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Sulla responsabilità precontrattuale dell'amministrazione che sussiste potenzialmente in tutte le fasi della procedura a prescindere dall'intervenuta aggiudicazione definitiva Con la sentenza dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, 4 maggio 2018, n. 5 è stato acclarato l'importante principio di diritto della sussistenza della responsabilità precontrattuale dell'Amministrazione a prescindere dalla fase pubblicistica in cui si trova la procedura ad evidenza pubblica. Inoltre, la Plenaria ribadisce con precisione i presupposti per poter configurare un danno da responsabilità precontrattuale. Ecco i principi di diritto definiti dalla decisione "1. Anche nello svolgimento dell’attività autoritativa, l’amministrazione è tenuta a rispettare oltre alle norme di diritto pubblico (la cui violazione implica, di regola, l’invalidità del provvedimento e l’eventuale responsabilità da provvedimento per lesione dell’interesse legittimo), anche le norme generali dell’ordinamento civile che impongono di agire con lealtà e correttezza, la violazione delle quali può far nascere una responsabilità da comportamento scorretto, che incide non sull’interesse legittimo, ma sul diritto soggettivo di autodeterminarsi liberamente nei rapporti negoziali, cioè sulla libertà di compiere le proprie scelte negoziali senza subire ingerenze illecite frutto dell’altrui scorrettezza. 2. Nell’ambito del procedimento di evidenza pubblica, i doveri di correttezza e buona fede sussistono, anche prima e a prescindere dell’aggiudicazione, nell’ambito in tutte le fasi della procedura ad evidenza pubblica, con conseguente possibilità di configurare una responsabilità precontrattuale da comportamento scorretto nonostante la legittimità dei singoli provvedimenti che scandiscono il procedimento. 3. La responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione può derivare non solo da comportamenti anteriori al bando, ma anche da qualsiasi comportamento successivo che risulti contrario, all’esito di una verifica da condurre necessariamente in concreto, ai doveri di correttezza e buona fede. 4. Affinché nasca la responsabilità dell’amministrazione non è sufficiente che il privato dimostri la propria buona fede soggettiva (ovvero che egli abbia maturato un affidamento incolpevole circa l’esistenza di un presupposto su cui ha fondato la scelta di compiere conseguenti attività economicamente onerose), ma occorrono gli ulteriori seguenti presupposti: a) che l’affidamento incolpevole risulti leso da una condotta che, valutata nel suo complesso, e a prescindere dall’indagine sulla legittimità dei singoli provvedimenti, risulti oggettivamente contraria ai doveri di correttezza e di lealtà; b) che tale oggettiva violazione dei doveri di correttezza sia anche soggettivamente imputabile all’amministrazione, in termini di colpa o dolo; c) che il privato provi sia il danno-evento (la lesione della libertà di autodeterminazione negoziale), sia il danno-conseguenza (le perdite economiche subite a causa delle scelte negoziali illecitamente condizionate), sia i relativi rapporti di causalità fra tali danni e la condotta scorretta che si imputa all’amministrazione".         Sul risarcimento del danno in favore dell'operatore economico in caso di inaccoglibilità della domanda di subentro in quanto l'appalto è già stato interamente eseguito. Con la sentenza dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, 12 maggio 2017, n. 2 il supremo Consesso amministrativo ribadisce i principi a cui era già giunta la giurisprudenza maggioritaria sia in tema di ripartizione dell'onere della prova e sia in merito alla quantificazione delle poste risarcitorie, sintetizzando il tutto nel seguente vademecum: "a) ai sensi degli artt. 30, 40 e 124, comma 1, c.p.a., il danneggiato deve offrire la prova dell’an e del quantum del danno che assume di aver sofferto; b) nel caso di mancata aggiudicazione il risarcimento del danno conseguente al lucro