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Con il d.m. 3.6.2014, n. 120 (G.U. n. 195 del 23.08.2014) è stato emanato il Regolamento per la definizione delle attribuzioni e  delle  modalita'di organizzazione dell'Albo nazionale  dei  gestori  ambientali,  deirequisiti tecnici e  finanziari  delle  imprese  e  dei  responsabili tecnici, dei termini e delle modalita' di iscrizione e  dei  relativi diritti annuali.

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T.A.R. Calabria-Catanzaro, Sez. II, 4 settembre 2014, n. 1399 - Premesso che la società ricorrente contesta la determinazione assunta dal comune di Vibo Valentia, di liquidare gli oneri concessori afferenti ad un intervento edilizio da realizzarsi, computando pure i volumi destinati a parcheggi obbligatori;   Ritenuto che i volumi destinati a parcheggi obbligatori ad uso privato di cui all’art. 41 sexies L. 17 agosto 1942 n. 1150, legati all’immobile principale da un nesso di inscindibilità in forza del quale di essi non possa disporsi separatamente, non sono assoggettabili al contributo commisurato al costo di costruzione (cfr. Cons. Stato, 28 novembre 2012 n. 6033);   Considerato che il rapporto tra superficie delle aree destinate a parcheggio e volumetria del fabbricato, così come richiesto dal citato art. 41 sexies, è verificato dalla P.A. e costituisce condizione essenziale per il rilascio del titolo edilizio, di modo che la rimozione del vincolo pertinenziale non può avvenire a piacimento del proprietario, ma soltanto attraverso una concessione in variante che lo trasferisca su altre zone riconosciute idonee (cfr. Cass. civ., Sez. II, 14 novembre 2000 n. 14731);   Precisato, tuttavia, che il vincolo così costituito dev’essere poi effettivamente trascritto nelle forme dovute (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 2 dicembre 2002 n. 11019);   Ritenuto, pertanto, alla stregua di quanto sopra, che le aree gravate da vincolo di destinazione a parcheggio ai sensi dell’art. 41 sexies L. 17 agosto 1942 n. 1150 sulla base del titolo edificatorio non sono assoggettabili al contributo commisurato al costo di costruzione e che, comunque, la P.A. ha titolo per pretendere, in relazione ad esse, la trascrizione del vincolo nelle forme di legge, anche in danno del privato resosi inadempiente;   Rilevato che, vertendosi in materia di diritti soggettivi sottoposti alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, eventuali provvedimenti amministrativi presupposti di segno contrario devono essere disapplicati.     T.A.R. Liguria, Sez. I, 21 luglio 2014, n. 1165 - E’ pacifico che oggetto dell’intervento in questione è il ripristino della situazione esistente fino al 2006, con la chiusura del varco aperto fra le due unità immobiliari, già esistenti e distinte fino a quella data. Sulla scorta di tale premessa appare errata la qualificazione propugnata dalla difesa comunale, laddove continua a ragionare in termini di nascita di due nuove unità immobiliari. Conseguentemente, pare poter trovare pacifica applicazione la disciplina pianificatoria invocata da parte ricorrente, avente natura speciale in tema di parcheggi e carattere derogatorio proprio rispetto alle opere di ripristino. In particolare, a mente dell’art. 16.2 del puc adottato, “le operazioni di ripristino della funzione esistente alla data di approvazione del P.U.C. 2000, quando ammessa, sono esentate dall’obbligo di reperimento dei parcheggi”. Peraltro, la norma predetta non fa che riprendere la disposizione già inserita nel puc del 2000 (con ciò superando in toto nella specie l’ulteriore eventuale questione circa il piano applicabile), a mente della quale (art. 51 comma 1 ter) in tema di parcheggi pertinenziali “le operazioni di ripristino di funzione esistente alla data di adozione del puc…esclusivamente ai fini dell’obbligatorietà dei parcheggi pertinenziali, sono esentate dall’obbligo di reperimento di parcheggi pertinenziali”. Invero, la disciplina appare correttamente invocata, in specie a fronte della relativa natura speciale in tema di operazioni di ripristino, nonché della ragionevolezza della regola così intesa rispetto ad interventi che, temporalmente oltre che funzionalmente, sono qualificabili in termini di ripristino di situazioni esistenti sino ad una data non certo lontana nel tempo. Né appare sostenibile un’interpretazione riduttiva, così come proposta dalla difesa comunale, basata sul mero concetto di funzione; infatti, se per un verso occorre prediligere opzioni ermeneutiche tali da garantire una chiara applicazione da parte degli operatori – pubblici e privati - coinvolti da norme incisive quale quelle di piano, nel caso de quo non muta l’uso abitativo e la relativa funzione degli immobili, i quali riassumono i caratteri della rispettiva unità già esistenti alla data indicata dalla stessa norma di piano.   T.A.R. Liguria, Sez. I, 28 maggio 2014, n. 807 - Il problema è quello del computo delle aree destinate a parcheggio se cioè le stesse debbano essere comprensive degli spazi di accesso e di manovra o meno. A tal riguardo occorre considerare l'art. 19 l.r. 16/08 che prevede al primo comma "Negli edifici di nuova realizzazione aventi destinazione residenziale o ad essa assimilabile e ad uffici è prescritta ai sensi dell'articolo 41-sexies della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica) e successive modifiche e integrazioni la realizzazione di parcheggi privati, nella misura minima di 35 mq. ogni 100 mq. di superficie agibile (SA) come definita dall'articolo 67 e comunque con obbligo di almeno un posto auto per ogni unità immobiliare". La norma non precisa se in tale superficie debba essere computata anche quella destinata a spazio di manovra e accesso. Va, tuttavia, subito evidenziato come l'imposizione del limite di un posto auto per unità immobiliare consente di inferire, in prima approssimazione, che nell'area destinata a parcheggio debba essere computato anche lo spazio destinato ad accesso e manovra, purchè sia rispettato il predetto limite di un posto auto per ogni unità immobiliare. Tale conclusione viene confermata dall'analisi del terzo comma dell'art. 19 l.r. 16/08 che stabilisce: "Le dimensioni dei parcheggi pertinenziali realizzabili ai sensi dell'articolo 9, comma 1, della L. 122/89 e successive modificazioni ed integrazioni e dei parcheggi realizzabili in sottosuolo, nelle zone e nei casi espressamente previsti dallo strumento urbanistico generale, assoggettati a vincolo di pertinenzialità con le modalità di cui al comma 2, non devono eccedere la superficie di 35 metri quadrati per ogni unità immobiliare al netto degli spazi di accesso e di manovra. Tali parcheggi sono esclusi dalla corresponsione del contributo di costruzione". La norma, in sostanza, stabilisce un limite massimo per i parcheggi pertinenziali al superamento del quale viene meno l'esenzione dal pagamento del contributo di costruzione. Nel computo di tale limite massimo deve essere scluso lo spazio destinato all'accesso e alla manovra. Dall'esame congiunto delle due norme, dalla considerazione della differente ratio legis sottesa alle stesse (la prima stabilire un limite minimo, la seconda fissare un limite massimo) e mediante l'impiego del ragionamento a contrario si può sostenere che, secondo l'art. 19 l.r. 16/08, nel computo della superficie minima da destinare a parcheggio debbono essere incluse anche le aree destinate alla manovra e all'accesso al parcheggio stesso. Infatti se il criterio di computo di cui al terzo comma fosse stato da applicarsi ad entrambe le fattispecie il legislatore non l'avrebbe introdotto al terzo comma ma al primo comma della disposizione. Al contrario proprio la presenza di una norma esplicita relativa al computo della superficie massima induce a ritenere che per il computo della superficie minima valga l'opposto. Probabilmente, infatti, il legislatore, nel prevedere la norma sul computo della superficie massima aveva presente il criterio di calcolo di cui alla circolare del Ministero dei lavori pubblici L.P. 3210 del 1967 che costituiva in allora l'unico riferimento interpretativo in subiecta materia. Onde l'esigenza di precisare un differente criterio di computo. Peraltro nessun inconveniente deriva dall'adozione di tale criterio di calcolo posto che comunque la norma impone la presenza di un posto auto per ogni unità immobiliare. Il che esclude la possibilità di frustrazione della norma.

