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T.A.R. Liguria, Sez. I, 8 novembre 2016, n. 1098 - Le scelte urbanistiche effettuate dal Comune in sede di adozione del piano regolatore generale costituiscono valutazioni discrezionali attinenti al merito amministrativo che, come tali, sono sottratte al sindacato di legittimità del giudice amministrativo in sede di giudizio impugnatorio, a meno che non risultino inficiate da errori di fatto o da vizi di grave illogicità. E’ in tale contesto che va quindi verificata l’altrettanto consolidata opinione per cui le osservazioni proposte dai cittadini e/o proprietari nei confronti degli atti di pianificazione urbanistica non costituiscono veri e propri rimedi giuridici, ma semplici apporti collaborativi e, pertanto, non danno luogo a peculiari aspettative, sicché il loro rigetto o il loro accoglimento, di regola, non richiede una motivazione analitica, essendo sufficiente che esse siano state esaminate e confrontate con gli interessi generali sottesi allo strumento pianificatorio. Infatti, laddove le osservazioni portino ad una motivazione che evidenzi errori di fatto o vizi di illogicità e contraddittorietà, deve farsi applicazione della predetta regola generale in termini di sindacabilità delle previsioni. Attenta giurisprudenza ha riassunto tale concetto tramite fondamentali indicazioni, evidenziando che in caso di presentazione da parte di privati di osservazioni al piano regolatore in itinere, il relativo rigetto deve essere supportato da una motivazione, pur succinta, dovendo la medesima rivelarsi congrua rispetto al contenuto concreto delle dette osservazioni, così da dimostrare l'avvenuto riscontro dell'apporto critico dei privati in comparazione con gli interessi pubblici coinvolti (cfr. ad es. tar Parma 219\2016). In termini ancor più ampi va altresì ricordato un altro fondamentale principio espresso dalla prevalente e condivisa giurisprudenza (cfr. ad es. CdS 295\2005), per cui ad esempio una scelta di piano regolatore generale può essere considerata illogica quando attribuisce "ex novo" una destinazione in aperta incoerenza con la situazione di fatto e con la destinazione urbanistica precedentemente attribuita. Occorre quindi fare applicazione di tali fondamentali indicazioni in ordine ai limiti ed alla conseguente estensione del sindacato, verificando in relazione al singolo caso concreto (nei limiti all’evidenza dei vizi dedotti) – che nella censurata sede pianificatoria si sia verificata, con il necessario scrupolo anche istruttorio oltre che motivazionale (nei limiti sin qui ricordati), la situazione del singolo compendio interessato dalla specifica previsione. Ciò a maggior ragione a cagione dell’evidenziato rischio derivante dalla non infrequente (peraltro non in relazione all’area in questione) parcellizzazione della pianificazione, in specie in ordine alla correttezza delle valutazioni sullo stato di fatto ovvero alla sussistenza di un logico coordinamento con gli obiettivi pianificatori perseguiti per la zona. Peraltro, il sindacato nei termini richiamati all’evidenza può portare, al massimo, al riesame delle singole situazioni, non certo alla possibile sostituzione.   T.A.R. Liguria, Sez. I, 8 novembre 2016, n. 1091 - I recenti sviluppi della normativa di matrice europea in tema di liberalizzazione delle attività commerciali hanno comportato la ricerca di un punto di equilibrio tra la pianificazione del territorio e l’assetto delle attività commerciali. Allo stato, il fondamentale riferimento normativo è costituito dall’art. 31, comma 2, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito in legge 22 dicembre 2011, n. 214, che individua quale “principio generale dell’ordinamento nazionale la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente, ivi incluso l’ambiente urbano, e dei beni culturali”. Tale principio, pacificamente riferibile anche all’esercizio dell’attività di pianificazione urbanistica, comporta che non possano ritenersi legittimi gli atti di programmazione con cui vengono imposti limiti territoriali all’insediamento di attività commerciali, qualora non sussistano motivi imperativi di interesse generale, ovvero che pongono limiti non ragionevoli, non adeguati o non proporzionati rispetto alle finalità pubbliche perseguite. Analogamente, l’art. 1, comma 1, del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con modificazioni in legge 24 marzo 2012, n. 27, stabilisce