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T.A.R. Liguria, Sez. I, 7 gennaio 2019, n. 12 - E’ contestata la legittimità del provvedimento ex art. 21, comma 4, del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, con cui la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici della Liguria ha respinto la richiesta di autorizzazione all’installazione di un dehors a servizio dell’esercizio commerciale della Società ricorrente, ubicato presso un immobile sottoposto a vincolo monumentale. La motivazione del diniego, che riproduce quasi letteralmente i motivi ostativi comunicati in sede endoprocedimentale, si sostanzia nel rilievo secondo cui la posa in opera di un manufatto “attaccato alla struttura storica” comporterebbe l’inserimento di un elemento incongruo, tale da impedire la vista della facciata dello stabile tutelato. Si osserva preliminarmente che le scelte compiute dall’amministrazione per la tutela dei beni vincolati, essendo connotate da ampi profili di discrezionalità, sono sindacabili dal giudice amministrativo entro limiti piuttosto ristretti, coincidenti con il riscontro di eventuali violazioni delle regole procedurali e del vizio di eccesso di potere desumibile dalla semplice lettura degli atti, come nelle ipotesi di manifesta e grave irragionevolezza, illogicità, mancanza di motivazione o travisamento dei fatti. Ciò premesso, l’atto impugnato non si sottrae alle censure sollevate con i primi due motivi di ricorso. L’Amministrazione, infatti, si è limitata a ribadire la precedente posizione, senza prendere in considerazione le osservazioni che la Società ricorrente aveva presentato tramite il proprio tecnico, secondo cui la previsione di un distacco di 90 cm e la struttura trasparente del dehors salvaguarderebbero la visibilità della facciata dell’edificio storico. Tali elementi sono indubbiamente significativi ai fini di una puntuale valutazione dell’impatto sull’edificio vincolato, sicché la loro omessa valutazione rende illegittimo il provvedimento finale per violazione dell’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990. Nella memoria del tecnico incaricato dalla richiedente, si precisava anche che la soluzione progettuale ricalca quella elaborata dallo studio Renzo Piano, nell’ambito del più generale progetto di restauro del 1992, per l’installazione di dehors pertinenziali alle attività commerciali del Porto Antico di Genova. Neppure questa circostanza, di rilievo non trascurabile, è stata considerata nel provvedimento finale. La mancata (o incompleta) disamina della memoria procedimentale si traduce, altresì, in vizio sostanziale dell’atto, per difetto di motivazione e travisamento dei fatti, laddove l’Amministrazione, senza tener conto dei chiarimenti forniti dal privato, ha erroneamente ribadito che il manufatto in progettorisulterebbe “attaccato” all’edificio sottoposto a tutela, anziché collocato a una distanza di quasi un metro da esso. Ciò dimostra che la Soprintendenza non ha correttamente preso in esame le caratteristiche del manufatto medesimo, onde rapportarlo in modo puntuale ai valori dell’edificio vincolato.   Cons. Stato, Sez. VI, 4 gennaio 2018, n. 46 - L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, infatti, con la sentenza n. 20 del 22 settembre 1999, ha chiarito che sussiste l’obbligo di acquisire il parere da parte della Autorità preposta alla tutela del vincolo in sede di rilascio della concessione edilizia in sanatoria, a prescindere dall’epoca in cui sia dvenuto efficace l’atto che ha imposto il regime di tutela, in quanto la compatibilità dell’opera da condonare con il regime di salvaguardia garantito dal vincolo deve essere comunque valutata alla data dell’esame della domanda di sanatoria. In tal senso si è costantemente affermato in giurisprudenza, successivamente a tale sentenza dell’Adunanza plenaria, che ai fini delle procedure di condono sono da ritenere rilevanti tutti i vincoli apposti alla data in cui viene valutata l'istanza di sanatoria, a prescindere dalla data di esecuzione delle opere e di imposizione dei vincoli medesimi (Cons. Stato, Sez. VI, 27 aprile 2015, n. 2111, e 12 novembre 2014, n. 5549).   Cons. Stato, Sez. VI, 28 febbraio 2017, n. 922 - A cogliere nel segno, ad avviso del Collegio, sono, invece, le deduzioni di parte appellante basate sul rilievo della sopravvenuta introduzione di un trattamento sanzionatorio “più afflittivo” rispetto a quello anteriore (sulla “sanatoria ex post”, mediante il pagamento della sola sanzione pecuniaria, prima della entrata in vigore del correttivo al codice del 2006, non sembra esservi contestazione tra le parti), e sulla applicabilità, nella specie, del principio della irretroattività della disciplina più severa, considerando operativa la sopravvenuta disciplina più severa esclusivamente per le opere realizzate dopo la sua entrata in vigore. Parte appellante critica cioè l’avvenuta applicazione in via “retroattiva”, da parte del Comune, di una disciplina sanzionatoria “aggravata” rispetto al passato. Il divieto, sopravvenuto, di sanatoria “ex post” (salvo i casi marginali di cui si è detto) mediante la “regolarizzazione” della posizione del trasgressore applicando, a determinate condizioni, unicamente una sanzione pecuniaria “sostitutiva” della restituzione in pristino, ben può essere qualificato, nella sostanza, come un aggravamento del trattamento sanzionatorio originario e antecedente alla modifica della disciplina, trattamento anteriore “riducibile” al versamento unicamente di una sanzione pecuniaria. Poiché si fa questione dell’applicazione di misure sanzionatorie, e dato che la mancata applicazione della meno severa disciplina pregressa è dipesa anche dalla inosservanza del termine di 180 giorni di cui si è detto sopra, con l’incidenza, quindi, in capo al privato, di un legittimo affidamento alla permanenza dell’assetto di interessi “meno sfavorevole” (se solo si fosse giunti a una pronuncia tempestiva sulla compatibilità paesaggistica); dalla qualificazione su esposta di “disciplina sanzionatoria aggravata” essendo venuta meno la possibilità di versare la sola sanzione pecuniaria; e dalla considerazione della situazione e degli atti impugnati nel loro insieme, consegue che il “divieto di regolarizzazione” suddetto deve trovare applicazione esclusivamente con riferimento agli interventi effettuati –e comunque alle infrazioni accertate- dopo l’entrata in vigore della disciplina stessa (marzo del 2006). Ciò, alla stregua del principio della irretroattività delle disposizioni che inaspriscono la disciplina sanzionatoria: dal che discende, in riforma, sul punto, della decisione del Tar, che ha invece inteso applicare in modo rigoroso il principio “tempus regit actum”, l’annullamento degli atti impugnati in primo grado, da considerarsi come detto “indisgiungibili” nel loro insieme, e la necessità, per l’Amministrazione, nel “riesercizio conformativo” delle proprie funzioni, secondo quanto stabilito in sentenza, di compiere, “ora per allora”, le verifiche prescritte allo scopo di valutare l’esistenza delle condizioni per potere commutare la restituzione in pristino con la irrogazione di una sanzione pecuniaria.    Corte Cost., 10 marzo 2017, n. 50 - 3.– Non può ritenersi invece cessata la materia del contendere per quanto riguarda l’impugnazione dell’art. 2, comma 3, della legge regionale n. 11 del 2015, il quale sostituisce il comma 5 dell’art. 2 della legge reg. Liguria n. 36 del 1997 con il comma seguente: «I piani di bacino, nonché i piani delle aree protette di cui alla vigente legislazione regionale, vincolano, nelle loro indicazioni di carattere prescrittivo, la pianificazione territoriale di livello regionale, metropolitano, provinciale e comunale con effetto di integrazione della stessa e, in caso di contrasto, di prevalenza su di essa». Secondo il ricorrente, la norma violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione all’art. 145, comma 3, del codice dei beni culturali e del paesaggio, il quale prevede che le disposizioni dei piani paesaggistici prevalgono sulle disposizioni contenute negli altri atti di pianificazione territoriale di settore. 3.1.