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Sotto il profilo letterale della formulazione della Legge regionale, si osserva che il comma 1 dell’art. 2 distingue tra “Edificio rurale di valore testimoniale” (lett. a) ed “Edificio diruto”, richiedendo, nel primo caso, che esso (oltre al rapporto diretto o funzionale con fondi agricoli) presenti “una riconoscibilità del suo stato originario in quanto non sia stato irreversibilmente alterato nell'impianto tipologico, nelle caratteristiche architettonico-costruttive e nei materiali tradizionali impiegati”; nel secondo caso, si definisce “diruto” quell’”edificio” di cui “parti, anche significative e strutturali, siano andate distrutte nel tempo ma di cui sia possibile documentare l'originario inviluppo volumetrico complessivo e la originaria configurazione tipologica, a fini della sua ricostruzione”.

Appare evidente, nell’esegesi sinottica delle due definizioni (e tenendo presente l’istituto di cui all’art. 30 del DL nr. 69/2013), come nel primo caso si richieda un “quid pluris” rispetto al secondo, essendo necessario che lo “stato originario” non sia stato “irreversibilmente alterato”; nel secondo, deve sussistere una condizione di perdita di “parti anche significative e strutturali”, ma che sia possibile “documentare” ai fini della ricostruzione del fabbricato stesso.

In entrambi i casi la norma si riferisce ad una condizione di fatto, che costituisce il necessario presupposto logico-funzionale della identificazione del volume ai fini della sua ricostruzione (nei limiti ed agli scopi di cui agli artt. 6 e 7, ossia residenziali o non residenziali con le conseguenti discipline).

Sotto un diverso profilo, deve quindi esaminarsi se, nel caso di specie, l’edificio “diruto” di cui si discute presenti caratteri minimi sufficienti a determinarne la “leggibilità” del volume originario, ferme ed impregiudicate le successive valutazioni in ordine all’assentibilità dell’intervento, sulle quali l’Ente non si è espresso (ritenendole assorbite nell’accertata inesistenza del manufatto originario).

Avendo riguardo alla relazione tecnica che parte ricorrente ha prodotto, si osserva che al punto 1) della motivazione del diniego, il Comune asserisce che “non vi è più traccia di volumetrie esistenti ovvero l’inesistenza di un fabbricato su cui intervenire”. Dallo stato degli atti e dalla documentazione fotografica, si evince invece che è visibile il muro a ridosso della scarpata sovrastante l’immobile, parte dei muri perimetrali in adiacenza all’edificio accanto e sul lato opposto, nonché parte del fronte strada, sufficiente a definire l’area d’impianto.

Da qui, il tecnico ha sviluppato un calcolo di possibile volume che, dunque, il Comune avrebbe dovuto riscontrare e che, invece, è rimasto del tutto disatteso.

La definizione di “edificio diruto” non implica un parametro quantitativo assoluto di quanto dev’essere ancora rimasto della struttura originaria, bensì introduce un parametro funzionale: deve cioè, essere possibile ricostruire il volume, inferendone la dimensione dall’esistente.

Quando, pertanto, sussiste una prova di altezza e profondità del fabbricato, come nel caso di specie, la ricostruzione del volume è certamente possibile, così come invero ha prospettato l’odierna parte ricorrente, con la conseguenza che l’Ente è tenuto a svolgere l’istruttoria nei termini conseguenziali e determinarsi in conformità.

Per il manufatto ricadente sul mappale n. 1595, Fg. 21,N.C.E.U., osserva il Collegio che erroneamente l’Ente ritiene che la consistenza d’origine sarebbe irrilevante o non comprovata (soltanto) in quanto l’edificio è composto da materiali precari.

Tale impostazione tralascia di considerare che ogni “nuova opera” che implichi trasformazione o uso del territorio implica la necessità di un permesso di costruire, purchè la relativa funzione non sia precaria o temporanea (cfr. Consiglio di Stato , sez. VI , 17/08/2021 , n. 5911; T.A.R. , Roma , sez. II , 10/04/2021 , n. 4226, secondo cui “Il carattere precario di un manufatto deve essere valutato non con riferimento al tipo di materiali utilizzati per la sua realizzazione, non avendo riguardo all'uso cui lo stesso è destinato, nel senso che, se le opere sono dirette al soddisfacimento di esigenze stabili e permanenti, deve escludersi la natura precaria dell'opera, a prescindere dai materiali utilizzati e dalla tecnica costruttiva applicata”).

Anche stando alle caratteristiche del manufatto desumibili dalla documentazione versata negli atti di causa, a dispetto della povertà dei materiali usati per la sua edificazione, non può escludersi che la costruzione impegni attualmente un “volume” edilizio e pertanto non può escludersene a priori la rilevanza ai fini dell’istituto in esame senza un’adeguata disamina della sua tipologia e delle condizioni della sua realizzazione, che l’Ente, nel procedimento da ripetersi, potrà comunque ancora svolgere.

 

 

 

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