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Con la sentenza 4/9/2014 (cause riunite da C‑184/13 a C‑187/13, C‑194/13, C‑195/13 e C‑208/13), la quinta Sezione della Corte di Giustizia CE ha ritenuto che l'articolo 101 TFUE, in combinato disposto con l'articolo 4, paragrafo 3, TUE, deve essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale in forza della quale il prezzo dei servizi di autotrasporto delle merci per conto di terzi non può essere inferiore a costi minimi d'esercizio determinati da un organismo composto principalmente da rappresentanti degli operatori economici interessati.       Ad avviso della Corte di Giustizia la determinazione di costi minimi d'esercizio, resi obbligatori da una normativa nazionale quale nella fattispecie l'art. 83-bis del D.L. n. 112/2008, impedendo alle imprese di fissare tariffe inferiori a tali costi, equivale alla determinazione orizzontale di tariffe minime imposte ed è idonea a restringere il gioco della concorrenza nel mercato interno. Il che arreca pregiudizio agli scambi intracomunitari, tenuto conto in particolare che un'intesa che si estenda a tutto il territorio di uno Stato membro ha, per sua natura, l'effetto di consolidare la compartimentazione nazionale, ostacolando così l’integrazione economica voluta dal Trattato FUE.       La Corte di Giustizia ha altresì chiarito che la previsione di cui all'art. 83-bis del d.l. n. 112/2008 impone una restrizione ai principi comunitari che eccede quanto necessario al conseguimento degli obiettivi che essa si propone di raggiungere. Sebbene infatti l'art. 83-bis, comma 4, del d.l. n. 112/2008 indichi la determinazione dei costi minimi d'esercizio quale mezzo per tutelare la sicurezza stradale e sebbene quest'ultima possa effettivamente costituire un obiettivo legittimo, la determinazione dei costi minimi d'esercizio non risulta tuttavia idonea né direttamente né indirettamente a garantirne il conseguimento. E ciò, da un lato, in quanto la normativa italiana non permette al vettore di provare che esso, nonostante offra prezzi inferiori alle tariffe minime stabilite, si conformi pienamente alle disposizioni vigenti in materia di sicurezza e, dall'altro lato, in quanto esistono moltissime norme, comprese quelle del diritto dell'Unione, riguardanti specificamente la sicurezza stradale, che costituiscono misure più efficaci e meno restrittive, come le norme dell’Unione in materia di durata massima settimanale del lavoro, pause, riposi, lavoro notturno e controllo tecnico degli autoveicoli, di talché la stretta osservanza di tali norme può garantire effettivamente il livello di sicurezza stradale adeguato.

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T.A.R. Liguria, Sez. I, 3 settembre 2014, n. 1343 - Una variante generale adottata dal Comune per ragioni di tutela urbanistico-ambientale determina ai sensi degli art. 42 e 44 l.r. n. 36/97 l'efficacia delle misure di salvaguardia; e, nel caso in cui i lavori edilizi non siano ancora iniziati, in forza dell'art. 34, comma 7, l.r. 16/2008, la decadenza del titolo che sia in contrasto con le previsioni urbanistiche sopravvenute. Vero è che la disposizione regionale da ultimo richiamata, riproducendo pedissequamente il comma 4 dell'art. 15 t.u. ed., fa riferimento alla "entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche", sì da presupporre il completamento dell'iter formativo dello strumento di pianificazione e la conseguente piena efficacia della nuova pianificazione. Nondimeno la legge regionale espressamente stabilisce che l'adozione della variante generale, ostativa all'intervento edilizio, comporta ipso iure l'applicazione delle misure di salvaguardia (art. 44 l.r. cit.). Sicchè per evitare la decadenza, i lavori avrebbero dovuto iniziare prima dell'entrata in vigore delle misure di salvaguardia (cfr., Cons. St., Sez. V, n. 50128 del 2011).   T.A.R. Liguria, Sez. I, 3 settembre 2014, n. 1342 - Il ricorso ruota attorno ad un principio oramai stabilmente acquisito nella giurisprudenza amministrativa: le limitazioni incidenti sui tempi dell'attività edificatoria scaturenti da misure di salvaguardia a tutela dello strumento della pianificazione, non ancora efficace e definito nei contenuti, devono essere temporanee, e comunque non superare i termini previsti dalla legge. Anzi, come sottolineato dall'Adunanza Plenaria n. 2 del 2008, l'art. 12 t.u. ed., che ha mutuato il contenuto sostanziale dell'articolo unico della legge n. 1902 del 1952, reca una disposizione annoverabile fra le norme di principio. In armonia con i criteri di trasparenza, efficacia, celerità ed economicità dell'azione amministrativa, e, in generale con gli ordinari canoni di buona amministrazione e nell'ottica dei principi di semplificazione e di non aggravamento del procedimento, la norma vale ad indurre le amministrazioni locali a definire tempestivamente l'iter del procedimento conseguente all'adozione degli strumenti urbanistici generali (o secondo l'art. 44 della legge regionale delle varianti anch'esse generali) con il loro tempestivo invio agli organi deputati all'approvazione. Tanto che disincentiva eventuali ritardi burocratici con la previsione di un regime di minor favore, volto essenzialmente, sottolinea ancora l'adunanza plenaria, ad evitare le strumentalizzazioni che un non sollecito esercizio dell'azione amministrativa renderebbero possibile e a favorire una maggiore responsabilizzazione degli amministratori locali per tutelare il valore costituzionale della proprietà e delle connesse facoltà edificatorie. Aggiungasi che la norma regionale (art. 42 l.r. 36/97) fissa in quattro anni dalla data di adozione del progetto preliminare la durata massima delle misure di salvaguardia. Ancorché anteriore all'art. 12 t.u. cit., si pone in linea di continuità con essa, anticipandone i contenuti garantisti dal momento che -- come precisato nella stessa sentenza dell'Adunanza plenaria -- "non è affatto inibita una normazione dai contenuti parzialmente differenti (e più favorevoli agli amministrati) purché rispettosa dei limiti massimi di efficacia delle misure di salvaguardia ipotizzati dal legislatore regionale" (cfr.: tre anni e, se tempestivamente inviato entro l'anno lo strumento urbanistico adottato per l'approvazione, cinque anni). Il caso in esame assurge a paradigma d'azione amministrativa antitetica ai criteri che il Consesso di giustizia amministrativa ha lapidariamente definito in materia. Basti leggere le premesse della deliberazione 31/2010: il progetto preliminare di PUC è stato adottato per la prima volta nel 2002; riadottato nel 2006 la cui deliberazione -- va sottolineato -- è stata convalidata (così testualmente la legge) con la deliberazione n. 53 del 2006 "perché l'amministrazione non è riuscita nei termini di vigenza delle ordinarie misure di salvaguardia...ad approvare il progetto". Progetto definitivo di PUC che è stato infine approvato con deliberazione n. 32 del 2010. Con la stessa deliberazione n. 31 il Comune decidendo di riadottare la variante al PRG ha mutuato la disciplina paesaggistica contenuta nel progetto di PUC -- che va ricordato è stato adottato nella versione cd. definitiva solo con la deliberazione ad essa successiva n. 32, cui ha fatto seguito la deliberazione n. 16 del 2012 di conferma delle precedenti deliberazioni di variante al PRG -- si da palesare la volontà di eludere il termine di legge di durata del regime di salvaguardia frustrando le legittime apsettative e le facoltà dominicali del ricorrente. Di fatto, nella prospettiva diacronica, il confuso susseguirsi delle deliberazioni richiamate esibisce l'abnorme durata del regime di salvaguardia che nelle intenzioni del Comune avrebbe dovuto avere efficacia per 12 anni: dal 2002 fino al 2014, quando avrebbe dovuto cessare il termine quadriennale a fare data dalla variante al PRG del 2010. Esito, che al di là del pregiudizio inferto alla sfera soggettiva del ricorrente, confligge con i principi di buon andamento e trasparenza (cfr. artt. 1 e 2-bis l. n. 241/90) che dovrebbero invece caratterizzare l'azione amministrativa del Comune resistente composto da una popolazione di soli 1738 abitanti insediata in una circoscrizione territoriale della superficie complessiva pari a 2,78 km. quadrati. Conclusivamente va accolto il motivo di impugnazione di natura sostanziale che denuncia la violazione dell'art. 42 l.r. 36/97; e affermato che al momento della presentazione delle DIA il regime di salvagaurdia, ritenuto ostativo alla esecuzione delle opere -- e va ribadito conformi al PRG vigente -- di cui alle DIA presentate dal ricorrente, era già cessato nel 2010.