‒ La questione è fondata. La norma regionale, subordinando la pianificazione territoriale di livello regionale ai piani di bacino e ai piani per le aree protette, si pone in evidente contrasto con il principio di prevalenza del piano paesaggistico sugli atti di pianificazione ad incidenza territoriale posti dalle normative di settore, dettato dall’art. 145, comma 3, del codice dei beni culturali e del paesaggio. Infatti, ai sensi dell’art. 3 della legge reg. Liguria n. 36 del 1997, nella formulazione vigente al momento della proposizione del ricorso, lo strumento della pianificazione territoriale di livello regionale è il PTR, avente (a norma dell’art. 13, comma 3, della legge reg. Liguria n. 36 del 1997, poi abrogato dall’art. 8, comma 3, della legge reg. Liguria n. 29 del 2016) valore di «piano urbanistico-territoriale, con specifica considerazione dei valori paesaggistici». La chiarezza dell’enunciato normativo non lascia margini all’interpretazione conforme suggerita dalla Regione Liguria. La rilevata antinomia non è stata superata dallo ius superveniens. Anche dopo la legge reg. Liguria n. 29 del 2016, il comma 5 dell’art. 2 della legge reg. Liguria n. 36 del 1997 continua a vincolare ai piani di bacino e delle aree protette l’intera «pianificazione territoriale di livello regionale», categoria quest’ultima che ‒ a seguito delle modifiche apportate all’art. 3 della legge reg. n. 36 del 1997 dall’art. 2, comma 1, della legge reg. n. 29 del 2016 ‒ include ora anche il «Piano paesaggistico».   T.A.R. Liguria, Sez. I, 18 maggio 2016, n. 499 - Sostengono gli esponenti che, prima di emettere il contestato provvedimento di diniego, l’Amministrazione procedente avrebbe dovuto acquisire il parere vincolante della Soprintendenza territorialmente competente. Tale doglianza è priva di pregio, poiché l’accertamento di una preclusione legale alla sanabilità delle opere abusivamente realizzate su immobili soggetti a vincolo (in questo caso l’accertata realizzazione di un incremento volumetrico e superficiario n.d.r.), con la conseguente diagnosi di insussistenza dei presupposti richiesti per l’accertamento della compatibilità paesaggistica delle opere medesime, ha reso sostanzialmente inutile l’intervento dell’autorità preposta alla tutela del vincolo.   Il Cons. Stato, Sez. Cons. Atti normativi, con parere 31 agosto 2016, n. 1404, si è pronunciato favorevolmente sullo schema di decreto proposto dal Ministero per i beni culturali avente ad oggetto l’individuazione degli interventi esclusi dall’autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata, in modo da consentire uno snellimento della burocrazia sulle iniziative di privati, cittadini e imprese.   Consiglio di Stato, Ad. Plenaria, 27 luglio 2016 n. 17 - L'Adunanza Plenaria è chiamata a dirimere la questione se l'art. 20, c. 4, della l. n. 241/1990, come sostituito dall'art. 3, c. 6ter, d.l. 14/3/2005, n. 35, conv. da l. 14/5/2005, n. 80, nel disporre che "le disposizioni del presente articolo non si applicano agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l'ambiente, la tutela del rischio idrogeologico, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza, l'immigrazione, l'asilo e la cittadinanza, la salute e la pubblica incolumità, ai casi in cui la normativa comunitaria impone l'adozione di provvedimenti amministrativi formali [...]", abroghi o meno la previsione dell'art. 13, c. 1 e 4 della l. n.  6 dicembre 1991, n. 394 (legge quadro sulle aree protette) secondo cui decorso inutilmente il termine di sessanta giorni dalla richiesta di nulla osta per concessioni o autorizzazioni relative a interventi "il nulla osta si intende rilasciato". Sotto il profilo sostanziale non si rinvengono nella giurisprudenza costituzionale o comunitaria preclusioni alla possibilità per il legislatore ordinario statale di impiegare lo strumento del silenzio-assenso anche in materia ambientale, laddove si tratti di "valutazioni con tasso di discrezionalità non elevatissimo" e non siano richiesti accerttamenti tecnici o verificazioni. Sotto il profilo sistematico, da un lato, l'art. 20 pare riguardare i casi generali e non estendersi a precedenti specifiche disposizioni, come quella dell'art. 13; dall'altro lato, non sarebbe logico che la generalizzazione dello strumento del silenzio assenso ad opera della riforma del 2005 determinasse il venire meno delle ipotesi di silenzio-assenso già previste. Nella fattispecie, peraltro, il silenzio assenso si inseriva nell'ambito di una normativa organica del settore sui parchi e le aree protette (la l. n. 394 del 1991), sicché deve ritenersi che "essa fosse il frutto di un bilanciamento complessivo degli interessi ivi coinvolti e costituisse effetto di una valutazione legislativa ponderata e giustificata dalla specificità della materia". Ad avviso dell'A.P. il nulla osta dell’art. 13, l. n. 394 del 1991 ha ad oggetto la verifica di conformità dell’intervento con le disposizioni del piano per il parco (che a norma dell'art. 12 persegue la tutela dei valori naturali ed ambientali affidata all'Ente Parco) e del regolamento del Parco (che a norma dell'art. 11 disciplina l'esercizio delle attività consentite entro il territorio del parco. Trattandosi di verifica di conformità il margine di discrezionalità tecnica connaturato è ben più ridotto di quanto sarebbe, ad esempio, per un'autorizzazione che fosse prevista per valutare la concreta compatibilità dell'intervento con un vincolo interessante il territorio. In questo quadro non viene meno la cura concreta dell'interesse ambientale e non vengono sovvertiti i principi fondamentali tesi a perimetrare il silenzio assenso in amteria ambientale. La preminenza di questa cura resta integra ed effettiva giacché la valutazione di conformità non comporta un giudizio tecnico-discrezionale autonomo e distinto da quello contenuto nel piano e nel regolamento del parco che assorbono in sè le valutazioni possibili e le traducono in precetti negativi (divieti o restrizioni quantitative), rispetto ai quali resta in concreto da compiere una mera verifica di conformità senza residui margini di apprezzamento. Per quanto sopra, trattandosi di valutazione da considerare a basso margine di discrezionalità, lo strumento del silenzio assenso deve ritenersi compatibile con il rilascio del nulla osta dell'Ente Parco per concessioni e autorizzazioni.   T.A.R. Liguria, Sez. I, 8 giugno 2016, n. 579 -  Il Collegio ritiene che la natura vincolante del parere della Soprintendenza di cui all’articolo 1, comma 39, della legge 15 dicembre 2004, n. 308 - direttamente stabilita dal legislatore ai sensi dell’art. 182, comma 3 ter, secondo periodo, del D.Lgs. n. 42/2004 - comporti l’idoneità di tale atto a condizionare l’esito del procedimento alla stregua di una decisione preliminare. Consegue, alla natura sostanzialmente decisoria del parere in questione, altresì che la reale fase partecipativa deve coinvolgere l’organo chiamato a formulare le valutazioni, dalle quali l’amministrazione investita della titolarità formale del procedimento non può discostarsi, in merito alla compatibilità paesaggistica dell’intervento abusivo (cfr. T.A.R. Liguria, sez. I, 26 marzo 2015, n. 345 e 25 giugno 2014, n. 1014). Prima di comunicare il proprio parere negativo vincolante, pertanto, la Soprintendenza deve a garantire il coinvolgimento procedimentale dell’interessato, attraverso la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della domanda. La pacifica omissione di tale incombente procedimentale determina la sussistenza del denunciato vizio di legittimità che, stante l’ampia discrezionalità di cui dispone la Soprintendenza nella materia de qua e la conseguente impossibilità di applicare la cosiddetta sanatoria giurisprudenziale, comporta l’annullamento dell’atto impugnato.     Cons. Stato, Sez. VI, 13 maggio 2016, n. 1935 - L’art. 167, comma 4, del D.Lgs. n. 42/2014 prevede il possibile accertamento postumo della compatibilità paesaggistica, secondo le procedure di cui al comma 5, solo nei seguenti casi: a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato la creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati; b) per l’impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica; c) per i lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell’art. 3 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. Nel caso in cui non sia rispettato il termine di 90 giorni stabilito dall’art. 167, comma 5, del D.Lgs. n. 42/2004 per il parere vincolante della Soprintendenza, sulla compatibilità paesaggistica postuma, il potere dell’Amministrazione statale continua a sussistere, ma l’interessato può proporre ricorso al giudice amministrativo, per contestare l’illegittimo silenzio-inadempimento dell’organo statale; decorso il termine assegnato, l’organo statale conserva la possibilità di rendere il parere, ma il parere espresso tardivamente perde il suo valore vincolante e deve essere quindi autonomamente e motivatamente valutato dall’amministrazione preposta al rilascio del titolo.   