che, “fermo restando quanto previsto dall'articolo 3 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, in attuazione del principio di libertà di iniziativa economica sancito dall'articolo 41 della Costituzione e del principio di concorrenza sancito dal Trattato dell'Unione europea, sono abrogate, dalla data di entrata in vigore dei decreti di cui al comma 3 del presente articolo e secondo le previsioni del presente articolo: […] b) le norme che pongono divieti e restrizioni alle attività economiche non adeguati o non proporzionati alle finalità pubbliche perseguite, nonché le disposizioni di pianificazione e programmazione territoriale o temporale autoritativa con prevalente finalità economica o prevalente contenuto economico, che pongono limiti, programmi e controlli non ragionevoli, ovvero non adeguati ovvero non proporzionati rispetto alle finalità pubbliche dichiarate e che in particolare impediscono, condizionano o ritardano l'avvio di nuove attività economiche o l'ingresso di nuovi operatori economici ponendo un trattamento differenziato rispetto agli operatori già presenti sul mercato, operanti in contesti e condizioni analoghi, ovvero impediscono, limitano o condizionano l'offerta di prodotti e servizi al consumatore, nel tempo nello spazio o nelle modalità, ovvero alterano le condizioni di piena concorrenza fra gli operatori economici oppure limitano o condizionano le tutele dei consumatori nei loro confronti”. Alla luce di tali principi, si tratta di verificare se, nei casi concreti, le previsioni urbanistiche che formano oggetto della contestazione giurisdizionale perseguano effettivamente finalità di tutela dell'ambiente urbano (o di altri “valori sensibili”) oppure siano state adottate allo scopo di svolgere, attraverso restrizioni territoriali alla libertà di insediamento delle attività commerciali, un inammissibile ruolo “calmieratore” nel settore del commercio. Ciò comporta un ampliamento dei margini del sindacato giurisdizionale sull'eccesso di potere nell'esercizio della discrezionalità amministrativa di pianificazione del territorio, oggi incentrato sui contenuti degli atti di programmazione in modo più penetrante di quanto si riteneva consentito in passato, nel senso che il giudice amministrativo è chiamato a verificare la sussistenza dei motivi imperativi di interesse generale sottesi alle limitazioni imposte dagli strumenti urbanistici, onde verificare, attraverso un'analisi degli atti preparatori e delle concrete circostanze di fatto, se effettivamente i divieti imposti possano ritenersi correlati e proporzionati ad effettive esigenze di tutela dell'ambiente urbano o all’ordinato assetto del territorio (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 7 novembre 2014, n. 5494). In questa prospettiva, assume un ruolo determinante lo scrutinio della motivazione delle scelte pianificatorie che (senza mettere in discussione il tradizionale orientamento secondo cui i piani urbanistici, siccome rientranti nella categoria degli atti amministrativi generali, non necessitano di motivazione) può essere ricostruita in chiave procedimentale, attraverso i contenuti della relazione illustrativa e delle controdeduzioni alle osservazioni degli interessati, soprattutto quando queste ultime non esprimano un mero apporto partecipativo, ma (come verificatosi nel presente caso) siano intese a contestare le ragioni tecnico-giuridiche della scelta pianificatoria. 5) Nel caso in esame, le ragioni sottese alla scelta in contestazione possono essere desunte dalle articolate controdeduzioni (la “motivazione procedimentale”) con cui l’amministrazione ha respinto, per due volte, le osservazioni del privato. Con riferimento alle previsioni del progetto preliminare di P.U.C, infatti, l’odierna ricorrente aveva chiesto, con nota del 7 maggio 2012, che la destinazione commerciale fosse ammessa quale funzione principale nel settore 1 del distretto 1.05 “Nuova Sestri” (ossia nell’ambito in cui erano stati inclusi i suoi immobili), senza limitazioni afferenti alla tipologia di esercizi commerciali insediabili. L’amministrazione ha respinto l’osservazione con la seguente motivazione: “La richiesta si pone in contrasto con la volontà, espressa dai partecipanti al Tavolo di Lavoro composto da rappresentanze del Comune, del Municipio, degli operatori economici di Sestri ponente, della Direzione aziendale di Esaote e di Coop Liguria, riunitosi il 15 giugno 