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Con il decreto interministeriale del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali di concerto con il Ministero delle Infrastrutture e con il Ministero della Salute del 9.9.2014 sono stati emanati i modelli semplificati per la redazione del piano operativo di sicurezza, del piano di sicurezza e di coordinamento e del fascicolo dell'opera nonché del piano di sicurezza sostitutivo ai sensi dell'articolo 104-bis d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 e dell'art. 131, comma 2-bis del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (G.U. n. 212 del 12.9.2014).

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T.A.R. Liguria, Sez. I, 8 luglio 2019, n. 597 - Nel termine di un anno decorrente dalla consegna del titolo edilizio, pertanto, erano state unicamente poste in essere attività qualificabili, tutt’al più, come sistemazione del sito e approntamento del cantiere, vale a dire opere preparatorie che, secondo costanti indicazioni giurisprudenziali, non sono sufficienti a comprovare l’avvio effettivo dei lavori né a manifestare, con ragionevole grado di certezza, la volontà di esercitare il diritto ad edificare (cfr., ex multis, T.A.R. Campania, Salerno sez. II, 15 giugno 2018, n. 961; T.A.R. Piemonte, Torino, sez. I, 3 gennaio 2014, n. 2). Tali conclusioni si impongono a maggior ragione ove si consideri l’entità dello specifico intervento edilizio e il margine di tempo di cui aveva già beneficiato il titolare del permesso di costruire per realizzare opere di ridotta consistenza. Rimane da valutare la giustificazione riferita alla pretesa sopravvenienza di cause di forza maggiore che avrebbero impedito il proseguimento (in realtà: l’avvio) dei lavori, rappresentate dal parcheggio di un’autovettura e di un motorino nell’area di cantiere. Anche volendo ammettere che gli ostacoli suddetti fossero potenzialmente idonei a configurare cause di forza maggiore, si rendeva pur sempre necessaria la presentazione di apposita istanza di proroga da parte del titolare del permesso di costruire, sulla quale l’Amministrazione avrebbe dovuto pronunciarsi con un provvedimento espresso. In difetto, le circostanze allegate dal privato non potevano determinare l’automatica sospensione del termine di avvio dei lavori.   T.A.R. Liguria, Sez. I, 17 ottobre 2016, n. 1006 - La realizzazione di “muretti” può essere qualificata come intervento di nuova costruzione, con quanto ne consegue ai fini del previo rilascio del necessario titolo abilitativo, qualora abbia l'effettiva idoneità di determinare significative trasformazioni urbanistiche ed edilizie (Cons. Stato, sez. VI, 4 luglio 2014, n. 3408). Per valutare se l’opera necessiti di permesso di costruire ovvero se sia sufficiente la presentazione di una SCIA, pertanto, non rileva tanto il nomen attribuito al manufatto o la funzione che esso è destinato ad assolvere (muro di cinta o di contenimento), ma si deve avere essenzialmente riguardo al rapporto effettivo dell’innovazione con la preesistenza territoriale, onde valutare se essa superi in concreto o meno la soglia della trasformazione urbanistico-edilizia (Cons. Stato, sez. VI, 4 gennaio 2016, n. 10). Nel caso in esame, va esclusa, alla luce degli elementi contenuti nella relazione istruttoria del Comune, la consistenza quali-quantitativa degli interventi sanzionati con la demolizione. L’amministrazione, infatti, precisa che sono stati costruiti in assenza di titolo i seguenti manufatti: - un “piccolo muretto in pietra di contenimento del terreno” e del sovrastante camminamento, “alto circa 50 cm”; - un “muretto di confine del giardino di altezza pari a 80 cm circa in legno”. Le modeste dimensioni (e, nel caso del secondo muretto, anche il materiale di cui è costituito) dimostrano, all’evidenza, la scarsa incidenza sul piano urbanistico-edilizio di tali manufatti che, non richiedendo il rilascio di previo permesso di costruire, non sono passibili della sanzione demolitoria. L’amministrazione riferisce, inoltre, che il “muro di contenimento del marciapiede…” è stato costruito “a quota più elevata”, senza tuttavia indicarne le dimensioni e la misura dello scostamento rispetto alle previsioni progettuali. Ne consegue che, anche in questa parte, il provvedimento impugnato è inficiato sotto i dedotti profili del difetto di motivazione e di istruttoria.   T.A.R. Liguria, Sez. I, 22 giugno 2016, n. 638 - Come noto, una condivibile parte della giurisprudenza (cfr. ad es. Tar Catania 1646\2015) ritiene che in sede di rilascio del titolo autorizzatorio edilizio, gravi sull'amministrazione l'obbligo di effettuare una sia pur non approfondita istruttoria per verificare la sussistenza di tutte le condizioni che realizzano un qualificato collegamento soggettivo tra chi propone l'istanza e il bene oggetto dell'autorizzazione. In particolare, attesa la possibilità che un determinato intervento edilizio, pur se astrattamente conforme alle norme urbanistico — edilizie, si ponga in contrasto con diritti reali di godimento o con altre facoltà di terzi, il Comune è tenuto a verificare l'esistenza, in capo al richiedente, di un idoneo titolo di godimento sull'area in questione, svolgendo un'attività istruttoria rivolta, non già a risolvere i conflitti tra le parti private in ordine all'assetto dominicale dell'area stessa, bensì ad accertare il requisito della legittimazione soggettiva del richiedente, sia per la notevole incidenza della concessione edilizia sugli interessi pubblici e privati coinvolti, sia per evitare il grave contenzioso che deriverebbe dall'incauto rilascio di quest'ultima a soggetti non idoneamente legittimati.   Cons. Stato, Sez. I, parere 28 giugno 2013, n. 3062 - Come fondatamente dedotto dalla ricorrente, infatti, l'amministrazione, in sede di rilascio del permesso di costruire, non è tenuta a svolgere complesse ricognizioni giuridico-documentali sul titolo di proprietà (o costituenete altro diritto reale) in favore del richiedente, essendo sufficiente l'esibizione di un titolo che formalmente legittimi il rilascio del provvedimento abilitante (Cons. Stato, Sez. V, 2 ottobre 2002, n. 5165). L'amministrazione, cioè, non è tenuta ad effettuare complessi e laboriosi accertamenti diretti a ricostruire tutte le vicende riguardanti l'immobile considerato, anzi il principio generale del divieto di aggravamento del procedimento consente all'amministrazione di semplificare ed accelerare tutte le attività di verifica sul titolo, valorizzando gli elementi documentali forniti dalla parte interessata. Nè spetta all'amministrazione stessa dirimere eventuali conflitti tra titoli di proprietà (o costituenti altri diritti reali), in quanto il permesso di costruire fa salvi i diritti dei terzi, non incombendo all'amministrazione di compiere accertamenti in ordine a eventuali pretese che potrebbero essere avanzate da soggetti estranei al rapporto concessorio, essendo sufficiente per l'amministrazione l'acquisizione del titolo (nella specie la convenzione) che formalmente abiliti alla concessione (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 26 maggio 2006, n. 3201). Posto che la legittimazione attiva a richiedere il rilascio del permesso di costruire è configurabile non solo in capo al proprietario del terreno, ma anche in favore del soggetto titolare di altro diritto reale di godimento del fondo, che lo autorizzi a disporne con un intervento costruttivo, la p.a. non è tenuta a svolgere una preliminare indagine istruttoria che si estenda fino alla ricerca d'ufficio di elementi limitativi, preclusivi o estintivi del titolo di disponibilità allegato dal richiedente (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 10 febbraio 2010, n. 675, Sez. V, 4 febbraio 2004, n. 368; Sez. V, 22 ottobre 2007, n. 5487).      