2001. La legittimità degli interventi di restuaro e risanamento conservativo di un manufatto e quelli di ristrutturazione presuppongono la preesistenza di un organismo edilizio, cioè di una struttura dotata di mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura in stato di conservazione tale da definire le dimensioni e le caratteristiche dell'edificio da recuperare o ristrutturare.

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Cons. Stato, Sez. IV, 10 gennaio 2014, n. 44 -  L'articolo 6 della Legge Urabnistica della Regione Toscana (L.R. Toscana n. 1/2005) prevede che: "Nei casi in cui il regolamento urbanistico preveda la possibilità di piani attuativi di iniziativa privata, la perdita di efficacia di cui al comma 5 si verifica allorché entro cinque anni non sia stata stipulata la relativa convenzione ovvero i proponenti non abbiano formato un valido atto unilaterale d'obbligo a favore del comune". A riguardo il Consiglio di Stato ha chiarito che "All'evidenza la disposizione di cui al comma 6 detta una prescrizione specifica dedicata ai piani attuativi di iniziativa privata, che prescinde del tutto dalla natura della prescrizione  vincolistica: costituisce illazione, infatti, non suffragata dalla portata testuale della norma, l'affermazione secondo la quale, per i piani attuativi privati, la disposizione vada restrittivamente intesa, nel senso che la perdita di efficacia operi soltanto allorchè i vincoli abbiano natura espropriativa e non conformativa. Fermo il detto convincimento, aderente al dato letterale ivi contenuto, neppure persuade la ratio della necessità di una interpretazione restrittiva della detta disposizione, siccome postulato da parte appellante. E’ ben vero che la legislazione nazionale è ancorata al binomio vincolo conformativo/durata indeterminata, vincolo espropriativo/scadenza prefissata. Ma è altresì vero, che tale scissione concettuale “nasce” a tutela della posizione del privato e si rende necessaria alla stregua dei principi espressi dalla Corte costituzionale, con la “storica” sentenza 20 maggio 1999, n. 179 (dichiarativa dell'illegittimità costituzionale del combinato disposto degli articoli 7, n. 2, 3 e 4 e 40 della L. 17 agosto 1942, n. 1150, e 2, primo comma, della L. 19 novembre 1968, n. 1187, nella parte in cui consente all'Amministrazione di reiterare i vincoli urbanistici scaduti preordinati all'espropriazione o che comportino l'inedificabilità, senza la previsione di un indennizzo). Il che ha portato la uniforme giurisprudenza amministrativa ad affermare (ex multis Cons. Stato Sez. V, 13-04-2012, n. 2116) che “i vincoli urbanistici non indennizzabili, che sfuggono alla previsione del predetto articolo 2 della L. 19 novembre 1968, n. 1187, sono quelli che riguardano intere categorie di beni, quelli di tipo conformativo e i vincoli paesistici, mentre i vincoli urbanistici soggetti alla scadenza quinquennale, che devono invece essere indennizzati, sono: a) quelli preordinati all'espropriazione ovvero aventi carattere sostanzialmente espropriativo, in quanto implicanti uno svuotamento incisivo della proprietà, se non discrezionalmente delimitati nel tempo dal legislatore statale o regionale, attraverso l'imposizione a titolo particolare su beni determinati di condizioni di inedificabilità assoluta; b) quelli che superano la durata non irragionevole e non arbitraria ove non si compia l'esproprio o non si avvii la procedura attuativa preordinata a tale esproprio con l'approvazione dei piani urbanistici esecutivi; c) quelli che superano quantitativamente la normale tollerabilità, secondo una concezione della proprietà regolata dalla legge nell'ambito dell'art. 42 Cost..”. Non apparirebbe quindi contrario ad alcun principio, né collidente con la valutazione espressa dal Giudice delle leggi, una prescrizione contenuta in una legge regionale che prevedesse la perdita di efficacia anche dei vincoli conformativi (mentre, al contrario, lo sarebbe certamente, l’inversa ipotesi di una durata sine die di quelli espropriativi). E d’altro canto, allorchè l’appellante richiama la consolidata interpretazione del Giudice delle Leggi secondo la quale “categorie” ed “istituti” contenuti del TU edilizia e nel TU espropriazioni hanno natura generale e vincolano i Legislatori regionali (ex aliis Corte Cost. n. 303 del 2003) è poi “costretto” a mentovare una disposizione del dPR n. 327/2001 (l’art. 