2011, di limitare eventuali ulteriori medie strutture di vendita non alimentare al commercio di merci speciali, condizione recepita dal Consiglio Comunale con la D.C.C. n. 41/2011 (accordo di pianificazione ai sensi dell’art. 57 della legge regionale 36/97 e s.m.i. per l’approvazione di una variante al vigente PUC relativa al sub-settore 4 del distretto aggregato 17a del Polo tecnologico di Sestri), che coincide con gli obiettivi ed i contenuti del nuovo PUC relativi ad un più elevato grado di integrazione con il contesto urbano che potrà essere raggiunto individuando, nel settore di cui trattasi, funzioni urbane ed attività commerciali minute, mentre attività commerciali di dimensioni maggiori determinerebbero possibili conflitti con il tessuto commerciale del centro storico di Sestri”. In sostanza: l’amministrazione ha ritenuto che, per non provocare una situazione di conflittualità con “il tessuto commerciale del centro storico di Sestri” (condizione ritenuta necessaria per il conseguimento dell’obiettivo di integrazione con il contesto urbano, individuato dal progetto preliminare di P.U.C.), non dovesse essere ammesso, nell’ambito in questione, l’insediamento di attività commerciali eccedenti la dimensione dell’esercizio di vicinato. In disparte l’anomalia insita nella fonte di tale indicazione (promanante da un “tavolo di lavoro” cui aveva partecipato anche Coop Liguria, vale a dire la Società interessata all’apertura di una grande struttura di vendita nelle immediate vicinanze), essa è rivelatrice della natura anticoncorrenziale della contestata scelta pianificatoria. La controdeduzione rivela in modo inequivoco, cioè, come la fondamentale ragione che aveva indotto il pianificatore ad escludere l’insediamento di attività commerciali di medie (preclusione poi superata con il P.U.C. approvato) e di grandi dimensioni consistesse nella volontà di tutelare i punti vendita di piccole dimensioni, costituenti il “tessuto commerciale” del vicino centro storico, la cui permanenza sul mercato potrebbe essere messa a repentaglio dalla presenza di una grande struttura di vendita nelle zone limitrofe. La scelta in parola non risulta ispirata, quindi, da esigenze di tutela di rilevanti interessi pubblici, bensì risponde ad una logica protezionistica che, anche rifuggendo da prospettive di liberalizzazione totale e senza limiti dell’iniziativa economica, non può essere annoverata tra le finalità intrinseche al piano urbanistico. Diversamente opinando, si finirebbe per ammettere che il disegno di liberalizzazione delle attività commerciali, perseguito mediante i recenti interventi legislativi, possa essere contraddetto e vanificato da un'azione pianificatoria la quale, secondo modelli consolidatisi nell’ambito della tradizionale “urbanistica commerciale”, realizza le proprie scelte in una prospettiva di organizzazione del mercato. Ne deriva che le esigenze e gli obiettivi valorizzati nel caso di specie dall’amministrazione, non costituendo motivi di reale interesse urbanistico, non potevano costituire legittimi e ragionevoli impedimenti al libero esercizio dell'attività economica e, pertanto, non erano idonei a giustificare la contestata scelta ostativa all’insediamento di una struttura di vendita di grandi dimensioni. 6) Dopo l’adozione del progetto definitivo di P.U.C., l’odierna ricorrente presentava rituali osservazioni ai sensi dell’art. 40 della legge regionale Liguria n. 36/1997, proponendo che fosse eliminata, dalla scheda relativa all’area di specifico interesse e dalle norme generali del Piano, ogni limitazione dimensionale o merceologica all’insediabilità di grandi strutture di vendita. L’articolato contenuto di tali osservazioni, riprodotto negli scritti difensivi depositati nel presente giudizio, era essenzialmente inteso a dimostrare che le restrizioni in parola si sarebbero poste in conflitto con la recente normativa in tema di liberalizzazione delle attività commerciali. La proposta del privato è stata disattesa sulla base delle seguenti controdeduzioni: “In via generale si osserva che la disciplina dell’ambito AR-PU ha l’obiettivo di favorire le condizioni per il pieno sviluppo urbanistico delle aree destinate all’insediamento di funzioni produttive. L’attuale disciplina tiene conto di osservazioni formulate nei confronti del progetto preliminare di PUC; in particolare è stata condivisa la richiesta della Camera di Commercio e le relative motivazioni a