T.A.R. Liguria, Sez. I, 29 gennaio 2015, n. 146 - Il primo motivo contesta uno degli assunti su cui si basa l’atto impugnato, secondo cui le dichiarazioni sostitutive allegate dall’interessato non avrebbero valenza probatoria. Il collegio può ribadire in questa sede quanto la giurisprudenza ha da tempo affermato in ordine all’incapacità della dichiarazione autocertificata ad assurgere ad elemento probatorio definitivo in merito all’esistenza di un’opera ad una certa data; le pronunce hanno convenuto peraltro anche sull’illegittimità della motivazione di un provvedimento in materia edilizia che non tenga conto pregiudizialmente delle eventuali dichiarazioni allegate. Il tutto si iscrive nella condivisione dell’ulteriore assunto della giurisprudenza che accolla al richiedente l’onere probatorio in ordine alla data di realizzazione o conclusione dell’attività edilizia in contestazione. Le premesse poste inducono a ritenere infondato il motivo, posto che la p.a. ha effettivamente preso in esame le dichiarazioni dei ricordati testimoni, ma le ha ritenute non sufficientemente probanti, attesa la presenza in atti di allegazioni contrastanti con esse, come le fotografie aeree e gli atti di trasferimento che non menzionano il manufatto.   T.A.R. Liguria, Sez. I, 13 gennaio 2015, n. 79 - La peculiarità in linea di diritto del potere provinciale esercitato nonché le risultanze, in linea di fatto, dell’analisi del provvedimento impugnato, impongono alcune considerazioni di carattere preliminare: per un verso sulla natura e l’estensione del potere di annullamento straordinario; per un altro verso sui motivi posti a fondamento dell’annullamento nel caso di specie, concernenti la peculiare disciplina del recupero sottotetti. Sul primo versante, come noto, la sezione ha già avuto modo di approfondire il tema del delicato esercizio del potere di annullamento straordinario, evidenziando (cfr. ad es. sent n. 161\2012 e 969\2013) che la normativa urbanistico- edilizia rientra nella materia "governo del territorio", attribuita alla potestà legislativa concorrente delle regioni (art. 117 comma 3, cost.), nulla si oppone a che tale normativa (nella specie, gli art. 39, d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 e 53, l. reg. Liguria 6 giugno 2008 n. 16) preveda la possibilità di un intervento della regione - o di un ente da questa delegato - al fine di assicurare l'esercizio unitario delle relative funzioni amministrative, come in tema di annullamento straordinario, sulla base del principio di adeguatezza (stante la dimensione regionale dell'ordinamento urbanistico-edilizio). Sempre a fini di delimitazione del potere esercitato dalla Provincia, va ribadito che lo stesso è ben diverso dalla generale funzione di vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia riordinata nel titolo IV t.u. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, approvato con d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 attuato in Liguria con la l.r. 16\2008, spettante esclusivamente al Comune, che ha il potere dovere di vigilanza ed eventuale repressione sull'attività urbanistico-edilizia svolta all'interno del territorio comunale, e non anche alla Regione (ovvero alla Provincia nella Regione Liguria), alla quale è attribuito soltanto l'esercizio dello specifico potere sostitutivo di cui all'art. 39, cit. d.P.R. n. 380 del 2001, limitato all'annullamento delle deliberazioni e dei provvedimenti comunali che autorizzano interventi non conformi a prescrizioni degli strumenti urbanistici o dei regolamenti edilizi o comunque in contrasto con la normativa urbanistico-edilizia vigente al momento della loro adozione (cfr. ad es. CdS n. 5409\2009). In termini di inquadramento del potere di annullamento in questione rispetto a figure più generali, va distinto il potere generale ex art. 21 nonies l. n. 241 del 1990 da quello in questione, risultando il primo esercizio di un potere di autotutela, cioè di autoannullamento degli atti illegittimi, il cui esercizio va interpretato alla luce di una serie di fattori, tra cui altresì la concorrente e distinta previsione di annullamento di cui all'art. 39 cit., che attribuisce alle Regioni il potere di annullare i titoli edilizi illegittimi rilasciati dai Comuni entro dieci anni dalla loro adozione. Altri fattori da valutare in relazione all’autoannullamento, distinto da quello in esame appunto, sono: la tutela dei controinteressati danneggiati dall'attività edilizia autorizzata con atti abilitativi illegittimi; l'affidamento che il destinatario del provvedimento favorevole ha maturato circa il consolidamento della propria posizione giuridica. La norma generale di cui all’art. 39 statuisce: “1. Entro dieci anni dalla loro adozione le deliberazioni ed i provvedimenti comunali che autorizzano interventi non conformi a prescrizioni degli strumenti urbanistici o dei regolamenti edilizi o comunque in contrasto con la normativa urbanistico-edilizia vigente al momento della loro adozione, possono essere annullati dalla regione. 2. Il provvedimento di annullamento è emesso entro diciotto mesi dall'accertamento delle violazioni di cui al comma 1, ed è preceduto dalla contestazione delle violazioni stesse al titolare del permesso, al proprietario della costruzione, al progettista, e al comune, con l'invito a presentare controdeduzioni entro un termine all'uopo prefissato.” La disposizione, avente carattere di principio fondamentale del governo del territorio nei relativi tratti essenziali, è stata oggetto di attuazione a livello regionale, attraverso l’approvazione dell’art. 53 l.r. 16 cit., a mente del quale: “1. Il potere di annullamento dei titoli abilitativi già delegato alle Province a norma della legge regionale 6 aprile 1987, n. 7 (Delega alle Province delle funzioni regionali relative all'esercizio dei poteri di controllo in materia di abusivismo edilizio e disposizioni di attuazione degli articoli 3 e 8 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 e successive modificazioni) e successive modifiche e integrazioni è trasferito alle medesime Amministrazioni e si applica anche nei confronti delle autorizzazioni paesistico-ambientali rilasciate dai Comuni in violazione della legislazione in materia di beni paesaggistici. 2. Entro dieci anni dalla loro adozione le deliberazioni ed i titoli abilitativi, ivi compresa la DIA, che autorizzano interventi non conformi a prescrizioni degli strumenti urbanistici o dei regolamenti edilizi o comunque in contrasto con la normativa urbanistico-edilizia vigente al momento della loro adozione, possono essere annullati dalla Provincia, sempre che sussista un sostanziale interesse pubblico alla rimozione di tali atti. 3. Ove venga riscontrata la sussistenza delle condizioni per procedere ai sensi del comma 2, la Provincia, sentito il Comitato di cui all'articolo 54, contesta le relative violazioni al titolare del permesso di costruire o della DIA, al proprietario dell'immobile quale risultante dai registri immobiliari tenuti presso la competente Conservatoria al momento della contestazione stessa, al progettista nonché all'Amministrazione comunale, con l'invito a presentare controdeduzioni entro un termine all'uopo prefissato. 4. Il provvedimento di annullamento deve essere adottato entro diciotto mesi dalla contestazione di cui al comma 3, reso noto mediante pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione e notificato: a) al Comune per la sua affissione all'Albo pretorio comunale nonché per l'assunzione, entro il termine all'uopo fissato, dei conseguenti provvedimenti sanzionatori previsti dall'articolo 55, qualora non sia possibile la eliminazione dei vizi delle relative procedure amministrative; b) agli altri soggetti indicati al comma 3.” L’analisi della disposizione regionale pone diverse questioni, anche a fronte della non totale coincidenza con al disposizione nazionale. Invero, nel caso di specie gli elementi in contestazione rilevanti ai fini di causa sono la necessità di un sostanziale interesse pubblico alla rimozione (comma 2 ultimo inciso) e l’estensione dei presupposti dell’autotutela. Entrambe le nozioni appaiono non conformi ai canoni della ragionevolezza se non rettamente intese alla luce dei principi fondamentali, anche costituzionali, delle materie coinvolte, sia in sé (principio di ragionevolezza ad esempio) sia in relazione alla legislazione statale di principio (in tema di governo del territorio) sia rispetto alla natura speciale dell’autotutela straordinaria. Sotto il primo profilo, la nozione di sostanziale interesse pubblico è, per un verso, estranea alla norma statale ed alle generali figure del diritto amministrativo e, per un altro verso, non chiara nei propri presupposti. A quest’ultimo riguardo, o la nozione coincide con il corretto sviluppo del territorio, ma ciò nulla aggiungerebbe rispetto al presupposto giuridico della non conformità del titolo assentito alla disciplina urbanistico edilizia vigente, ovvero costituisce una diversa denominazione del c.d. interesse pubblico