T.A.R. Liguria, Sez. I, 4 maggio 2016, n. 419 - L'atto di autorizzazione paesaggistica, espressione dell'esercizio di valutazioni tecniche, deve contenere un'adeguata motivazione, e deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'amministrazione, in relazione alle risultanze dell'istruttoria (cfr. art. 3, comma 1, della legge n. 241 del 1990), ed in particolare non appare ammissibile che la motivazione di un provvedimento autorizzatorio paesaggistico possa esaurirsi nell'integrale richiamo « per relationem » di un atto privato, senza esprimere un'autonoma valutazione dell'ente preposto alla cogestione del vincolo (cfr. ad es. CdS 4925\2015); in materia, va conseguentemente condivisa la preminente giurisprudenza che nello specifico settore in esame la motivazione può ritenersi adeguata quando risponde a un modello che contempli, in modo dettagliato, a titolo esemplificativo la descrizione: I) dell'edificio mediante indicazione delle dimensioni, delle forme, dei colori e dei materiali impiegati; II) del contesto paesaggistico in cui esso si colloca, anche mediante l'indicazione di eventuali altri immobili esistenti, della loro posizione e dimensioni; III) del rapporto tra edificio e contesto, anche mediante l'indicazione dell'impatto visivo al fine di stabilire se esso si inserisca in maniera armonica nel paesaggio.   T.A.R. Liguria, Sez. I, 16 aprile 2016, n. 345 - - atteso che, in linea di diritto, costituisce jus receptum quello in base al quale nell'ambito del procedimento di autorizzazione paesaggistica il parere vincolante della soprintendenza deve essere puntualmente e congruamente motivato; - rilevato che in generale va ribadito che l'atto di autorizzazione paesaggistica espressione dell'esercizio di valutazioni tecniche, deve contenere un'adeguata motivazione, e deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'amministrazione, in relazione alle risultanze dell'istruttoria (cfr. art. 3, comma 1, della legge n. 241 del 1990), ed in particolare non appare ammissibile che la motivazione di un provvedimento autorizzatorio paesaggistico possa esaurirsi nell'integrale richiamo « per relationem » di un atto privato, senza esprimere un'autonoma valutazione dell'ente preposto alla cogestione del vincolo (cfr. ad es. CdS 4925\2015); - atteso che, in materia, va conseguentemente ribadito con la citata preminente giurisprudenza che nello specifico settore in esame la motivazione può ritenersi adeguata quando risponde a un modello che contempli, in modo dettagliato, a titolo esemplificativo la descrizione: I) dell'edificio mediante indicazione delle dimensioni, delle forme, dei colori e dei materiali impiegati; II) del contesto paesaggistico in cui esso si colloca, anche mediante l'indicazione di eventuali altri immobili esistenti, della loro posizione e dimensioni; III) del rapporto tra edificio e contesto, anche mediante l'indicazione dell'impatto visivo al fine di stabilire se esso si inserisca in maniera armonica nel paesaggio; - rilevato che nel caso di specie il provvedimento impugnato è del tutto carente di qualsiasi valutazione, limitandosi ad una formula non solo di stile ma altresì dubitativa (“allo stato attuale delle conoscenze e delle informazioni contenute nella relazione…risultano compatibili”), senza alcuna indicazione di un qualsiasi elemento concreto e della connessa valutazione da cui trarre tale reputata compatibilità, ciò in specie in considerazione della ampiezza dell’intervento che coinvolge una arteria ed un’area rilevante del centro storico; - considerato che analoghe considerazioni in diritto – a maggior ragione – vanno ribadite per quanto riguarda l’assenso sotto il profilo storico artistico, secondo il consolidato principio per cui anche il potere della competente Soprintendenza di valutare la compatibilità degli interventi edilizi progettati dai proprietari con il vincolo posto sui beni vincolati sotto il profilo storico-artistico, già previsto dall'art. 18 della l. 1089 del 1939 e dall'art. 23 d.lg. 490 del 1999, adesso contemplato dall'art. 21 d.lg. 42 del 2004, sfocia in un atto di natura autorizzativa, con conseguente onere di puntuale ed adeguata motivazione; - atteso che nel caso di specie l’analisi dell’atto evidenzia – analogamente all’assenso paesaggistico - una formula di stile e palesemente dubitativa (“le opere in progetto sembrano allo stato attuale delle conoscenze risultare compatibili con le esigenze di tutela monumentale dell’edificio in oggetto”); - rilevato che, conseguentemente, il ricorso va accolto in parte qua con conseguente annullamento degli atti di assenso paesaggistico e storico artistico impugnati;   Corte Cost., 23 marzo 2016, n. 56 - È noto che la discrezionalità di cui gode il legislatore nel delineare il sistema sanzionatorio penale trova il limite della manifesta irragionevolezza e dell’arbitrio, come avviene a fronte di sperequazioni tra fattispecie omogenee non sorrette da alcuna ragionevole giustificazione (sentenze n. 81 del 2014, n. 68 del 2012, n. 161 del 2009, n. 324 del 2008 e n. 394 del 2006). 4.1.– Facendo applicazione di tali principi nella materia in esame, questa Corte ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1-sexies del decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312 (Disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale), introdotto dall’art. 1 della legge di conversione 8 agosto 1985, n. 431, che dettava una disciplina inversa a quella odierna, perché puniva più severamente le violazioni incidenti sui beni sottoposti a vincolo legale. In quell’occasione la Corte ha affermato che «la ratio della introduzione di vincoli paesaggistici generalizzati (in base a tipologie di beni) risiede nella valutazione che l’integrità ambientale è un bene unitario, che può risultare compromesso anche da interventi minori e che va, pertanto, salvaguardato nella sua interezza (sentenze n. 247 del 1997, n. 67 del 1992 e n. 151 del 1986; ordinanze n. 68 del 1998 e n. 431 del 1991)» e che la severità del relativo trattamento sanzionatorio «trova giustificazione nella entità sociale dei beni protetti e nel ricordato carattere generale, immediato ed interinale, della tutela che la legge ha inteso apprestare di fronte alla urgente necessità di reprimere comportamenti tali che possono produrre danni gravi e talvolta irreparabili all’integrità ambientale (sentenze n. 269 e n. 122 del 1993; ordinanza n. 68 del 1998)» (ordinanza n. 158 del 1998). La più rigorosa risposta sanzionatoria nei confronti dei reati incidenti su beni paesaggistici vincolati per legge è stata quindi ritenuta non irragionevolmente discriminatoria per il fatto che introduce «una tutela del paesaggio (per vaste porzioni del territorio individuate secondo tipologie paesistiche, ubicazioni o morfologiche), improntata a integrità e globalità, implicante una riconsiderazione assidua dell’intero territorio nazionale alla luce e in attuazione del valore estetico-culturale (v., da ultimo, ordinanze n. 68 del 1998 e n. 431 del 1991)» (ordinanza n. 158 del 1998). 4.2.– Tale assetto ha subito una modifica in occasione della “codificazione” della materia paesaggistica, prima con l’art. 163 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a norma dell’articolo 1 della L. 8 ottobre 1997, n. 352) e poi con l’originario art. 181 del codice dei beni culturali e del paesaggio. Con tali norme il legislatore, innalzando il grado di tutela dei beni vincolati in via provvedimentale allo stesso livello di quelli tutelati per legge, ha optato per l’identità di risposta sanzionatoria, evidentemente sul presupposto di una ritenuta sostanziale identità dei valori in gioco. 4.3.