9) che ben poco ausilio può portare alla tesi dallo stesso patrocinata, in quanto ivi è certamente affermato il principio della decadenza del vincolo preordinato all’esproprio, ma non il divieto di disporlo per quello zonizzante, per cui non è agevole comprendere quale prescrizione “nazionale” avrebbe violato il Legislatore regionale (e/o il Tar nell’interpretare secondo lettera la prescrizione legislativa regionale surriportata). Se così è , e non pare al Collegio di ciò si possa dubitare, non v’è ragione né esigenza di forzare la lettera della prescrizione regionale in esame, limitandola ai vincoli di natura espropriativa, laddove invece esse fa generico ed indeterminato richiamo al “piano attuativo di iniziativa privata” senza aggettivazioni (vedasi punto 5 della memoria depositata in primo grado dalla resistente amministrazione comunale e datata 20.2.2012). Ne consegue che: stante la univoca interpretazione della succitata norma, e la incontestata circostanza che l’atto d’obbligo venne sottoscritto a più di 5 anni di distanza dall’approvazione del RU non v’era neppure necessità di interrogarsi sulla natura della prescrizione attingente il compendio immobiliare di parte appellante, e ciò sarebbe sufficiente a disattendere l’appello".     T.A.R. Liguria, Sez. I, 4 dicembre 2012, n. 1563 - Un vincolo preordinato all'esproprio sorge soltanto con la specifica indicazione di una determinata opera pubblica o di interesse collettivo o sociale (ex art. 7 comma 1 n. 4 L. n. 17.8.1942, n. 1150), non già per effetto della semplice operazione di zonizzazione (ex art. 7, comma 1, n. 2 L. 17.8.1942, n. 1150), cioè della suddivisione del territorio comunale in zone con destinazione urbanistica omogonea, la quale ha la precipua finalità di indicare la tipologia di interventi edificatori assentibili e, conseguentemente, di conformare l'attività edilizia (T.A.R. Lazio, II, 24.4.2008, n. 3535). Ciò vale -- ovviamente -- anche con riguardo alla destinazione a zona F ex art. 2 D.M. 2.4.1968 che, in mancanza della specifica previsione e localizzazione di un determinato intervento di interesse generale realizzabile soltanto ad iniziativa pubblica, costituisce nient'altro che un vincolo di carattere conformativo (Cons. Stato, Sez. IV, 19 gennaio 2012, n. 2444; T.A.R. Liguria, Sez. I, 27 aprile 2012, n. 592).   Allorquando è apposto un vinvolo meramente conformativo e non espropriativo non è richiesta una specifica motivazione oltre quella generale derivante dalla descrizione fondativa del P.U.C. ed è altresì esclusa la previsione di un indennizzo (C. Cost. 20.5.1999, n. 179).

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Il TAR Liguria, Sez. II, con la sentenza 15/11/2012 n. 1451 si è occupato del calcolo dell'offerta economica negli appalti di servizi affidati con il criterio del prezzo più basso, nel particolare caso in cui un concorrente goda di benefici fiscali tali da comportare per la stazione appaltante oneri economici complessivamente inferiori, pur a fronte di un'offerta più elevata. Al riguardo, la pronuncia in rassegna ha osservato che, nel caso di procedura concorrenziale per l'affidamento di un servizio da aggiudicarsi con il criterio del prezzo più basso, devono essere comparati i prezzi netti offerti dai concorrenti, senza tener conto dei benefici fiscali di cui essi eventualmente godano. I valori comunitari di concorrenza, trasparenza e par condicio implicano, infatti, l'impossibilità di tener conto, in sede di valutazione delle offerte economiche, di particolari elementi, quali benefici o agevolazioni fiscali, che risultano esterni alle offerte medesime nonché sottratti alla disponibilità dei concorrenti. La contraria impostazione comporterebbe evidenti effetti distorsivi della concorrenzialità, insiti nella valorizzazione di una particolare condizione soggettiva (nella specie, peraltro, del tutto transitoria) che non ha alcun legame con il "valore intrinseco" dell'offerta e finisce per penalizzare ingiustamente i concorrenti sottoposti ad un regime tributario meno favorevole. E' vero che, in tal modo, si corre il rischio di determinare oneri per la stazione appaltante complessivamente superiori a quelli che si avrebbero aggiudicando la gara al soggetto esente dall'Iva, ma il mero interesse economico dell'amministrazione è necessariamente recessivo a fronte dei valori comunitari posti a presidio della libera concorrenza.