ulteriore, presupposto tradizionale del potere di annullamento in autotutela. Se è pur vero che la norma regionale costituisce diretta attuazione di quella statale, come manifestato letteralmente dallo stesso disposto normativo, la previsione di un interesse pubblico ulteriore può reputarsi esercizio, esteso ai massimi livelli ammissibili, di specificazione e chiarimento del potere di annullamento ex art. 39 cit., essendo ragionevole che la lesione dell’affidamento ingenerato dal rilascio dei titoli sia accompagnata dalla esplicazione di interessi pubblici ulteriori rispetto alla sola diversa interpretazione del dato normativo urbanistico edilizio, specie rispetto alla sempre crescente complessità di quest’ultimo, come dimostrato nel caso de quo in relazione ad una disciplina – quale quella sul recupero dei sottotetti – che ha impegnato a diversi livelli gli operatori del diritto urbanistico. Sotto il secondo profilo, l’eccezionalità del potere in questione non può che essere inteso, in conformità ai canoni costituzionali di cui all’art. 97 Cost e di ragionevolezza, sulla scorta dei medesimi presupposti che disciplinano l’autotutela della p.a. titolare del potere ordinario: sia in termini di interesse pubblico specifico, sia di doverosa valutazione degli interessi e degli eventuali affidamenti, con conseguente necessaria valutazione della situazione di fatto che si viene ad incidere in via straordinaria. Nel caso di specie, pur nel dilungarsi della parte motiva dell’atto, nessun elemento specifico e concreto in termini di interesse pubblico ulteriore rispetto alla mera diversa interpretazione del dato normativo edilizio risulta accompagnare l’esercizio del delicato ed eccezionale potere esercitato dalla Provincia. Né risulta in alcun modo concretamente preso in considerazione, conformemente ai principi fondamentali in tema di atutotutela, la situazione del privato titolare del permesso di costruire ed il relativo affidamento, concretizzatosi nella specie addirittura con l’ultimazione dell’intervento quasi due anni prima dell’adozione dell’annullamento. A quest’ultimo proposito, il dovere di adeguata valutazione predetto emerge altresì dal fatto che l’avvio dell’iter straordinario è avvenuto tre anni dopo il rilascio del titolo edilizio in contestazione. In definitiva, il grave provvedimento impugnato si è basato unicamente su di una diversa interpretazione del dato normativo edilizio – di per sé, come noto, oggetto di svariate difficoltà ermeneutiche ed applicative, come ad esempio è emerso dalla disapplicazione giurisprudenziale di circolari regionali integrative del dato normativo -, rispetto agli uffici comunali, alla stregua di un mero annullamento di illegittimità, potere di cui peraltro gli uffici provinciali appaiono già in astratto privi.     T.A.R. Liguria, Sez. I, 23 dicembre 2014, n. 1929 - Costituisce jus receptum il principio a mente del quale il Comune, nell'espletamento di attività istruttoria in ordine al possesso dei titoli legittimanti l'attività edilizia, non è chiamato ad effettuare indagini approfondite richiedenti particolari competenze tecniche, ma è tenuto ad accertare la mera sussistenza di un titolo legittimante in base al quale l'indagine volta all'accertamento tecnico specifico in ordine alla rispondenza dei titoli di proprietà ed alle particelle catastali ivi indicate non attiene ai presupposti specifici del provvedimento amministrativo di natura edilizia, che è rilasciato con la clausola “fatti salvi i diritti dei terzi” e, quindi, senza pregiudicare la possibilità per eventuali privati controinteressati di far valere le proprie ragioni civilisticamente rilevanti nelle sedi competenti.     T.A.R. Liguria, Sez. I, 30 ottobre 2014, n. 356 - In aggiunta, anziché assumere un provvedimento espresso, l’amministrazione ha disposto più volte la sospensione del procedimento che è un atto atipico, non suscettibile di reiterazione se non per ragioni di fatto sopravvenute, nel caso in esame assenti.     Cons. Stato, Sez. V, 5 settembre 2014, n. 4518 - E’ innanzitutto destituita di fondamento la tesi degli appellanti circa l’inammissibilità del rilascio della concessione edilizia in deroga per un albergo, in quanto quest’ultimo non potrebbe essere considerato un edificio o impianto pubblico o di interesse pubblico, mancando in tal senso qualsiasi adeguata motivazione. La giurisprudenza ha invero avuto modo di evidenziare che per “edificio di interesse pubblico”, proprio ai fini del rilascio del titolo edilizio in deroga, deve intendersi ogni manufatto edilizio idoneo, per caratteristiche intrinseche o per destinazione funzionale, a soddisfare interessi di rilevanza pubblica (Cons. St., sez. V, 20 dicembre 2013, n. 6136), potendo in tale categoria ricomprendersi anche una struttura alberghiera ed il suo ampliamento (Cons. St., sez. IV, 29 ottobre 2002, n. 5913; 28 ottobre 1999, n. 1641; 15 luglio 1998, n. 1044).

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L'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 22.07.2016, n. 19 precisando i suoi precedenti pronunciamenti sull'argomento ha sentenziato che "Per le gare bandite anteriormente all’entrata in vigore del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, nelle ipotesi in cui l’obbligo di indicazione separata dei costi di sicurezza aziendale non sia stato specificato dalla legge di gara, e non sia in contestazione che dal punto di vista sostanziale l’offerta rispetti i costi minimi di sicurezza aziendale, l’esclusione del concorrente non può essere disposta se non dopo che lo stesso sia stato invitato a regolarizzare l’offerta dalla stazione appaltante nel doveroso esercizio dei poteri di soccorso istruttorio".   Tar Campania Napoli, Sez. I  - Ordinanza 24.02.2016 n.990 - rimessione alla Corte di Giustizia da parte del Tar Campania – Napoli della questione relativa alla compatibilità dell’art. 86 comma 3 bis del D.Lgs. n. 163/2006 (nella parte in cui prevede la necessità di indicare specificamente gli oneri di sicurezza nelle offerte relative a procedure ad evidenza pubblica, così come interpretato dal Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria che ha esteso detto onere anche agli appalti di lavori) con i principi euro-unitaria della tutela del legittimo affidamento e di certezza del diritto e con i principi di libera circolazione delle merci, libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi   Ancora un intervento dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, 2.11.2015, n. 9 che ribadisce come, nell'ambito di un appalto di lavori pubblici, "non sono legittimamente esercitabili i poteri attinenti al soccorso istruttorio, nel caso di omessa indicazione degli oneri di sicurezza aziendali, anche per le procedure nelle quali la fase della presentazione delle offerte si è conclusa prima della pubblicazione della decisione dell’Adunanza Plenaria n.3 del 2015". L'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, 20.03.2015, n. 3 chiarisce definitivamente gli obblighi dichiarativi in capo alle imprese concorrenti e alle stazioni appaltanti per quanto concerne gli oneri di sicurezza: "a presidio di diritti fondamentali dei lavoratori sanciti nella stessa Costituzione, si deve allora fare capo ad una lettura delle norme costituzionalmente orientata, unica idonea a ricomporre le incongruenze rilevate, che porta a ritenere l’obbligo dei concorrenti di presentare i costi interni per la sicurezza del lavoro anche nelle offerte relative agli appalti di lavori, ricostruendosi il quadro normativo, in sintesi, nel modo seguente: -a) le stazioni appaltanti, nella predisposizione degli atti di gara per lavori e al fine della valutazione dell’anomalia delle offerte, devono determinare il valore economico degli appalti includendovi l’idonea stima di tutti i costi per la sicurezza con l’indicazione specifica di quelli da interferenze; i concorrenti, a loro volta, devono indicare nell’offerta economica sia i costi di sicurezza per le interferenze (quali predeterminati dalla stazione appaltante) che i costi di sicurezza interni che essi determinano in relazione alla propria organizzazione produttiva e al tipo di offerta formulata; -b) la ratio del puntuale richiamo, nell’art. 87, comma 4, secondo periodo del Codice, della specifica indicazione dei costi per la sicurezza per le offerte negli appalti di servizi e forniture appare individuabile, in questo quadro, in relazione alla particolare tipologia delle prestazioni richieste per questi appalti rispetto a quelli per lavori e alla rilevanza di ciò nella fase della valutazione dell’anomalia (cui la norma è espressamente riferita); il contenuto delle prestazioni di servizi e forniture può infatti essere tale da non comportare necessariamente livelli di rischio pari a quelli dei lavori, rilevando l’esigenza sottesa alla norma in esame, pur ferma la tutela della sicurezza del lavoro, di particolarmente correlare alla entità e caratteristiche di tali prestazioni la giustificazione dei relativi, specifici costi in sede di offerta e di verifica dell’anomalia". Talché nell'ambito dei lavori pubblici un'offerta che sia priva dell'indicazione degli oneri di sicurezza non può essere salvata dal soccorso istruttorio e conseguentemente si afferma il seguente principio di diritto “Nelle procedure di affidamento di lavori i partecipanti alla gara devono indicare nell’offerta economica i costi interni per la sicurezza del lavoro, pena l’esclusione dell’offerta dalla procedura anche se non prevista nel bando di gara”.   