– Con le modifiche apportate all’art. 181 del codice dalla legge 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione) il legislatore è tuttavia tornato a distinguere le fattispecie. Nel fare ciò, non solo ha invertito la risposta sanzionatoria, punendo più gravemente le condotte incidenti su beni sottoposti a vincoli puntuali rispetto a quelle incidenti su beni vincolati per legge, ma ha anche delineato un complessivo trattamento sanzionatorio delle prime di gran lunga più severo rispetto a quello riservato alle seconde. Ed infatti, i lavori eseguiti sui beni vincolati in via provvedimentale senza la prescritta autorizzazione o in difformità da essa integrano sempre un delitto e sono puniti con la reclusione da uno a quattro anni; mentre i lavori eseguiti sui beni vincolati per legge integrano una contravvenzione e sono puniti con l’arresto fino a due anni e l’ammenda da 30.986,00 a 103.290,00 euro, a meno che non costituiscano, ai sensi dell’art. 181, comma 1-bis, lettera b), opere di notevole impatto volumetrico, nel qual caso sono puniti alla stessa stregua dei primi. Solo per i reati commessi su beni sottoposti a vincolo legale, poi, operano, alle condizioni specificamente previste, le cause di non punibilità e di estinzione del reato rispettivamente introdotte dai commi 1-ter e 1-quinquies. 5.− Si è dunque in presenza di una legislazione ondivaga, non giustificata né da sopravvenienze fattuali né dal mutare degli indirizzi culturali di fondo della normativa in materia; e già questo è sintomo di irragionevolezza della disciplina attuale. Tale irragionevolezza è resa poi manifesta dalla rilevantissima disparità tanto nella configurazione dei reati (nell’un caso delitto, nell’altro contravvenzione), quanto nel trattamento sanzionatorio, in relazione sia alla entità della pena che alla disciplina delle cause di non punibilità ed estinzione del reato. 6.− Dalla fondatezza della questione consegue la parificazione della risposta sanzionatoria (secondo l’assetto già sperimentato dal legislatore al momento della codificazione), con la riconduzione delle condotte incidenti sui beni provvedimentali alla fattispecie incriminatrice di cui al comma 1, salvo che, al pari delle condotte incidenti sui beni tutelati per legge, si concretizzino nella realizzazione di lavori che comportino il superamento delle soglie volumetriche indicate al comma 1-bis. Tale risultato si ottiene mediante l’eliminazione dell’inciso dell’art. 181, comma 1-bis, che va dai «:», che seguono le parole «di cui al comma 1», e precedono la lettera a), alla congiunzione «ed» di cui alla lettera b).    T.A.R. Liguria, Sez. I, 28 gennaio 2016, n. 198 - In linea di principio, l'autorizzazione paesaggistica deve contenere un'adeguata motivazione ed indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'Amministrazione. Tuttavia, il giudizio di adeguatezza di tale motivazione non può prescrindere dalla natura e dalle dimensioni dell'intervento, così come alla situazione di urbanizzazione già esistente nell'intorno. Allo stesso tempo, la formulazione di mere opinioni inerenti all'impatto dell'opera, non valgono ad evidenziare alcun profilo di illogicità della contraria valutazione operata dall'Amministrazione.  Il Collegio afferma che la distanza minima di 10 metri tra pareti finestrate, fissata dall'art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968 per evitare la formazione di intercapedini nocive sotto il profilo igienico-sanitario e della sicurezza, non può trovare applicazione nel caso di un impianto per telefonia mobile che per le sue caratteristiche non sviluppa volumetria o cubatura. E' però annullabile il provvedimento che autorizza l'installazione di un impianto per telefonia mobile che non sia stato preceduto dalla pubblicizzazione dell'istanza a cura dello sportello locale, al fine di sensibilizzare la popolazione coinvolta e consentirne la partecipazione al processo decisionale. A questo fine, non è sufficiente, ai sensi dell'art. 87, comma 4, del D.Lgs. n. 259/2003, la pubblicazione dell'autorizzazione sull'albo pretorio.    T.A.R. Liguria, Sez. I, 16 gennaio 2015, n. 83 - Il settimo motivo lamenta la violazione dell’art. 35 del PTCP vigente, in quanto la realizzazione del progetto così come assentito colliderebbe con lo scopo prefisso dalla strumento di settore, che impone il regime di mantenimento per l’area in questione. Il collegio condivide al riguardo l’orientamento della giurisprudenza che ha ritenuto che la previsione paesistica orientata al mantenimento di un’area non ne implica l’assoluta immodificabilità, quanto la necessità che ogni nuovo impianto si inserisca in modo armonioso con le preesistenze. Il progetto approvato è quasi del tutto interrato, la relazione di compatibilità ambientale ne comprova la non percepibilità da quasi tutti gli angoli visuali ipotizzabili a Moneglia, sì che appare condivisibile l’orientamento espresso dalla commissione locale per il paesaggio che ha rimarcato che i caratteri esistenti in zona non saranno alterati dalla realizzazione del progetto.   T.A.R. Liguria, Sez. I, 13 gennaio 2015, n. 58 - È dirimente l’art. 7 delle NTA del PRG del comune di Varazze che, recependo il d.m. 1 aprile 1968, nell’area di insediamento del manufatto prevede il vincolo d’inedificabilità assoluta. Le opere, oggetto di condono, sono state infatti realizzate a mt. 1,50 dalla sede autostradale, in violazione della fascia di rispetto prescritta dall’art. 4 d.m. 1 aprile 1968 e dagli artt. 26 e 28 d.P.R. 495/1992 (sulla precettività della disciplina vincolistica della fascia di rispetto stradale, cfr. Tar Liguria, sez. I, 5 luglio 2010 n. 5565). Norme che disciplinano il c.d. vincolo di rispetto della fascia autostradale, cui hanno fatto riferimento sia il diniego opposto – in fase di rilascio del parere contrario al condono – dalla Società Autostrade e – di seguito a conclusione del procedimento – dal Comune. In definitiva, contrariamente a quanto suppone la ricorrente, i provvedimenti impugnati contengono un espresso riferimento, ancorché non indicata nel dettaglio, alla disciplina, anche urbanistica in quanto fatta propria dal PRG, conformativa dell’area, ex se ostativa alla sanatoria delle opere. Le singole disposizioni richiamate (anche l’art. 7 delle NTA quale norma regolamentare), sebbene non specificamente indicate negli atti impugnati, costituiscono fonti normative conosciute o conoscibili ex lege, senza che possa nemmeno in astratto ipotizzarsi la c.d. integrazione postuma della motivazione, denunciata nelle memorie defensionali dalla ricorrente. In questa cornice, vale a dire, ritenuto sussistente il vincolo d’inedificabilità assoluta, in forza dell’art. 33 l. n. 47/85, non si è affatto formato il silenzio assenso. Il diniego, evocando il regime d’inedificabilità è, a sua volta, sufficientemente motivato. E, con specifico riferimento alla perimetrazione del centro urbano, il certificato comunale del 4 aprile 1998, attestante la localizzazione dei mappali sui quali insistono le opere oggetto dell’istanza di condono, è irrilevante stante la disciplina urbanistica richiamata.   T.A.R. Liguria, Sez. I, 13 gennaio 2015, n. 70 - Il ricorso è fondato, sotto l’assorbente profilo, dedotto con il secondo motivo di ricorso, dell’eccesso di potere per difetto di motivazione. In effetti, la valutazione di compatibilità paesaggistica di un’opera edilizia integra un giudizio di merito altamente discrezionale, che – proprio per questo – necessità di una congrua ed adeguata motivazione. Nel caso di specie, la motivazione del diniego appare però di mero stile ed apodittica, non indicando quali sarebbero le caratteristiche del manufatto che – in concreto – si pongono in contrasto con le caratteristiche ambientali dei luoghi, anch’esse neppure indicate. Donde l’illegittimità del diniego, con obbligo del comune di rideterminarsi motivatamente sulla domanda di condono.   T.A.R. Liguria, Sez. I, 29 dicembre 2014, n. 1953 - Il parere negativo sulla concessione della sanatoria dell’ampliamento volumetrico conseguita mediante l’estensione del locale interrato ad uso abitativo è motivato succintamente senza prendere in considerazione la disciplina paesaggistico-ambientale della zona come disciplinata in dettaglio ed in concreto dagli strumenti di pianificazione (ossia: piano del parco e regolamenti attuativi). Sicché il generico richiamo all’art. 20 delle NTA del Piano, che proscrive in astratto tutti gli interventi d’ampliamento volumetrico ad uso abitativo all’interno del perimetro del Parco, pare essere una mera formula di stile, in antitesi con il dovere di individuare le ragioni specifiche (di fatto e di diritto) ostative alla compatibilità (seppure ex post) delle opere, come realizzate.   