sostegno, basate su specifiche analisi, volte a dimostrare che la possibilità di insediare strutture commerciali negli ambiti produttivi crea condizioni sfavorevoli rispetto allo sviluppo delle attività produttive con pregiudizio per i livelli occupazionali delle aziende insediate e rischio di abbandono o trasformazione dei siti vocazionalmente produttivi. Inoltre, per quanto riguarda la merceologia dei generi alimentari, si ritiene tale tipologia ancora meno compatibile con l’insediamento e lo sviluppo di attività produttive per evidente disomogeneità di fruizione con conseguente effetto sugli accessi e sulla viabilità del contesto. Nel caso specifico (norma speciale n. 71) si rileva che l’assetto insediativo e infrastrutturale è sostanzialmente definito e realizzato sulla base delle funzioni insediate. Si precisa in ogni caso che gli interventi ammessi per le funzioni già insediate sono sufficienti a rispondere all’esigenza di adeguamento delle stesse tutelando un adeguato mantenimento delle attività già insediate nel rispetto delle caratteristiche degli insediamenti. Inoltre, relativamente alle attività commerciali, la disciplina regionale vigente consente, in deroga agli strumenti urbanistici comunali e ai parametri previsti dalla disciplina stessa, l’ampliamento in loco del 10% della SNV fino a mq. 1.000. L’osservazione non è accolta”. In sostanza, prescindendo dalle considerazioni “di contorno”, l’amministrazione ha ritenuto che i limiti frapposti all’insediamento di grandi strutture di vendita nell’area de qua fossero giustificati da motivi imperativi di interesse generale riconducibili alle esigenze di tutela: a) dei livelli occupazionali, poiché le strutture di vendita di grandi dimensioni (soprattutto quelle alimentari) creano condizioni sfavorevoli allo sviluppo delle attività produttive e comportano il rischio di abbandono o di trasformazione dei siti a vocazione produttiva; b) dell’ambiente urbano, alla luce degli effetti che l’insediamento di simili strutture produrrebbe su un assetto viabilistico sostanzialmente definito sulla base delle funzioni già insediate nell’ambito. Tali rilievi non resistono alle censure di legittimità sollevate dalla parte ricorrente. Essi non rappresentano, in primo luogo, le reali condizioni dell’ambito in cui sono compresi gli immobili che si intenderebbe destinare alla funzione commerciale, all’interno del quale non è attualmente insediata alcuna attività produttiva. Precisa la ricorrente, infatti, che convivono all’interno dell’area 71 quattro destinazioni diverse (commerciale, terziario, direzionale e ricettivo), ma non vi sono presenti attività produttive. Tale constatazione, non contrastata dalle controparti, rivela l’erroneità del presupposto fattuale sulla base del quale l’amministrazione ha ritenuto di dover individuare una prima ragione ostativa all’insediabilità di grandi strutture di vendita nonché l’illogicità dell’argomentazione che fa riferimento alla salvaguardia di una vocazione produttiva attualmente dismessa. In secondo luogo, l’amministrazione ha fatto accenno all’impatto che l’insediamento di una grande struttura di vendita di generi alimentari produrrebbe sulla viabilità della zona: essa ha inteso affermare, cioè, che il territorio non potrebbe sopportare i grandi flussi di traffico provocati da una struttura di questo tipo, dal momento che la rete viabilistica è stata realizzata sulla base delle funzioni che vi sono già insediate. A tale riguardo, è incontestabile che le grandi strutture di vendita alimentari costituiscano, nella generalità dei casi, importanti generatrici di traffico e possano provocare, in conseguenza, non trascurabili ricadute sul territorio, soprattutto qualora collocate in contesti già fortemente urbanizzati. Non è possibile, però, che la valorizzazione di questo dato di comune esperienza favorisca la surrettizia reintroduzione, attraverso la pianificazione del territorio, di inammissibili barriere all'ingresso di nuove attività commerciali. Ne deriva che, per costituire valido motivo imperativo di interesse generale, le criticità afferenti l’impatto viabilistico generato dalla nuova struttura di vendita devono essere concrete e circostanziate, ossia tali da rivelare la non sostenibilità territoriale di quella particolare attività commerciale in quanto destinata ad inserirsi in un contesto di effettiva saturazione del territorio e non supportata da una rete viaria adeguata. Nel