cessante si identifica con l’interesse c.d. positivo, che ricomprende sia il mancato profitto (che l’impresa avrebbe ricavato dall’esecuzione dell’appalto), sia il danno c.d. curricolare (ovvero il pregiudizio subìto dall’impresa a causa del mancato arricchimento del curriculum e dell’immagine professionale per non poter indicare in esso l’avvenuta esecuzione dell’appalto). Non è dubitabile, invero, che il fatto stesso di eseguire un appalto pubblico (anche a prescindere dal lucro che l’impresa ne ricava grazie al corrispettivo pagato dalla stazione appaltante), possa essere, comunque, fonte per l’impresa di un vantaggio economicamente valutabile, perché accresce la capacità di competere sul mercato e, quindi, la chance di aggiudicarsi ulteriori e futuri appalti. c) spetta all’impresa danneggiata offrire la prova dell’utile che in concreto avrebbe conseguito, qualora fosse risultata aggiudicataria dell’appalto, poiché nell’azione di responsabilità per danni il principio dispositivo opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell’azione di annullamento (ex art. 64, commi 1 e 3, c.p.a.); quest’ultimo, infatti, in tanto si giustifica in quanto sussista la necessità di equilibrare l’asimmetria informativa tra amministrazione e privato la quale contraddistingue l’esercizio del pubblico potere ed il correlato rimedio dell’azione di impugnazione, mentre non si riscontra in quella di risarcimento dei danni, in relazione alla quale il criterio della c.d. vicinanza della prova determina il riespandersi del predetto principio dispositivo sancito in generale dall’art. 2697, primo comma, c.c.; d) la valutazione equitativa, ai sensi dell’art. 1226 c.c., è ammessa soltanto in presenza di situazione di impossibilità – o di estrema difficoltà – di una precisa prova sull’ammontare del danno; e) le parti non possono sottrarsi all’onere probatorio e rimettere l’accertamento dei propri diritti all’attività del consulente tecnico d’ufficio neppure nel caso di consulenza cosiddetta “percipiente”, che può costituire essa stessa fonte oggettiva di prova, demandandosi al consulente l’accertamento di determinate situazioni di fatto, giacché, anche in siffatta ipotesi, è necessario che le parti stesse deducano quantomeno i fatti e gli elementi specifici posti a fondamento di tali diritti; f) la prova in ordine alla quantificazione del danno può essere raggiunta anche mediante presunzioni; per la configurazione di una presunzione giuridicamente rilevante non occorre che l’esistenza del fatto ignoto rappresenti l’unica conseguenza possibile di quello noto, secondo un legame di necessarietà assoluta ed esclusiva (sulla base della regola della «inferenza necessaria»), ma è sufficiente che dal fatto noto sia desumibile univocamente quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull’id quod plerumque accidit (in virtù della regola della «inferenza probabilistica»), sicché il giudice può trarre il suo libero convincimento dall’apprezzamento discrezionale degli elementi indiziari prescelti, purché dotati dei requisiti legali della gravità, precisione e concordanza, mentre non può attribuirsi valore probatorio ad una presunzione fondata su dati meramente ipotetici; g) va esclusa la pretesa di ottenere l’equivalente del 10% dell’importo a base d’asta, sia perché detto criterio esula storicamente dalla materia risarcitoria, sia perché non può essere oggetto di applicazione automatica ed indifferenziata (non potendo formularsi un giudizio di probabilità fondato sull’id quod plerumque accidit secondo il quale, allegato l’importo a base d’asta, può presumersi che il danno da lucro cessante del danneggiato sia commisurabile al 10% del detto importo); h) anche per il c.d. danno curricolare il creditore deve offrire una prova puntuale del nocumento che asserisce di aver subito (il mancato arricchimento del proprio curriculum professionale), quantificandolo in una misura percentuale specifica applicata sulla somme liquidata a titolo di lucro cessante; i) il mancato