T.A.R. Liguria, Sez. I, 9 dicembre 2014, n. 1825 - Con esso, infatti, il ricorrente sostiene come per l’esecuzione dell’intervento di demolizione e ricostruzione del magazzino agricolo in questione non fosse neppure necessario munirsi della preventiva autorizzazione paesaggistica ex art. 7 L. n. 1497/1939, posto che l’art. 82 comma 12 del D.P.R. 24.7.1977, n. 616 la esclude per gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria di consolidamento statico e di restauro conservativo “che non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici”. Non soltanto è stato lo stesso ricorrente – che, dunque, contravviene ora al principio di buona fede ed al divieto di venire contra factum proprium - a chiedere l’autorizzazione preventiva ed a qualificare l’intervento come “ristrutturazione” (doc. 1 delle produzioni 1.4.1998 di parte provinciale), ma egli si guarda bene anche soltanto dall’affermare che non vi sia stata alterazione dell'aspetto esteriore dell’edificio.   T.A.R. Liguria, Sez. I, 27 novembre 2014, n. 1718 - In sostanza il parere evidenzia come le opere in relazione alle tipologie edilizie e ai materiali costruttivi impiegati avrebbero comportato una rilevante alterazione del pregevole contesto ambientale architettonico e storico del nucleo antico dell’abitato di Portofino. Sul punto occorre rilevare come si tratti di una motivazione esclusivamente apparente poiché non è dato comprendere come opere di così contenute dimensioni abbiano comportato una rilevante alterazione del contesto. Nulla viene specificato in ordine ai motivi per cui le tipologie costruttive sarebbero incongrue; nulla viene specificato in ordine all’incongruità dei materiali edilizi. Nulla viene specificato in relazione alla posizione dei manufatti. Specificazione vieppiù necessaria dal momento che le opere in contestazione sono state realizzate all’ interno di un cortile. In definitiva, se pure opere di ridotte dimensioni in un contesto come quello di Portofino possono essere astrattamente idonee a determinare un’alterazione rilevante dei valori protetti, nondimeno una specificazione concreta dei profili di incompatibilità appariva necessaria. Tutto ciò nella specie è mancato con conseguente illegittimità dell’atto impugnato.   T.A.R. Liguria, Sez. I, 18 novembre 2014, n. 1645 - Sull’invocato versante paesaggistico non risulta compiuta dal Comune alcuna concreta e dovuta valutazione, come indicato dalla stessa Regione nel caso di specie oltre che in generale imposto dalla giurisprudenza costante. A quest’ultimo proposito, in relazione alla motivazione, costituisce jus receptum il principio per cui in tema di autorizzazione paesaggistica, per l'amministrazione è necessario motivare la determinazione in modo tale che emerga l'apprezzamento di tutte le rilevanti circostanze di fatto e la non manifesta irragionevolezza della scelta effettuata sulla prevalenza di un valore in conflitto con quello tutelato in via primaria, non potendo l'autorità amministrativa limitarsi ad affermazioni apodittiche e dovendosi pure riferire non all'entità atomisticamente valutata del singolo intervento, ma al complesso strutturalmente individuato che deriva dalla sovrapposizione con quello preesistente; occorre, quindi, esternare adeguatamente l'avvenuto apprezzamento comparativo, da un lato, del contenuto del vincolo e, dall'altro, di tutte le rilevanti circostanze di fatto relative al manufatto ed al suo inserimento nel contesto protetto, in modo da giustificare la scelta di dare prevalenza all'interesse del privato rispetto a quello tutelato in via primaria attraverso l'imposizione del vincolo (cfr. ad es. Tar Liguria n. 1393\2011). Inoltre, l'onere di puntuale motivazione non sussiste solo in caso di diniego del titolo, non essendo dubbia la sua doverosità per l'assenso, dovendosi dar conto, in quest'ultimo caso, dell'iter logico seguito per verificare e riconoscere la compatibilità effettiva degli interventi edificatori in riferimento agli specifici vincoli paesaggistici dei luoghi (cfr. Tar Liguria n. 34 del 2013).     Cons. Stato, Sez. VI, 12 novembre 2014, n. 5549 - Sotto questo profilo, il Collegio preliminarmente osserva che l’area su cui insiste il complesso immobiliare di proprietà della parte odierna appellante risulta essere stato sottoposto al vincolo previsto dalla legge 29 giugno 1939, n.1497 (Protezione delle bellezze naturali), come da decreto ministeriale del 24 gennaio 1953 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 45 del 24 febbraio 1953, recante dichiarazione di notevole interesse pubblico della zona della collina di Posillipo sita nell’ambito del comune di Napoli, vincolo generico e non di inedificabilità assoluta. Ciò sino all’emanazione del decreto ministeriale 28 marzo 1985[ pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 98 del 26 aprile 1985], recante dichiarazione di notevole interesse pubblico di tre zone site nel comune di Napoli. Integrazione delle dichiarazioni di notevole interesse pubblico, adottato ai sensi dell’articolo 2 del decreto ministeriale 21 settembre 1984 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 265 del 26 settembre 1984, confermato dalla legge 8 agosto 1985, n. 431 ( legge Galasso), che ha convertito in legge il decreto legge 27 giugno 1985, n. 312 concernente disposizioni urgenti per la tutela della zone di particolare interesse ambientale. L’articolo 1 quinquies della predetta legge n. 431/85 afferma, infatti, espressamente, che” le aree e i beni individuati ai sensi del’articolo 2 del citato d.m. 21 settembre 1984 sono inclusi tra quelli in cui è vietato, sino all’adozione dei piani di cui all’articolo 1 bis ogni modificazione dell’assetto del territorio, nonché ogni opera edilizia”. Va precisato che il richiamato d.m. 28 marzo 1985 ha integrato il dispositivo di cui al precedente pure citato d.m. 24 gennaio 1953, prescrivendo che per le zone Chiaia-Posillipo sono vietate, sino al 31 dicembre 1985, modificazioni dell’assetto del territorio, nonché opere edilizie e lavori, fatta eccezione per i lavori di restauro, risanamento conservativo e per quelli che non modificano l’aspetto esteriore dei luoghi. Peraltro, il richiamato articolo 1 bis della stessa legge n. 431/85, prorogando il precedente termine, ha precisato che la redazione dei piani paesistici doveva essere approvata entro il 31 dicembre 1986, con ciò affermando la natura perentoria dello stesso termine, diversamente da quanto ritenuto da quella giurisprudenza secondo la quale ( VI, n.2131, 9 aprile 2001 ) secondo la quale il termine finale in questione è incertus, quando coincidente con l’adozione da parte delle Regioni dei piani paesistici di cui all’articolo 1 bis della legge n. 431/85, essendo quel termine soltanto teso a consentire l’esercizio del potere ministeriale sostitutivo. La proroga del termine è invece, secondo questo Collegio, significativa della volontà di accordare alle Regioni un ulteriore lasso di tempo per l’adozione dei citati piani, decorso il quale è venuta a cessare la temporaneità del vincolo di inedificabilità assoluta.. Altrimenti, senza alcuna necessità di prorogare il precedente termine fissato, sarebbe stato sufficiente da parte del legislatore affermare che tale potere sostitutivo poteva essere esercitato decorso il termine del 31 dicembre 1985, termine in vigore all’atto dell’emanazione della legge n. 431/85. Le ragioni che comunque confortano sulla scelta di questo Collegio sono in appresso specificamente illustrate. L’impugnato provvedimento ministeriale dell’8 novembre 1991, del resto, nel fare riferimento, nelle premesse, al d. m. 24 gennaio 1953, come integrato dal d.m. 28 marzo 1985, sempre al fine della tutela paesaggistica, assume, come già detto in precedenza, l’assoggettamento dell’area in questione a vincolo di inedificabilità assoluta, visto che il sopraggiunto citato d.m. del 1985 ha sostituito il vincolo generico previsto dal precedente d.m. del 1953. Va rilevato