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In G.U. n. 8 del 12.01.2015 il d.P.C.M. 13.11.2014 recante "Regole tecniche in materia di formazione, trasmissione, copia, duplicazione, riproduzione e validazione temporale dei documenti informatici nonche' di formazione e conservazione dei documenti informatici delle pubbliche amministrazioni ai sensi degli articoli 20, 22, 23-bis, 23-ter, 40, comma 1, 41, e 71, comma 1, del Codice dell'amministrazione digitale di cui al decreto legislativo n. 82 del 2005". Sono tenute all'applicazione di tale regolamento: - le pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165: - le societa', interamente partecipate da enti pubblici o con prevalente capitale pubblico inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell'articolo 1, comma 5, della legge 30 dicembre 2004, n. 311. I predetti enti hanno tempo fino a diciotto mesi dall'entrata in vigore del regolamento ossia il 10 agosto 2016.   Pubblicato sulla G.U.  n. 285 del 9.12.2014 il d.P.C.M. 24.10.2014 recante "Definizione  delle  caratteristiche  del  sistema  pubblico  per   la gestione dell'identita'  digitale  di  cittadini  e  imprese  (SPID), nonche' dei tempi e delle modalita' di adozione del sistema  SPID  da parte delle pubbliche amministrazioni e delle imprese", in attuazione dell'art. 64 del CAD, il quale ricordiamo così recita "[...] 2-bis. Per favorire la diffusione di servizi in rete e agevolare l'accesso agli stessi da parte di cittadini e imprese, anche in mobilita', e' istituito, a cura dell'Agenzia per l'Italia digitale, il sistema pubblico per la gestione dell'identita' digitale di cittadini e imprese (SPID). 2-ter. Il sistema SPID e' costituito come insieme aperto di soggetti pubblici e privati che, previo accreditamento da parte dell'Agenzia per l'Italia digitale, secondo modalita' definite con il decreto di cui al comma 2-sexies, gestiscono i servizi di registrazione e di messa a disposizione delle credenziali e degli strumenti di accesso in rete nei riguardi di cittadini e imprese per conto delle pubbliche amministrazioni, in qualita' di erogatori di servizi in rete, ovvero, direttamente, su richiesta degli interessati. 2-quater. Il sistema SPID e' adottato dalle pubbliche amministrazioni nei tempi e secondo le modalita' definiti con il decreto di cui al comma 2-sexies. 2-quinquies. Ai fini dell'erogazione dei propri servizi in rete, e' altresi' riconosciuta alle imprese, secondo le modalita' definite con il decreto di cui al comma 2-sexies, la facolta' di avvalersi del sistema SPID per la gestione dell'identita' digitale dei propri utenti. L'adesione al sistema SPID per la verifica dell'accesso ai propri servizi erogati in rete per i quali e' richiesto il riconoscimento dell'utente esonera l'impresa da un obbligo generale di sorveglianza delle attivita' sui propri siti, ai sensi dell'articolo 17 del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70. 2-sexies. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro delegato per l'innovazione tecnologica e del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, sono definite le caratteristiche del sistema SPID, anche con riferimento: a) al modello architetturale e organizzativo del sistema; b) alle modalita' e ai requisiti necessari per l'accreditamento dei gestori dell'identita' digitale; c) agli standard tecnologici e alle soluzioni tecniche e organizzative da adottare anche al fine di garantire l'interoperabilita' delle credenziali e degli strumenti di accesso resi disponibili dai gestori dell'identita' digitale nei riguardi di cittadini e imprese, compresi gli strumenti di cui al comma 1; d) alle modalita' di adesione da parte di cittadini e imprese in qualita' di utenti di servizi in rete; e) ai tempi e alle modalita' di adozione da parte delle pubbliche amministrazioni in qualita' di erogatori di servizi in rete; f) alle modalita' di adesione da parte delle imprese interessate in qualita' di erogatori di servizi in rete".I protagonisti dello SPID saranno, oltre agli utenti, l'AID, i gestori dell'identità digitale, i gestori degli attributi qualificati, i fornitori (incluse le PP.AA.) dei servizi convenzionati con l'AID.  