caso in esame, i generici rilievi dell’amministrazione, fatti oggetto di puntuale critica nel merito in sede giurisdizionale, non valgono a dimostrare la sussistenza delle accennate criticità. Rileva la ricorrente, infatti, che “la viabilità di contorno all’area 71 è stata recentemente implementata con l’apertura del nuovo innesto a scorrimento veloce con la viabilità a mare (prosecuzione di Lungomare Canepa)” e che “la via Albareto (di recente realizzazione) è stata prevista proprio allo scopo di alleggerire il traffico veicolare delle vie Siffredi, Giotto e Manara le quali costituiscono l’asse principale da Genova per Sestri Ponente e viceversa”. Non si tratta, all’evidenza, di mere congetture intese a sollecitare un inammissibile sindacato di merito sulle scelte discrezionalmente operate dall’amministrazione, bensì di puntuali rilievi che, in assenza di confutazione ad opera della stessa amministrazione, smentiscono la fondatezza dei presupposti fattuali della scelta in contestazione. Fermo restando che non è dato comprendere (né sono state illustrate) le ragioni per cui la pretesa inadeguatezza della rete viabilistica non è stata ritenuta di ostacolo all’insediamento di una grande struttura di vendita nell’area 72 la quale, confinando con quella in cui sono inclusi gli immobili della ricorrente, sembra inevitabilmente destinata a generare analoghe criticità in termini di afflusso veicolare. In definitiva, anche gli elementi valorizzati “in seconda battuta” dall’amministrazione non sono idonei a rendere conto dell’esistenza di reali motivi imperativi di interesse generale che giustifichino la contestata preclusione all’insediamento di grandi strutture di vendita.   T.A.R. Liguria, Sez. I, 8 novembre 2016, n. 1096 - 1. L’impugnazione ha per oggetto la previsione del PUC di Genova con cui è stata recepita l’opposizione regionale all’insediamento della grande struttura di vendita prevista nel fondo di proprietà dell’interessata ubicata in lungo Bisagno Dalmazia 75 r, dove un tempo era esercitata l’attività industriale dalle officine Guglielmetti. La ricorrente comprova di aver acquistato il compendio ad un pubblico incanto, e precisa che l’amministrazione civica aveva in precedenza modificato il regime urbanistico dell’area da produttiva a riqualificazione urbana, così da permettere l’insediamento di una struttura commerciale. In sede di approvazione del nuovo PUC il comune aveva mantenuto la possibilità di sfruttamento dell’area in consonanza con l’intendimento della proprietà, ma la regione ha rilevato le criticità idrauliche su cui anche l’amministrazione civica ha infine concordato, stralciando l’assenso alla volontà della parte che era contenuto negli originari progetti del PUC. 2. L’interessata deduce innanzitutto la carenza del potere regionale a determinarsi nel senso indicato, e tale censura è articolata in numerosi profili. 3. Il collegio osserva innanzitutto che la normativa statale (art. 6 del d.lvo 114 del 1998) ha attribuito una penetrante funzione regionale nella pianificazione del territorio quanto alle grandi strutture di vendita: la ragione di ciò è intuitiva, posto che tali esercizi non servono soltanto gli abitanti di un comune, sia esso piccolo o di grandi dimensioni come Genova, ma si propongono di attrarre la clientela da altri territori, sì che sarebbe oggettivamente riduttiva la previsione che lascia in capo al solo comune la potestà di allocare tali strutture. Anche la norma introdotta dall’art. 9 comma 5 del citato decreto legislativo è significativa al riguardo, posto che l’ente titolare del potere deve anche prevedere le forme procedimentali con cui darà corso all’istruttoria sulle istanze ricevute. Per parte sua la regione Liguria ha introdotto le disposizioni di cui alla legge 2.1.2007, n. 1 che (art. 3) prevedono la potestà regionale in materia di pianificazione degli insediamenti commerciali, così da renderli più favorevoli per la cittadinanza e compatibili con le disposizioni costituzionali e comunitarie sulla libertà di commercio e l’incremento della concorrenza. E’ intervenuta poi la deliberazione consiliare 17.12.2012, n. 31 con cui sono state dettate le norme regolamentari per il commercio in sede fissa, attesa l’intervenuta introduzione dei principi di maggiore libertà commerciale (direttiva 2006/123/CE) che avevano trovato accoglimento proprio nella legge regionale 2007, n. 1. Tutti questi atti di diversa forza normativa chiariscono quanto sia incisiva la potestà attribuita all’amministrazione regionale nella localizzazione delle grandi strutture di vendita, sì che le censure dedotte sul punto non possono trovare favorevole considerazione. 