quindi che, alla data di presentazione dell’istanza di condono da parte dell’odierna appellante (30 giugno 1986), l’area in questione era gravata dal vincolo di inedificabilità assoluta , ma va rilevato altresì che, al momento in cui tale istanza è stata presa in considerazione ed è stato adottato il provvedimento di autorizzazione comunale, il vincolo di inedificabilità assoluta era decaduto, non sussistendo più il divieto stabilito con il d.m. 28 marzo 1985 valido prima sino al 31 dicembre 1985 e poi protratto sino al 31 dicembre 1986 dal cennato articolo 1 bis della legge n. 431/85. In effetti, non essendo stato a quella data ancora adottato il piano paesistico previsto dalla predetta legge Galasso, alla data di presa in considerazione dell’istanza di condono non sussisteva più il vincolo di inedificabilità assoluta, legato appunto al termine fissato prima al 31 dicembre 1985 e poi prorogato al 31 dicembre dell’anno successivo dalla legge Galasso, ma sussisteva solo il precedente vincolo generico di cui al decreto ministeriale del 24 gennaio 1953. Quest’ultimo decreto, come innanzi rilevato, non aveva posto, infatti, alcun vincolo di inedificabilità assoluta, ma aveva assoggettato l’area in questione alla disciplina della legge n. 1497/39, subordinando così la realizzazione di opere all’esclusiva autorizzazione prevista dall’articolo 7 della stessa legge,norma in base alla quale poi il Comune, dopo la verifica della compatibilità ambientale degli interventi effettuati ai fini della sanatoria, è intervenuto con il provvedimento n.110 del 28 maggio 1991, quello annullato dal provvedimento ministeriale impugnato dall’odierna parte appellante. In sostanza, scaduto il termine fissato dalla legge n.431/85 a causa dell’inerzia della Regione Campania che ha provveduto all’approvazione del piano paesistico nel 1995, a quasi dieci anni dalla scadenza di quel termine, la tutela è tornata ad essere affidata e regolata dalla disciplina prevista dalla citata legge n. 1497/39 e dall’articolo 82 del DPR 24 luglio 1977, n.616, modificato dall’articolo 1, comma 5 della legge n. 431/85 , secondo cui il provvedimento di previa autorizzazione va trasmesso al Ministero cui compete l’eventuale annullamento motivato, in caso di incompatibilità degli interventi. Fermo restando, ovviamente, che essa non costituisce fonte di diritto, non può comunque omettersi di rilevare che la stessa circolare ministeriale n.8 del 31 agosto 1985 (applicazione della legge 8 agosto 1985 n.431), adottata dal Ministero proponente immediatamente dopo l’approvazione di quest’ultima e prima della data del 7 settembre di sua entrata in vigore, nel precisare il divieto nelle aree individuate di ogni modificazione dell’assetto del territorio e di qualsiasi opera edilizia sino all’adozione obbligatoria da parte della Regione dei piani paesaggistici e ambientali o urbanistico-territoriali entro il 31 dicembre 1986, chiaramente affermava che il legislatore, trattando del divieto in questione, lo ritiene vigente sino a quella data, essendo esso perentorio ( paragrafo Tutela, sottoparagrafo III- vincoli e loro natura) Del resto, a questo Collegio appare ragionevole ritenere che l’inibizione di qualsiasi opera edilizia e di quanto comporti modificazione dell’assetto territoriale, poiché incide contestualmente sulla tutela della proprietà privata parimenti garantita dalla Costituzione non possa attingere a un livello di compressione illimitata di tale diritto, in assenza di una specifica regolamentazione ed è ragionevole quindi ritenere che quel legislatore abbia inteso fissare un termine temporale ritenuto congruo, anche attraverso la proroga del termine fissato in precedenza per l’adozione dei piani succitati.. Decorso e consumato quest’ultimo termine, in assenza del previsto adempimento e in presenza di un’inerzia significativa di una carenza di interesse della Regione a regolamentare il vincolo, non ritenendo prioritaria la tutela ipotizzata, è altresì ragionevole che debba venire meno la temporanea assolutezza del vincolo di inedificabilità, allo scopo di contemperare le due esigenze, entrambe costituzionalmente protette, quella della proprietà e quella paesistico-ambientale. Ciò attraverso la fine del regime temporaneo del vincolo di inedificabilità assoluta e la reintroduzione del regime vincolistico precedente di natura generica per le aree comprese nelle zone elencate dall’articolo 82, comma 5 del DPR 24 luglio 1976,n.616, come integrato dalla più volte citata legge n..431/85 o elencate nella legge 29 giugno 1939, n.497: Peraltro, riprendendo quanto gà osservato in precedenza l’articolo1 bis, comma 2 della stessa legge Galasso rinvia agli articoli 4 e 82 del sopraccitato DPR n. 616/77, specificando che, decorso il termine del 31 dicembre 1986, per l’adozione dei piani paesistici o urbanistico-territoriali, con specifica considerazione dei valori paesistici e ambientali e con riferimento ai beni elencati nel successivo comma 5, il Ministro per i beni culturali e ambientali è tenuto ad esercitare i poteri di cui agli articoli 4 e 82 del citato DPR n. 616/77. Ma ciò non consente di ritenere che il termine prorogato al 31 dicembre 1986 svolga solo la funzione di consentire l’esercizio del potere ministeriale sostitutivo e non quella di limitare la durata del divieto contenuto nell’articolo 1 quinquies citato. Sarebbe stato irragionevole e inutile, se così fosse, il ricorso alla proroga Quanto argomentato in merito alla verifica del vincolo al momento in cui l’istanza di condono viene ad essere esaminata, è in linea con la giurisprudenza di questo Consiglio. È ius receptum, infatti, che, in sede di rilascio della concessione edilizia in sanatoria per opere ricadenti in zone sottoposte a vincolo, nella specie previsto dall’art. 32 l. n. 47 del 1985, l’esistenza del vincolo va valutata al momento in cui deve essere presa in considerazione la domanda di condono, a prescindere dall’epoca della sua introduzione e, quindi, anche per le opere eseguite anteriormente all’apposizione del vincolo in questione; tale valutazione corrisponde all’esigenza di vagliare l’attuale compatibilità, con il vincolo, dei manufatti realizzati abusivamente (ex multis: Cons. Stato, Ad. plen., 22 luglio 1999, n. 20; IV, 29 novembre 2012, n. 6082; IV, 11 marzo 2013, n. 1464; VI, 31 maggio 2013, n. 3015). In relazione alla disciplina del condono edilizio della l. n. 47 del 1985 e delle connesse questioni (poste dall’art. 33) relative ai procedimenti di condono riguardanti territori con vincoli di inedificabilità relativa, si deve avere riguardo al regime vincolistico sussistente alla data di esame della domanda di sanatoria, secondo il principio tempus regit actum; quanto ai vincoli di inedificabilità assoluta, se è vero che alla stregua dell’art. 33 l. n. 47 del 1985 il vincolo di inedificabilità assoluta non può operare in modo retroattivo, tuttavia non si può considerare inesistente per il solo fatto che sia sopravvenuto all’edificazione (ciò che paradossalmente porterebbe a ritenere senz’altro sanabili gli interventi, i quali pertanto fruirebbero di un regime più favorevole di quello riservato agli abusi interessati da vincoli sopravvenuti di inedificabilità relativa); pertanto, se il vincolo di inedificabilità assoluta sopravvenuto non può considerarsi sic et simpliciter inesistente, ne discende che gli va applicato lo stesso regime della previsione generale dell’art. 32, 1º comma, stessa l. n. 47 del 1985, che subordina il rilascio della concessione in sanatoria per opere su aree sottoposte a vincolo al parere favorevole dell’autorità preposta alla tutela del vincolo medesimo (Cons. Stato, sez. VI, 6 maggio 2013, n. 2409).   