Pubblicato il TU sulla trasparenza e la pubblicità informatica della PP.AA. con il d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33 recante «Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicita', trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni» in G.U. n. 80 del 5 aprile 2013. Ecco tra le tante, le principali novità: - accesso civico, ossia qualsiasi cittadino per chiedere che le PP.AA. di cui all'art. 1, comma 2 d.lgs. n. 165/01 pubblichino sul sito le informazioni stabilite nel decreto (art. 5); - le informazioni pubblicate, salvo ipotesi espressamente indicate, devono rimane visibili per almeno cinque anni, decorrenti dall'anno successivo a quello in cui è avvenuta la pubblicazione. Alla scadenza del periodo, le informazioni devono comunque essere pubblicate, pur in apposita parte del sito dedicata all'archivio (art. 8); - le informazioni devono essere raggiungibili tramite un'apposita sezione del sito «Amministrazione trasparente» (art. 9); - obbligo di pubblicizzare i costi ed i risparmi ottenuti tramite la pubblicazione via web dei contenuti (art. 10, comma 5); - ambito di applicazione limitato alle sole PP.AA. di cui all'art. 1, comma 2 d.lgs. n. 165/01, mentre per le società partecipate rimane l'applicazione soltanto dell'art. 1, commi 15-33 l. n. 190/2012 (cd. «Anticorruzione») (art. 11); - obbligo delle informazioni concernenti i compenenti degli organi politici (art. 14); - istituzione della figura del responsabile della trasparenza di ogni P.A. che coincide il responsabile per la prevenzione della corruzione, di cui all'articolo 1, comma 7, della legge 6 novembre 2012, n. 190 (art. 43); - apportate alcune modifiche al cpa dall'art. 52, comma 4 del decreto.     Si ricorda che ai sensi dell'art. 9, comma 8 d.l. 18.10.2012, n. 179 convertito con modificazioni in l. 17.12.2012, n. 221 stabilisce che "Gli interessati che rilevino inadempienze in ordine all'accessibilità dei servizi erogati dai soggetti di cui all'articolo 3, comma 1, della legge 9 gennaio 2004, n. 4, ne fanno formale segnalazione , anche in via telematica, all'Agenzia per l'Italia digitale. Qualora l'Agenzia ritenga la segnalazione fondata, richiede l'adeguamento dei servizi assegnando un termine non superiore a 90 giorni". Il comma 9 prosegue stabilendo che "L'inosservanza delle disposizioni del presente articolo, ivi inclusa la mancata pubblicazione degli obiettivi di cui al comma 7: a)  è rilevante ai fini della misurazione e della valutazione della performance individuale dei dirigenti responsabili; b)  comporta responsabilità dirigenziale e disciplinare ai sensi degli articoli 21 e 55 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, ferme restando le eventuali responsabilità penali e civili previste dalle disposizioni vigenti". Al fine di dare istruzioni per l'attuazione del predetto disposto è stata emanata la circolare Digitpa n. 61/2013 (dal sito http://www.digitpa.gov.it G.U. n.90 del 17.04.2013), nella quale si legge che "Con tale previsione normativa si consente al cittadino di difendersi in prima istanza dalle eventuali inadempiente della pubblica Amministrazione in tema di accessibilità dei servizi erogati attraverso una segnalazione formale all’Agenzia, senza necessariamente ricorrere in giudizio. L’Agenzia per l’Italia digitale, pertanto, è chiamata a ricevere le segnalazioni e, qualora le ritenga fondate, richiede al soggetto erogatore l'adeguamento dei servizi alle disposizioni in tema di accessibilità assegnando al soggetto medesimo un termine, non superiore a 90 giorni, per adempiere. L’invio delle suddette segnalazioni potrà essere effettuato, in via telematica, al seguente indirizzo di casella di posta elettronica certificata messo a disposizione, a tal fine, dall’Agenzia per l’Italia digitale: protocollo@pec.agid.gov.it; ovvero, a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento, al seguente indirizzo: Agenzia per l’Italia digitale Viale Marx n. 31/49 00137 Roma"     Regolamento  (UE) n. 211/2011 del 16 febbraio 2011 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16 febbraio 2011 riguardante l’iniziativa dei cittadini, per tale intendendosi un’iniziativa che ha ricevuto il sostegno di almeno un milione di firmatari appartenenti ad almeno un quarto degli Stati membri, sottoposta alla Commissione a norma del presente regolamento e nella quale si chiede alla Commissione di presentare, nell’ambito delle sue attribuzioni, un’adeguata proposta su temi per i quali i cittadini ritengono necessario un atto legislativo dell’Unione ai fini dell’attuazione dei trattati.   D.P.R. 18 ottobre 2012, n. 193 recante regolamento di attuazione del Regolamento UE n. 211/2011 (GU n.267 del 15-11-2012)   Avviso AID su G.U. n. 287 del 10.12.2012 di pubblicazione sul proprio sito istituzionale della Deliberazione n. 30/2012 recante «Modalita' per presentare domanda per la certificazione dei sistemi di raccolta elettronica - adempimenti previsti dall'art. 4 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 193/2012, concernente le modalita' di attuazione del regolamento (UE) n. 211/2011 riguardante l'iniziativa dei cittadini».

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