4. La doglianza viene successivamente precisata rilevando che dal punto di vista urbanistico non sussiste alcun potere regionale di vietare l’installazione di una grande struttura di vendita; la qualificazione come urbanistica del potere regionale e comunale esercitato in concreto deriva dalla ragione dell’intervenuta esclusione del fondo in questione dalla possibilità di ospitare il grande magazzino in previsione. L’assunto è nel senso che l’orientamento legislativo dipanatosi nel dopoguerra ha assunto un sempre più marcato rilievo autonomistico, che ha comportato il venir meno delle potestà regionali di controllo sui piani urbanistici: una diversa prospettiva interpretativa si porrebbe oltretutto in contrasto con l’art. 5 cost, dal che l’eccezione di illegittimità sollevata. In Liguria è avvenuto che l’originaria stesura della legge urbanistica (legge 4.9.1997, n. 36) prevedeva con gli abrogati articoli 38 e 40 le modalità con cui il comune esercitava le funzioni necessarie per completare il procedimento di approvazione del PUC, e tale norma implicava soltanto l’interlocuzione con la provincia. Le note vicende sull’esistenza e le potestà dell’ente di area vasta hanno indotto la regione ad approvare la legge regionale 24.4.2015, n. 11 che contiene l’art. 43 che ha novellato il previgente art. 38, ripristinando con ciò la funzione regionale di maggior controllo sull’operato comunale. Tale attività sarebbe illegittima, in quanto l’art. 79 della legge regionale 24.4.2015, n. 11 ha previsto l’ultrattività delle norme previgenti per tutti i procedimenti che, come quello in esame, erano iniziati prima dell’entrata in vigore della norma in questione. La censura dedotta in tal senso è corretta, ma il collegio rileva che anche a tale stregua appare difficile contestare la potestà regionale (un tempo provinciale) di sollecitare il comune al controllo del profilo idrogeologico che ha indotto l’amministrazione civica allo stralcio del progetto; il fondo risulterebbe infatti interessato dallo scorrimento delle acque segnalate dal piano di bacino sì che non appare destituita di fondamento la preoccupazione espressa dalla regione ed accolta dal comune, anche se solo al fine di concludere l’annoso procedimento approvativo dello strumento. A diversa conclusione non può indurre l’ulteriore censura che sottolinea la pregnanza del profilo urbanistico in rassegna, posto che da tempo la giurisprudenza ha attribuito ai piani comunali anche una valenza ambientale La censura è pertanto infondata e va disattesa. 5. Con il successivo motivo si denuncia l’illegittima discriminazione che avrebbe indotto la regione ad opporsi all’insediamento della ricorrente, in quanto il piano di bacino sarebbe stato travisato e comunque la potestà dell’ente in materia di pianificazione degli insediamenti commerciali non si estenderebbe al profilo idrogeologico. Il tribunale osserva che anche a voler acconsentire alle osservazioni riportate non è eludibile il rilievo rivestito nel settore della pianificazione del territorio dal profilo della salvaguardia dello scorrimento delle acque: è un dato di comune esperienza (art. 115 comma 2 cod. proc. civ) che la Liguria è costituita da un territorio soggetto a ricorrenti e pericolose alluvioni, sì che tale aspetto della pianificazione deve essere tenuto accuratamente in considerazione. Ne deriva che sono irrilevanti le censure con cui si osserva che la citata DCR 2012/31 non prevede che la regione sollevi questioni di tipo idrogeologico in sede di pianificazione commerciale, sì che la censura è complessivamente infondata e va disattesa.   