T.A.R. Liguria, Sez. I, 14 ottobre 2014, n. 1440 - Effettivamente non v’è corrispondenza fra i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, comunicati alla ricorrente, e il parere negativo adottato dalla Soprintendenza, dopo le controdeduzioni presentate dalla stessa. La comunicazione ex art. 10 bis l. 241/90 individuava nell’alterazione del vincolo paesaggistico imposto con D.M. la ragione giustificatrice della non compatibilità dell’intervento di demolizione e ricostruzione del fabbricato. Dopo la comunicazione delle controdeduzioni tempestivamente formulate dalla ricorrente, dalle quali s’evinceva l’assenza di vincolo specifico, la Soprintendenza, anziché ritornare sui propri passi, aprendo una nuova istruttoria, ha negato ex abrupto la compatibilità paesaggistica dell’intervento. Sulla scorta dello stesso giudizio negativo, confortato dalla medesima motivazione, già esposti nella comunicazione dei motivi ostativi, ha individuato - anziché nel vincolo specifico - nella fascia di 150 metri dal corso d’acqua, ed in ragione del regime di mantenimento dell’area previsto dal PTCP, il vincolo ex lege ostativo alla realizzazione dell’intervento programmato. In definitiva nonostante l’individuazione di un vincolo diverso rispetto a quello su cui s’è articolato il contraddittorio, la Soprintendenza s’è espressa negativamente. L’elusione sostanziale del contraddittorio è tanto più evidente in ragione del fatto che la tutela di ciascun vincolo sottende una specifica valutazione non mutuabile ad libitum: il vincolo specifico ex art. 136 d.lgs 42/2004 tutela una tassonomia di beni per specifiche e peculiari caratteristiche; il vincolo ex art. 142 lett c) d.lgs. cit. tutela invece i fiumi ed i corsi d’acqua iscritti negli elenchi e le relative sponde. Il giudizio, e il relativo contraddittorio, sulla tutela del primo coinvolge profili, valori ed interessi che non riguardano affatto l’altro. E viceversa.   T.A.R. Liguria, Sez. I, 30 settembre 2014, n. 1402 - Il ricorso è fondato, avuto riguardo al difetto di motivazione dell’autorizzazione della Soprintendenza dedotto con il primo motivo. L’autorizzazione in questione (26 novembre 2013 n. prot. 00034445), infatti, dopo avere rilevato che “la collocazione è prevista in una zona di particolare pregio della città, trattandosi di uno slargo tra via XX Settembre, Via San Vincenzo (ambedue strade da intendersi sottoposte a tutela monumentale, risultando di proprietà comunale e realizzate da oltre 70 anni), ed in prossimità del Ponte monumentale”, con ciò lasciando presagire un’analisi particolarmente approfondita del progetto e della compatibilità con i valori ai quali il vincolo appresta tutela il provvedimento prosegue “preso atto che le opere in progetto sembrano allo stato attuale delle conoscenze, risultare compatibili con le esigenze di tutela monumentale dell’edificio in oggetto”. È agevole rilevare come faccia difetto completamente l’analisi delle esigenze di tutela presidiate dal vincolo e qualsiasi analisi della compatibilità del manufatto con il vincolo stesso.  Anche l’inciso “allo stato attuale delle conoscenze” rende manifesta la perplessità che affligge il provvedimento. Infatti, se la Soprintendenza avesse avuto il sospetto che le opere potessero essere diverse da quelle rappresentate negli elaborati avrebbe dovuto negare l’autorizzazione, se, invece, gli atti di cui disponeva fossero stati insufficienti ad esprimere il proprio avviso avrebbe dovuto approfondire l’istruttoria.  Peraltro la circostanza che tra le prescrizioni imposte vi fosse anche quella di produrre, a lavori ultimati, ampia documentazione fotografica a colori illustrante lo stato dell’immobile prima durante e dopo l’intervento rende evidente il difetto di istruttoria in cui è incorsa la Soprintendenza, ammettendo confessoriamente l’insufficienza della documentazione sulla base della quale l’autorizzazione è stata rilasciata.  Da questo angolo visuale la precisazione secondo la quale l’autorizzazione è rilasciata “allo stato attuale delle conoscenze” e la successiva richiesta di trasmissione della documentazione fotografica appaiono significativamente concordanti. Le successive integrazioni prodotte in giudizio non possono essere assunte a giustificazione del provvedimento impugnato atteso che, stante la natura tecnico discrezionale del giudizio della Soprintendenza, la possibilità di una integrazione motivazionale si scontra con il divieto di motivazione postuma del provvedimento amministrativo.   T.A.R. Liguria, Sez. I, 23 settembre 2014, n. 1355 - Il diniego è apodittico. Vi si legge: le opere sono “in palese contrasto con le finalità della legge 1497/1939 atteso che determinano uno stato di alterazione nella configurazione paesaggistica”.  Non si dà atto che il vincolo che grava sull’area scaturisce dal d.m. 24 aprile 1985; non è indicato il valore paesaggistico (asseritamente) compromesso (cfr. Tar Liguria, sez I, 30 ottobre 2013 n. 1256). Il tutto a fronte di opere consistenti nella modifica delle bucature esterne dell’edificio già preesistente e nell’ampliamento della sua volumetria resasi necessaria per adeguare la struttura agli standards richiesti per svolgere la pratica agraria. In aggiunta, con l’atto impugnato la Provincia ha fatto proprie valutazioni edilizie che sono istituzionalmente demandate all’ente locale (cfr. Tar Liguria, sez. I., 30 aprile 2010 n. 2031).   T.A.R. Liguria, Sez. I, 24 luglio 2014, n. 1200 - In ordine alla natura del giudizio contestata con il quarto ordine di rilievi, lungi dall’avere carattere estetico la valutazione svolta dagli organi comunali si è basata sulla stretta applicazione della norma di piano, mentre il parere della commissione locale del paesaggio non risulta imposto per le ipotesi quale quella in esame. Peraltro, la sezione (sentenza n. n. 360 del 2014) ha già avuto modo di evidenziare in materia che il parere della commissione locale per il paesaggio si rende necessario tutte le volte in cui venga in questione una valutazione di natura 'discrezionale' circa la compatibilità paesaggistica di un intervento ex art. 167 comma 4 del D. Lgs. n. 42/2004, per esempio circa l'impiego di materiali in difformità dall'autorizzazione paesaggistica. Diversamente, tutte le volte in cui la compatibilità paesaggistica debba essere negata per profili strettamente edilizi e sulla base di un'applicazione 'vincolata' della disposizione (per esempio, per interventi eccedenti la manutenzione, che abbiano determinato la creazione di superfici utili o volumi, ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati), il parere in questione potrà essere legittimamente omesso, in ossequio al divieto di inutile aggravamento del procedimento amministrativo ex art. 1 comma 2 L. n. 241/1990. In ogni caso, il provvedimento di diniego di sanatoria costituisce espressione di potere vincolato rispetto ai presupposti normativi richiesti e dei quali deve farsi applicazione, sicché l'omissione di un parere anche laddove dovesse reputarsi obbligatorio - e costituire violazione di norma sul procedimento - è sanabile mercé l'applicazione dell'art. 21-octies comma 2 L. n. 241/1990, allorché sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.   In relazione alla dedotta mancata comunicazione di avvio del procedimento, costituisce jus receptum il principio a mente del quale l'ingiunzione di demolizione di un manufatto abusivo, emessa successivamente all'adozione di un diniego di concessione edilizia in sanatoria, non necessita del previo avviso di avvio del procedimento amministrativo ex art. 7, l. 7 agosto 1990 n. 241, trattandosi di atto vincolato e meramente conseguenziale nell'ambito di un procedimento sanzionatorio sostanzialmente unitario (cfr. ad es. CdS n. 1480\2013 e Tar Liguria n. 150\2011).     T.A.R. Liguria, Sez. I, 24 luglio 2014, n. 1202 - Inammissibile il ricorso interposto avverso i provvedimenti di diniego delle domande di permesso di costruire e di autorizzazione paesaggistica in assenza della pertinente impugnativa del parere della Soprintendenza – La ricorrente non ha impugnato il parere vincolante della Soprintendenza che ha espresso parere negativo sulla domanda d’esecuzione dei lavori d’ampliamento, oggetto del permesso di costruire.   Il parere della Soprintendenza, formalmente comunicato alla società il 24.11.2011, ai sensi dell’art. 146 d.lgs. 42 del 2004, ha natura obbligatoria e vincolante e, determinando l’arresto del procedimento di rilascio del titolo edilizio, doveva essere autonomamente impugnato, con specifici motivi di censura (cfr., Tar Lombardia, Milano, sez. IV, 16 febbraio 2006 n. 416; Tar Molise 4 dicembre 2013 n. 721).   Impugnazione che avrebbe dovuto essere proposta anche nel giudizio che ne occupa promosso per l’annullamento dei dinieghi opposti dal Comune sulle domande di rilascio del permesso di costruire e d’autorizzazione paesaggistica.   