utile spetta nella misura integrale, in caso di annullamento dell’aggiudicazione impugnata e di certezza dell’aggiudicazione in favore del ricorrente, solo se questo dimostri di non aver utilizzato o potuto altrimenti utilizzare maestranze e mezzi, in quanto tenuti a disposizione in vista della commessa. In difetto di tale dimostrazione, può presumersi che l’impresa abbia riutilizzato mezzi e manodopera per altri lavori ovvero che avrebbe potuto riutilizzare, usando l’ordinaria diligenza dovuta al fine di non concorrere all’aggravamento del danno, a titolo di aliunde perceptum vel percipiendum; j) tale ripartizione dell’onere probatorio in materia di aliunde perceptum ha sollevato in dottrina alcune perplessità, avvalorate dal pacifico orientamento della Corte di cassazione secondo cui, costituendo l’aliunde perceptum vel percipiendum un fatto impeditivo (in tutto o in parte) del diritto al risarcimento del danno, il relativo onere probatorio grava sul datore di lavoro (da ultimo, Cass.. sez. lav., 30 maggio 2016 n. 11122)".     Sul dimezzamento dei termini delle azioni in materia di appalti Con la sentenza n. 11506 del 17 novembre 2016 il TAR Lazio, Sez. I quater,  ha chiarito che nelle controversie in materia di appalti pubblici il dimezzamento dei termini processuali riguarda anche quello per la riassunzione del giudizio e per la proposizione delle azioni risarcitorie. Nelle controversie in materia di appalti, afferma il Giudice amministrativo, la domanda di risarcimento per equivalente o in forma specifica non ha carattere autonomo rispetto all'azione demolitoria essendo correlata in ogni caso al preventivo accertamento dell'illegittimità del provvedimento gravato. Ne segue che, anche qualora siano proposte più domande, il procedimento giudiziario in materia di appalti ha carattere unitario e quindi il relativo giudizio non può essere sottoposto a un doppio regime speciale, quello speciale e quello ordinario.       Sulle condizioni di subentro nell'aggiudicazione e nel contratto del ricorrente vittorioso Il Consiglio di Stato, Sez. III, 27 ottobre 2016, n. 4514, torna sulla ratio dell'art. 122 c.p.a., il quale -come noto- riconosce al giudice amministrativo che annulla l’aggiudicazione, il potere di stabilire, nei casi di minor gravità dei vizi riscontrati, se dichiarare inefficace il contratto, fissandone la decorrenza, tenendo conto, in particolare, degli interessi delle parti, dell’effettiva possibilità, per il ricorrente, di conseguire l’aggiudicazione alla luce dei vizi stessi, dello stato di "esecuzione del contratto" – espressione, questa, di preciso significato tecnico assai rilevante nel presente giudizio – e della possibilità di subentrare nel contratto, nei casi in cui il vizio dell’aggiudicazione non comporti l’obbligo di rinnovare la gara e la domanda di subentrare sia stata proposta. Il Supremo Consesso chiarisce in particolare che non osta all’applicazione dell’art. 122 c.p.a. il fatto che i servizi oggetto dell’appalto siano stati affidati in via d’assoluta urgenza al primo aggiudicatario ex art. 11, c. 12, d.lgs. n. 163/2006, e che questi abbia già avviato i servizi. Se così fosse il ricorrente vittorioso vedrebbe frustrato il proprio interesse principale ad ottenere l'aggiudicazione dell'appalto e la stipulazione del contratto ogni volta che la Stazione appaltante disponga l'affidamento provvisorio ai sensi del citato art. 11, c. 12, e ciò anche nei casi, come quello in esame, in cui non dovesse poi essere stipulato il contratto. Ciò integrerebbe una circostanza paradossale che, oltre a ingenerare prassi illegittime nelle Amministrazioni (con affidamenti di fatto del servizio, in via d'urgenza e senza successiva stipula o con stipula a servizio quasi svolto), sarebbe contraria ad una tutela giurisdizionale piena ed effettiva, pure riconosciuta dall'art. 124 c.p.a. al ricorrente vittorioso, salvi i principi e i temperamenti di cui agli artt. 121 e 122 c.p.a. *

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