Interessante decisione del TAR Liguria, sez. II, 29.08.2014, n. 1323 che ha statuito, pur conscia del vivace dibattito giurisprudenziale in atto, illegittima l'esclusione di un impresa nell'ambito di un appalto di servizi di natura intellettuale, per non aver dedotto in sede di offerta gli oneri di sicurezza aziendali, pur sussistendo una specifica previsione della lex specialis che imponeva tale obbligo ("L’offerta economica, nella quale il concorrente dovrà a pena di esclusione specificare i costi relativi alla sicurezza afferenti l’esercizio dell’attività svolta …"), a fronte della circostanza che lettera d’invito ed il capitolato speciale recavano la dicitura “oneri per la sicurezza pari a zero” ed il modello per la presentazione dell’offerta economica non conteneva alcuno spazio per l’eventuale indicazione dei costi in parola. Secondo la decisione in commento, infatti, "va premesso che nessuna disposizione in tema di appalti pubblici o di sicurezza sul lavoro fornisce una positiva definizione dei cosiddetti “costi aziendali” per la sicurezza, vale a dire degli oneri, diversi da quelli “da interferenze”, la cui omessa indicazione ha comportato l’esclusione dell’offerta della ricorrente. Si tratta di una nozione forgiata dalla prassi e dall’elaborazione giurisprudenziale, nella quale si includono eterogenee voci di costo che possono venire in rilievo o meno in relazione al tipo di appalto, quali i costi per i dispositivi di protezione individuale e collettiva, per i dispositivi antincendio, per la sorveglianza sanitaria e per le attività di formazione dei lavoratori. Non rilevano, peraltro, tutti i costi che l’impresa deve genericamente sostenere per l’esercizio della propria attività, ma solo quelli che derivano dall’esecuzione dello specifico appalto. Il già citato art. 87, comma 4, del codice dei contratti pubblici, fa espresso riferimento agli oneri in questione laddove stabilisce che “nella valutazione dell’anomalia la stazione appaltante tiene conto dei costi relativi alla sicurezza, che devono essere specificamente indicati nell’offerta e risultare congrui rispetto all’entità e alle caratteristiche dei servizi o delle forniture. Nessun elemento testuale contenuto in tale disposizione o in altre previsioni normative consente di ritenere, però, che la mancata indicazione degli oneri per la sicurezza (“da rischio specifico”) possa giustificare l’esclusione del concorrente. La disposizione citata prevede semplicemente, infatti, un criterio da applicare per la valutazione della congruità dell’offerta, tenendo anche conto della tipologia di servizio da affidare, onde evitare che l’impresa possa dimostrare la rimuneratività e l’attendibilità del ribasso proposto attraverso l’eventuale contrazione degli oneri per la sicurezza (T.A.R. Lazio, Roma, sez. III ter, 3 febbraio 2014, n. 1314). L’indicazione degli oneri per la sicurezza, pertanto, è funzionale al giudizio di anomalia dell’offerta, ossia all’attuazione di un precetto rivolto alle stazioni appaltanti che non può essere imposto alle imprese concorrenti a pena di esclusione dalla gara (Cons. Stato, sez. V, 17 giugno 2014, n. 3056). Ne consegue la diagnosi di illegittimità dell’impugnato provvedimento di esclusione nonché della previsione della legge di gara che aveva previsto la sanzione espulsiva". Si ricorda che in altra recente occasione lo stesso TAR Liguria, Sez. II, 16 maggio 2014, n. 774 ha chiarito che per gli appalti di lavori, attesa la maggiore rischiosità di questa tipologia di commessa, gli oneri di sicurezza aziendali devono essere contenuti, ai sensi dell'art. 131 d.lgs. n. 163/06, nel piano di sicurezza e coordinamento, ma non in sede di offerta economica.

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Il TAR Lazio, III ter, 13 dicembre 2016, n. 12439, sancisce il principio per cui, in considerazione delle disposizioni acceleratorie contenute nel nuovo Codice (artt. 204 e 211 d.lgs. n. 50/2016) è preferibile un’impostazione che consenta all’operatore economico interessato a partecipare alla gara di chiedere l’immediata verifica della legittimità della lex specialis, nella parte relativa alla scelta del criterio di aggiudicazione, senza dover necessariamente partecipare alla selezione (con eventuale celebrazione del giudizio sulle ammissioni) e senza doverne attendere l’esito.     Il T.A.R. Liguria, Sez. II, 21.03.2014, n. 453, riprendendo il recente pronunciamento del Consiglio di Stato n. 5671 del 7 novembre 2012, rivede ed incrementa le fattispecie nelle quali v'è l'obbligo d'impugnazione del bando: - i bandi, i disciplinari, i capitolati speciali di gara e le relative lettere di invito vanno impugnati, di regola, unitamente agli atti che di essi fanno applicazione, in quanto solo in tale secondo momento diventa attuale e concreta la lesione della situazione soggettiva dell’interessato; - in via di eccezione, devono essere impugnati immediatamente i bandi che sono idonei a generare una lesione immediata e diretta della situazione soggettiva dell'interessato, qualora contengano clausole cosiddette escludenti, correlate cioè all’illegittima richiesta del possesso di determinati requisiti di qualificazione la cui mancanza inibisce o rende vana la partecipazione; - in via di ulteriore eccezione, devono essere impugnati immediatamente gli atti di indizione della gara quando le clausole impediscano, indistintamente a tutti i concorrenti, una corretta e consapevole elaborazione dell’offerta. - regole che rendano la partecipazione incongruamente difficoltosa o addirittura impossibile; - disposizioni abnormi o irragionevoli che rendano impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla gara ovvero prevedano abbreviazioni irragionevoli dei termini per la presentazione dell’offerta; - condizioni negoziali che rendano il rapporto contrattuale eccessivamente oneroso e obiettivamente non conveniente; - imposizione di obblighi contra ius (ad es.: cauzione definitiva pari all’intero importo dell’appalto); - gravi carenze nell’indicazione di dati essenziali per la formulazione dell’offerta (ad es.: quelli relativi a numero, qualifiche, mansioni, livelli retributivi e anzianità del personale destinato ad essere assorbito dall’aggiudicatario) ovvero siano presenti formule matematiche del tutto errate (ad es.: quelle per cui tutte le offerte conseguono comunque un punteggio pari a zero); - atti di gara del tutto mancanti della prescritta indicazione dei costi della sicurezza non soggetti a ribasso. - omessa indicazione dei punteggi attribuibili per i singoli sub-criteri di valutazione abbia reso impossibile, non solo la corretta comparazione delle offerte, ma la stessa formulazione di un’offerta ponderata “ed adeguata rispetto alle finalità perseguite dall’Amministrazione”. In tal caso, infatti "Vengono contestate in radice, perciò, le “modalità” di attribuzione del punteggio, rimesse ad imponderabili valutazioni della Commissione giudicatrice e tali da non consentire la presentazione di un’offerta qualitativamente modulabile in ragione di elementi obiettivamente predefiniti. Il vizio evocato pregiudica, in definitiva, la legittimità dell’intero procedimento di gara, a partire dagli atti di indizione, ed implica una valutazione drasticamente negativa circa la possibilità che il procedimento medesimo potesse avere utile svolgimento. Ne deriva, anche in una prospettiva di economicità dell’azione amministrativa, ossia per evitare lo spreco di risorse pubbliche destinate all’espletamento di una procedura di gara complessa, che non può consentirsi alle imprese di partecipare alla gara con la riserva mentale di provocarne all’occorrenza l’integrale caducazione, generando contenziosi a tutela di interessi meramente strumentali, dovendosi invece ritenere che le stesse siano onerate ad impugnare immediatamente le clausole idonee a compromettere la legittimità della procedura, senza poter attendere l’esito negativo rappresentato dalla mancata aggiudicazione"