T.A.R. Liguria, Serz. I, 8 novembre 2016, n. 1093 - Il ricorso in esame non è in ogni caso suscettibile di accoglimento, in quanto nella specie – relativamente all’area di proprietà della società ricorrente ed oggetto del presente gravame - l’amministrazione risulta aver rispettato i parametri sopra indicati. Invero, nel caso in esame le censure appaiono ammissibili, contrariamente a quanto eccepito dalla difesa comunale, quantomeno nei limiti in cui le stesse sono dedotte non in termini generici – come gran parte del primo motivo - ma al fine di evidenziare i predetti ambiti ammessi di travisamento fatti e manifesta illogicità ovvero la violazione di norme e piani sovraordinati. Sotto un primo profilo, concernente la valutazione dell’area e del relativo stato di fatto e collocazione, le valutazioni svolte in ordine alla determinazioni assunta, oltre ad apparire ampiamente comprese nei limiti di sindacato predetti (atteso che parte ricorrente contesta la limitazioni quantitativa di parametri al fine di ricondurre la previsione generale entro limiti ad essa ed alla propria area più conferenti), trovano riscontro nello stato dei luoghi e nelle preminenti indicazioni fornite dagli uffici regionali, per quanto concerne il necessario rispetto della pianificazione di coordinamento paesistico. Sotto un secondo profilo, più direttamente concernente il rispetto delle indicazioni regionali, a fronte dell’ampiezza delle stesse, aventi ad oggetto gli obiettivi di fondo da perseguire, la determinazione finale del puc, oltre ad apparire priva di errori di fatto, è esente da vizi di logicità o di contraddittorietà, integrando una delle diverse possibili ricadute con cui l’indicazione regionale (di maggior differenziazione della disciplina degli abiti di conservazione da quella degli ambiti di riqualificazione) poteva essere tradotta ed attuata. Ciò che rileva, inoltre, è la piena rispondenza finalistica della previsione rispetto agli obiettivi indicati dagli uffici regionali. Ogni ulteriore considerazione, in assenza della dimostrazione di travisamenti specifici, finirebbe con il superare gli ambiti di sindacato sopra tracciati.   T.A.R. Liguria, Sez. I, 8 novembre 2016, n. 1092 - 6) Nel caso in esame, le ragioni sottese alla scelta in contestazione possono essere desunte dalle articolate controdeduzioni (la “motivazione procedimentale”) con cui l’amministrazione ha respinto, per due volte, le osservazioni del privato. Con riferimento alle previsioni del progetto preliminare di P.U.C, infatti, l’odierna ricorrente aveva chiesto, con nota del 7 maggio 2012, che la destinazione commerciale fosse ammessa quale funzione principale nel settore 01 del distretto “Nuova Sestri” (ossia nell’ambito in cui era stato incluso il suo immobile), senza limitazioni afferenti alla tipologia di esercizi commerciali insediabili. L’amministrazione ha respinto l’osservazione con la seguente motivazione: “La richiesta si pone in contrasto con la volontà, espressa dai partecipanti al Tavolo di Lavoro composto da rappresentanze del Comune, del Municipio, degli operatori economici di Sestri ponente, della Direzione aziendale di Esaote e di Coop Liguria, riunitosi il 15 giugno 2011, di limitare eventuali ulteriori medie strutture di vendita non alimentare al commercio di merci speciali, condizione recepita dal Consiglio Comunale con la D.C.C. n. 41/2011 (accordo di pianificazione ai sensi dell’art. 57 della legge regionale 36/97 e s.m.i. per l’approvazione di una variante al vigente PUC relativa al sub-settore 4 del distretto aggregato 17a del Polo tecnologico di Sestri), che coincide con gli obiettivi ed i contenuti del nuovo PUC relativi ad un più elevato grado di integrazione con il contesto urbano che potrà essere raggiunto individuando, nel settore di cui trattasi, funzioni urbane ed attività commerciali minute, mentre attività commerciali di dimensioni maggiori determinerebbero possibili conflitti con il tessuto commerciale del centro storico di Sestri. L’osservazione non è accolta”. In sostanza: l’amministrazione ha ritenuto che, per non provocare una situazione di conflittualità con “il tessuto commerciale del centro storico di Sestri” (condizione ritenuta necessaria per il conseguimento dell’obiettivo di integrazione con il contesto urbano, individuato dal progetto preliminare di P.U.C.), non dovesse essere ammesso, nell’ambito in questione, l’insediamento di attività commerciali eccedenti la dimensione dell’esercizio di vicinato. In disparte l’anomalia insita nella fonte di tale indicazione (promanante da un “tavolo di lavoro” cui aveva partecipato anche Coop Liguria, vale a dire la Società interessata all’apertura di una grande struttura di vendita nelle immediate vicinanze), essa è rivelatrice della natura anticoncorrenziale della contestata scelta pianificatoria. La controdeduzione rivela in modo inequivoco, cioè, come la fondamentale (anzi l’unica) ragione che aveva indotto il pianificatore ad escludere l’insediamento di attività commerciali di medie e di grandi dimensioni