I dinieghi, adottati all’esito del parere negativo della Soprintendenza, sono atti dovuti: sicché il loro (ipotetico) annullamento non procurerebbe alcun concreto vantaggio alla ricorrente.     T.A.R. Liguria, Sez. I, 1 luglio 2014, n. 1035 - La nozione di atto amministrativo implicito può ammettersi qualora ricorrano congiuntamente i seguenti elementi: a) una manifestazione chiara di volontà (comportamento concludente o altro atto amministrativo), proveniente da un organo amministrativo competente e nell'esercizio delle sue attribuzioni; b) la possibilità di desumere, in modo non equivoco, da tale manifestazione (altro atto o comportamento della pubblica amministrazione) una specifica volontà provvedimentale. Deve cioè emergere un collegamento biunivoco tra l'atto implicito e l'atto diverso o l'altra condotta, nel senso che l'atto implicito deve essere l'unica conseguenza possibile della presupposta manifestazione di volontà ( TAR Sicilia, Catania, I 13 giugno 2013 n. 1741 CGA, 1° febbraio 2012 n. 118; vedi anche T.A.R. Campania, Napoli, sez. VII, 7 giugno 2012 n. 2727).    Il primo requisito per la configurabilità di un atto amministrativo implicito è l’identità della competenza che nel caso di specie fa difetto, essendo la competenza al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica in capo al Comune mentre il parere proviene dalla Soprintendenza. Né vale evidenziare come il parere sia obbligatorio e vincolante ai sensi dell’art. 146 d.lgs. 42/04 posto che non pare possibile ammettere per implicito un atto di amministrazione attiva dall’esercizio di un potere consultivo di competenza di altro soggetto.    Con il secondo motivo la ricorrente sostiene che il provvedimento implicito sarebbe quello con il quale l’amministrazione ha quantificato gli oneri concessori e richiesto documentazione integrativa.   Il motivo è infondato.    Stante l’autonomia del procedimento per il rilascio del titolo edilizio da quello paesaggistico non è possibile inferire dalla nota in questione la positiva conclusione del procedimento di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica. Peraltro nella nota in questione neppure è menzionato il parere della Soprintendenza ed anzi è richiesta ulteriore documentazione quale copia della relazione paesaggistica, del computo metrico e di alcune tavole progettuali.    Ne consegue che non è possibile ritenere formatasi l’autorizzazione paesaggistica per implicito.     T.A.R. Liguria, Sez. I, 25 giugno 2014, n. 1004 - E' finanche intuitivo che, con riguardo a ciascuna categoria di vincolo, la commissione paesaggistica, chiamata ad esprimere il parere sulla domanda di condono edilizio, debba esprimere un'attenta valutazione in ordine alla specifica situazione paesaggistica tutelata.     T.A.R. Liguria, Sez. I, 28 maggio 2014, n. 802 - In proposito, costituisce principio consolidato nella giurisprudenza -- anche della sezione -- quello per cui in tema di determinazioni paesaggistiche, per l'amministrazione è necessario svolgere una motivazione in modo tale che emerga l'apprezzamento di tutte le rilevanti circostanze di fatto e la non manifesta irragionevolezza della scelta effettuata sulla prevalenza di un valore in conflitto con l'altro, non potendo l'autorità amministrativa limitarsi ad affermazioni apodittiche e dovendosi pure riferire non all'entità atomisticamente valutata del singolo intervento, ma al complesso strutturalmente individuato che deriva dalla sovrapposizione con quello preesistente e occorre, quindi, esternare adeguatamente l'avvenuto apprezzamento comparativo, da un lato, del contenuto del vincolo e, dall'altro, di tutte le rilevanti circostanze di fatto relative al manufatto ed al suo inserimento nel contesto protetto, in modo da giustificare la scelta di dare prevalenza all'interesse del privato rispetto a quello tutelato in via primaria attraverso l'imposizione del vincolo (cfr. ad es. Tar Liguria n. 1393/2011, 1406/2013 e 162/2014, Cds 4481/2013 e 3896/2013). Inoltre, l'onere di puntuale motivazione non sussiste solo in caso di diniego del titolo, non essendo dubbia la sua doverosità per l'assenso, dovendosi dar conto, in quest'ultimo caso, dell'iter logico seguito per verificare e riconoscere la compatibilità effettiva degli interventi edificatori in riferimento agli specifici vincoli paesaggistici dei luoghi (cfr. Tar Liguria n. 34 del 2013).   T.A.R. Liguria, Sez. I, 5 maggio 2014, n. 691 - Rilevato che il ricorso appare prima facie fondato sotto il duplice profilo assorbente del difetto di motivazione e della violazione dell’art. 10 bis l. 241 cit.;- considerato che, in linea di fatto, il diniego si basa sulla mera formula di stile sopra riportata, priva di qualsiasi riferimento alla normativa di piano ovvero edilizia applicata nonchè al vincolo applicato ed alle relative caratteristiche che si ritengono violate, nonché alla documentazione prodotta da parte istante;- rilevato che, in linea di diritto, va ribadito il principio a mente del quale è illegittimo il diniego di intervento edilizio e di connesso assenso paesaggistico qualora con esso l’ente si sia limitato ad esprimere le conclusioni di un giudizio di valore estetico-paesaggistico sul manufatto, senza operare, nel merito, una preventiva valutazione di conformità dell’intervento, rispetto ai valori ambientali tutelati in quella parte di territorio;- atteso che in tema di autorizzazione paesaggistica, a maggior ragione nel caso di diniego, per l'amministrazione è necessario motivare la determinazione in modo tale che emerga l'apprezzamento di tutte le rilevanti circostanze di fatto e la non manifesta irragionevolezza della scelta effettuata sulla prevalenza di un valore in conflitto con quello tutelato in via primaria, non potendo l'autorità amministrativa limitarsi ad affermazioni apodittiche e dovendosi pure riferire non all'entità atomisticamente valutata del singolo intervento, ma al complesso strutturalmente individuato che deriva dalla sovrapposizione con quello preesistente;- rilevato che occorre, quindi, esternare adeguatamente l'avvenuto apprezzamento comparativo, da un lato, del contenuto del vincolo e, dall'altro, di tutte le rilevanti circostanze di fatto relative al manufatto ed al suo inserimento nel contesto protetto, in modo da giustificare la scelta di dare prevalenza all'interesse del privato rispetto a quello tutelato in via primaria attraverso l'imposizione del vincolo (cfr. ex multis Tar Liguria sent nn. 1406\2013 e 2187\2008); - considerato che sotto il secondo profilo, risulta del tutto omessa qualsiasi valutazione delle considerazioni svolte in sede di partecipazione procedimentale, anche in risposta alla doverosa comunicazione ex art. 10 bis cit.; - atteso che, al riguardo, costituisce principio condiviso dal Collegio quello per cui la motivazione del provvedimento amministrativo è intesa a consentire al cittadino la ricostruzione del percorso logico e giuridico mediante il quale l'Amministrazione si è determinata ad adottarlo, controllando il corretto esercizio del potere ad esso conferito dalla legge, con la conseguenza, è illegittimo il provvedimento amministrativo nel quale non si dia conto delle motivazioni in risposta alle osservazioni proposte dal privato a seguito dell'avviso dato ai sensi dell'art. 10 bis, l. n. 241 del 1990, limitandosi l'Amministrazione a darne riscontro con formula di mero stile, come nella specie in cui si è solo ribadita la formula generica già evidenziata in sede di comunicazione.   Ordinanza T.A.R. Sicilia-Palermo, Sez. I, 10 aprile 2013, n. 802 - Il Tribunale Siciliano sottopone alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea la seguente questione pregiudiziale: "se l'articolo 17 della Carta dei diritti fondamentali dell'U.E. ed il principio di proporzionalità come principio generale del diritto dell’U.E., ostino all’applicazione di una normativa nazionale che, come l’art. 167, comma 4, lett. a), del Decreto legislativo n. 42 del 2004, esclude la possibilità del rilascio di una autorizzazione paesaggistica in sanatoria per tutti gli interventi umani comportanti l’incremento di superfici e volumi, indipendentemente dall’accertamento concreto della compatibilità di tali interventi con i valori di tutela paesaggistica dello specifico sito considerato"

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