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NORMATIVA   Con DECRETO INTERMINISTERIALE 23.2.2016 recante "Modifica del decreto 30 gennaio 2015 relativo a «Semplificazione in materia di documento unico di regolarita' contributiva» (DURC)" (pubblicato in G.U. n. 245 del 19.10.2016). Andiamo ad evidenziare come vengono a modificarsi gli articoli del d.m. 30.01.2015 interessati dal nuovo provvedimento (le parti aggiunge sono sottolineate): - art. 2, comma 1: "I soggetti di cui all'art. 1 possono verificare in tempo reale, con le modalità di cui all'art. 6, la regolarità contributiva nei confronti dell'INPS, dell'INAIL e, per le imprese classificate o classificabili ai fini previdenziali nel settore industria o artigianato per le attività dell'edilizia, nonche', ai  soli fini DURC,  per  le  imprese  che  applicano  il  relativo  contratto collettivo nazionale sottoscritto dalle organizzazioni, per  ciascuna  parte, comparativamente piu' rappresentative,delle Casse edili. La verifica è effettuata nei confronti dei datori di lavoro e dei lavoratori autonomi ai quali è richiesto il possesso del Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC) ai sensi della vigente normativa. Ai sensi dell'art. 2, comma 1, lettera h) del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, le Casse edili competenti ad attestare la regolarità contributiva sono esclusivamente quelle costituite da una o più associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro stipulanti il contratto collettivo nazionale e che siano, per ciascuna parte, comparativamente più rappresentative sul piano nazionale"; - art. 5, comma 2 "In caso di fallimento o  liquidazione  coatta  amministrativa con esercizio provvisorio di cui agli articoli 104 e  206  del  regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, l'impresa si  considera  regolare  con riferimento agli obblighi contributivi nei confronti di INPS, INAIL e Casse  edili  scaduti  anteriormente  alla data di autorizzazione all'esercizio provvisorio" (si aggiunge il riferimento alla liquidazione coatta amministrativa e non si richiede più che i crediti per i contributi scaduti siano insinuati nella procedura); - art. 5, comma 3 "In caso di amministrazione straordinaria di cui al decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270  e  al  decreto-legge  23  dicembre 2003, n. 347, convertito nella  legge  18  febbraio  2004,  n.  39  e successive modifiche e integrazioni, l'impresa si considera  regolare con riferimento ai debiti contributivi nei confronti di INPS, INAIL e Casse edili scaduti anteriormente alla data del decreto  di  apertura della medesima procedura di cui all'art. 30 del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270 e all'art. 2 del decreto-legge 23 dicembre  2003, n. 347" (vengono aggiornati i riferimenti legislativi del procedimento di amministrazione straordinaria".   Con la CIRCOLARE DEL MINISTERO DEL LAVORO 8.6.2015, N. 19 vengono fornite le prime indicazioni operative per il cd. DURC on line.   Pubblicato in G.U. n. 125 dell'1.6.2015 il DECRETO MINISTERIALE  30.01.2015 recante "Semplificazione in materia di documento unico di regolarita' contributiva (DURC)" che era diventa online, acquisibile con un click, mentre sono prescritte, tra l'altro, i requisiti per il rilascio del DURC regolare. Ecco alcuni chiarimenti: - il DURC vale 120 giorni; - vale per sovvenzioni, certificato di qualificazione SOA e appalti pubblici; - il DURC non può dirsi irregolare a) rateizzazioni concesse dall'INPS, dall'INAIL o dalle Casse edili ovvero dagli Agenti della riscossione sulla base delle disposizioni di legge e dei rispettivi regolamenti; b) sospensione dei pagamenti in forza di disposizioni legislative; c) crediti in fase amministrativa oggetto di compensazione per la quale sia stato verificato il credito, nelle forme previste dalla legge o dalle disposizioni emanate dagli Enti preposti alla verifica e che sia stata accettata dai medesimi Enti; d) crediti in fase amministrativa in pendenza di contenzioso amministrativo sino alla decisione che respinge il ricorso; e) crediti in fase amministrativa in pendenza di contenzioso giudiziario sino al passaggio in giudicato della sentenza, salva l'ipotesi cui all'art. 24, comma 3, del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46; f) crediti affidati per il recupero agli Agenti della riscossione per i quali sia stata disposta la sospensione della cartella di pagamento o dell'avviso di addebito a seguito di ricorso giudiziario. La regolarità sussiste, inoltre, in presenza di uno scostamento non grave tra le somme dovute e quelle versate, con riferimento a ciascun Istituto previdenziale ed a ciascuna Cassa edile. Non si considera grave lo scostamento tra le somme dovute e quelle versate con riferimento a ciascuna Gestione nella quale l'omissione si è determinata che risulti pari o inferiore ad € 150,00 comprensivi di eventuali accessori di legge. In caso di concordato con continuità aziendale di cui all'art. 186-bis r.l. n. 267/1942, l'impresa si considera regolare nel periodo intercorrente tra la pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese e il decreto di omologazione, a condizione che nel piano di cui all'art. 161 del medesimo regio decreto sia prevista l'integrale soddisfazione dei crediti dell'INPS, dell'INAIL e delle Casse edili e dei relativi accessori di legge.       GIURISPRUDENZA La Corte di Giustizia UE ha chiarito, con la decisione 10 novembre 2016 in C-199/15, Ciclat, che l’art. 45 della direttiva 2004/18 non osta a una normativa nazionale che considera quale motivo di esclusione una violazione in materia di versamento di contributi previdenziali ed assistenziali che sussisteva alla data della partecipazione ad una gara d’appalto, anche qualora l’importo dei contributi sia poi stato regolarizzato prima dell’aggiudicazione o prima della verifica d’ufficio da parte dell’amministrazione aggiudicatrice. Poco importa, secondo i Giudici di Lussemburgo, che l’operatore economico non sia stato preavvisato di una siffatta irregolarità, purché abbia la possibilità di verificare in ogni momento la regolarità della sua situazione presso l’istituto competente. Se così è effettivamente, l’operatore economico non può fondarsi sul certificato rilasciato dagli istituti previdenziali, ottenuto prima della presentazione della sua offerta e attestante che esso era in regola con i propri obblighi contributivi in un periodo anteriore a tale presentazione, pur sapendo, se del caso, dopo essersi informato presso l’istituto competente, di non essere più in regola con siffatti obblighi alla data della presentazione della sua offerta. L’articolo 45 della direttiva 2004/18 non osta infine a una normativa nazionale che obbliga le amministrazioni aggiudicatrici a considerare quale motivo di esclusione una violazione in materia di versamento di contributi previdenziali ed assistenziali risultante da un certificato richiesto d’ufficio dall’amministrazione aggiudicatrice e rilasciato dagli istituti previdenziali, qualora tale violazione sussistesse alla data della partecipazione ad una gara d’appalto, escludendo così ogni margine di discrezionalità delle amministrazioni aggiudicatrici a tale riguardo.   Sempre l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 25.5.2016, n. 10 ritorna sull'argomento DURC per precisare ancora che "l’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato si è espressa nel senso di ritenere che “Anche dopo l’entrata in vigore dell’art. 31, comma 8, del decreto legge 21 giugno 2013 n. 69, (Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia), convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, non sono consentite regolarizzazioni postume della posizione previdenziale, dovendo l’impresa essere in regola con l'assolvimento degli obblighi previdenziali ed assistenziali fin dalla presentazione dell'offerta e conservare tale stato per tutta la durata della procedura di aggiudicazione e del rapporto con la stazione appaltante, restando dunque irrilevante, un eventuale adempimento tardivo dell'obbligazione contributiva. L’istituto dell’invito alla regolarizzazione (il c.d. preavviso di DURC negativo), già previsto dall’art. 7, comma 3, del decreto ministeriale 24 ottobre 2007 e ora recepito a livello legislativo dall’art. 31, comma 8, del decreto legge 21 giugno 2013 n. 69, può operare solo nei rapporti tra impresa ed Ente previdenziale, ossia con riferimento al DURC chiesto dall’impresa e non anche al DURC richiesto dalla stazione appaltante per la verifica della veridicità dell’autodichiarazione resa ai sensi dell’art. 38, comma 1, lettera i) ai fini della partecipazione alla gara d’appalto. In tal modo è stato chiarito che l’art. 31 d.l. n. 69 del 2013 non ha modificato la disciplina dettata dall’art. 38 d.lgs. n. 163 del 2006: la regola del preavviso di d.u.r.c. negativo, dunque, non trova applicazione nel caso di certificazione richiesta dalla stazione appaltante, ai fini della verifica delle dichiarazioni rese dell’impresa partecipante. Il meccanismo, di cui al citato art. 31 comma 8, si applica solo nei rapporti fra ente previdenziale ed operatore economico richiedente, senza venire in rilievo nel caso in cui sia la stazione appaltante a richiedere il d.u.r.c. ai fini della verifica circa la regolarità dell’autodichiarazione”.   L'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 29.2.2016, n. 5 finalmente chiarisce che "Anche dopo l’entrata in vigore dell’art. 31, comma 8, del decreto legge 21 giugno 2013 n. 69, (Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia), convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, non sono consentite regolarizzazioni postume della posizione previdenziale, dovendo l’impresa deve essere in regola con l'assolvimento degli obblighi previdenziali ed assistenziali fin dalla presentazione dell'offerta e conservare tale stato per tutta la durata della procedura di aggiudicazione e del rapporto con la stazione appaltante, restando dunque irrilevante, un eventuale adempimento tardivo dell'obbligazione contributiva. L’istituto dell’invito alla regolarizzazione (il c.d. preavviso di DURC negativo), già previsto dall’art. 7, comma 3, del decreto ministeriale 24 ottobre 2007 e ora recepito a livello legislativo dall’art. 31, comma 8, del decreto legge 21 giugno 2013 n. 69, può operare solo nei rapporti tra impresa ed Ente previdenziale, ossia con riferimento al DURC chiesto dall’impresa e non anche al DURC richiesto dalla stazione appaltante per la verifica della veridicità dell’autodichiarazione resa ai sensi dell’art. 38, comma 1, lettera i) ai fini della partecipazione alla gara d’appalto»".   Interessante sentenza del T.A.R. Liguria, Sez. II, 26 settembre 2014, n. 1382, la quale chiarisce che la Stazione appaltante prima di escludere un'impresa in sede di gara per DURC irregolare deve verificare che sia stato esperito il procedimento di cui all'art. 31, comma 8 d.l. n. 69/2013, il quale - si ricorda - stabilisce che "Ai fini della verifica per il rilascio del documento unico di regolarità contributiva (DURC), in caso di mancanza dei requisiti per il rilascio di tale documento gli Enti preposti al rilascio, prima dell'emissione del DURC o dell'annullamento del documento già rilasciato, invitano l'interessato, mediante posta elettronica certificata o con lo stesso mezzo per il tramite del consulente del lavoro ovvero degli altri soggetti di cui all'articolo 1 della legge 11 gennaio 1979, n. 12, a regolarizzare la propria posizione entro un termine non superiore a quindici giorni, indicando analiticamente le cause della irregolarità". Secondo il T.A.R. genovese tale soluzione ermeneutica, necessitata dalla sopravvenienza legislativa, "la possibilità di sanatoria consente anche di riportare ad unità quella giurisprudenza che distinguendo, ai sensi dell’art. 38 D.LGS n.163\2006, il sindacato sul contenuto del DURC, dalla valutazione sulla gravità delle violazioni segnalate nel documento (CdS V, 16\9\2011 n.5186) o richiedendo comunque una valutazione circa la definitività dell’accertamento (TAR Puglia, Bari, II 6\11\2013 n. 1497) consentiva al giudice di compiere valutazioni che oggi il legislatore rimette al procedimento di sanatoria sopra descritto, eliminando così in radice il rischio di valutazioni differenti circa la gravità della violazione e comunque facendo venir meno all’origine la violazione segnalata con la sua regolarizzazione. Ne consegue la corrispondenza della norma di sanatoria con parte delle ragioni che avevano determinato l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (n. 8\2012) a enunciare il principio di diritto secondo il quale “la nozione di violazione grave non è rimessa alla valutazione caso per caso della stazione appaltante, ma si desume dalla disciplina previdenziale, e in particolare dalla disciplina del documento unico di irregolarità contributiva; ne consegue che la verifica della regolarità contributiva delle imprese partecipanti a procedure di gara per l'aggiudicazione di appalti con la pubblica amministrazione è demandata agli istituti di previdenza, le cui certificazioni (d.u.r.c.) si impongono alle stazioni appaltanti, che non possono sindacare il contenuto”.

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Con sentenza CGUE 11.12.2014, C. 113-13 riconoscere la compatibilità con l'ordinamento eurounitario del sistema italiano delle pubbliche assistenze, sancendo che "Gli articoli 49 TFUE e 56 TFUE devono essere interpretati nel senso che non ostano ad una normativa nazionale che, come quella in discussione nel procedimento principale, prevede che la fornitura dei servizi di trasporto sanitario di urgenza ed emergenza debba essere attribuita in via prioritaria e con affidamento diretto, in mancanza di qualsiasi pubblicità, alle associazioni di volontariato convenzionate, purché l’ambito normativo e convenzionale in cui si svolge l’attività delle associazioni in parola contribuisca effettivamente alla finalità sociale e al perseguimento degli obiettivi di solidarietà ed efficienza di bilancio su cui detta disciplina è basata".   Interessante decisione del T.A.R. Liguria, sez. II, 26 settembre 2014, n. 1377 la quale chiarisce che l'accordo tra Regione Liguria e Vigili del Fuoco per l’effettuazione di un servizio di elisoccorso tecnico-sanitario costituisce legittima applicazione dell'art. 15 l. n. 241/90 e non viola i prinicipi della concorrenza e dell'evidenza pubblica. Il T.A.R. ligure ricorda infatti che "A conferma della legittimità della scelta regionale, la sentenza della III sez. del CdS del 2013 sopra citata, che il Collegio condivide e, sostanzialmente, ricalca la precedente pronuncia di questo tribunale nella materia trattata (Tar Liguria, II n.1524\2012), ha affermato che “la forma dell’accordo tra amministrazioni interessate costituisce lo strumento più appropriato per il soddisfacimento dell’interesse pubblico, coordinando in un quadro unitario, le specifiche competenze dalla legge affidate alle diverse amministrazioni”. Coniugare l’attività di tutela della salute, affidata alla regione, con l’utilizzazione dei mezzi tecnici a disposizione dei VV.FF. depositari degli interventi deputati a salvaguardare l’incolumità delle persone in situazioni di pericolo o d’urgenza, costituisce un’attività di cooperazione che giustamente il Consiglio di Stato ritiene una scelta insindacabile spettante alle Amministrazioni, nella valutazione a monte compiuta sulle modalità per migliorare l’efficienza nella gestione dei mezzi di soccorso, che trova la sua previsione nel punto 1.7 dell’accordo della Conferenza Stato-Regioni n.220 del 3\2\2005 avente come oggetto “le linee guida per l’organizzazione dei servizi di soccorso sanitario in elicottero”. Nello stesso senso va la sentenza del Tar Liguria II sez. n.1925\2008 nella quale si sottolinea come l’accordo tra amministrazioni ex art.15 l.n.241\90 presupponga lo svolgimento di un’attività comune, nella quale le specifiche competenze delle due amministrazioni siano “complementari e sinergiche” per realizzare il miglior risultato possibile dell’interesse pubblico che è alla base dell’accordo".

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