consistesse nella volontà di tutelare i punti vendita di piccole dimensioni, costituenti il “tessuto commerciale” del vicino centro storico, la cui permanenza sul mercato potrebbe essere messa a repentaglio dalla presenza di una grande struttura di vendita nelle zone limitrofe. La scelta in parola non risulta ispirata, quindi, da esigenze di tutela di rilevanti interessi pubblici, bensì risponde ad una logica protezionistica che, anche rifuggendo da prospettive di liberalizzazione totale e senza limiti dell’iniziativa economica, non può essere annoverata tra le finalità intrinseche al piano urbanistico. Diversamente opinando, si finirebbe per ammettere che il disegno di liberalizzazione delle attività commerciali, perseguito mediante i recenti interventi legislativi, possa essere contraddetto e vanificato da un'azione pianificatoria la quale, secondo modelli consolidatisi nell’ambito della tradizionale “urbanistica commerciale”, realizza le proprie scelte in una prospettiva di organizzazione del mercato. Ne deriva che le esigenze e gli obiettivi valorizzati nel caso di specie dall’amministrazione, non costituendo motivi di reale interesse urbanistico, non potevano costituire legittimi e ragionevoli impedimenti al libero esercizio dell'attività economica e, pertanto, non erano idonei a giustificare la contestata scelta ostativa all’insediamento di strutture di vendita di medie e grandi dimensioni. 7) Dopo l’adozione del progetto definitivo di P.U.C., l’odierna ricorrente presentava rituali osservazioni ai sensi dell’art. 40 della legge regionale Liguria n. 36/1997, proponendo che fosse eliminata l’esclusione relativa all’insediamento di medie e di grandi strutture di vendita. L’articolato contenuto di tali osservazioni, riprodotto negli scritti difensivi depositati nel presente giudizio, era essenzialmente inteso a dimostrare che le esclusioni in parola si sarebbero poste in conflitto con la recente normativa in tema di liberalizzazione delle attività commerciali. La proposta del privato è stata disattesa sulla base delle seguenti controdeduzioni: “Si rileva che il settore 1 del distretto di trasformazione Nuova Sestri si pone in diretta relazione fisica, di localizzazione, rispetto al centro storico di Sestri, nucleo urbano che storicamente si connota anche quale centro commerciale naturale, in grado di favorire l’integrazione e la vivibilità del contesto. Ma tale sito si pone in linea col percorso di più immediata accessibilità del Centro storico con il nuovo affaccio a mare di Sestri, l’omonima Marina (vedi a tal proposito lo schema planimetrico e la Scheda del sistema territoriale di concertazione del Medio Ponente – Norme di congruenza, che riporta tra gli obiettivi, tra l’altro, il rafforzamento del rapporto col mare ulteriormente declinato indicando la necessità di realizzare la connessione centro storico di Sestri e Marina di Sestri). Pertanto, gli obiettivi ed i contenuti del nuovo PUC vanno nel senso di attribuire al sito oggetto dell’osservazione, che rappresenta il confine del Distretto Nuova Sestri con il centro storico, il ruolo di cerniera di collegamento ed integrazione del nucleo storico sia con le nuove funzioni realizzate e previste nelle aree a ponente del sito stesso, sia con il nuovo affaccio a mare della cittadina (Marina di Sestri) attraverso via Marsiglia, anch’essa ovviamente da riqualificare, obiettivo da raggiungersi mediante lo sviluppo, nel settore di cui trattasi, di funzioni urbane ed attività commerciali minute; tale obiettivo relativo alla specificità del sito è del resto confermato dalle limitazioni poste anche alle tipologie produttive insediabili che sono limitate a quelle completamente compatibili con gli ambiti urbani anche residenziali. Il ruolo di collegamento e ricucitura del sito appare fondamentale ed irrinunciabile per una urbanisticamente adeguata trasformazione del settore con riferimento sia al distretto sia al contesto urbano cui appartiene, come prefigurato dal progetto di PUC che integra preesistenze e nuove trasformazioni, pertanto non si ritiene di modificare la disciplina nel senso richiesto. Relativamente alla possibilità di realizzare parcheggi privati anche non interrati si conviene che tale limitazione, potendo pregiudicare uno sviluppo progettuale articolato e coerente con la possibilità di insediare funzioni minute e diversificate, si ritiene di accogliere quanto richiesto eliminando l’attuale limitazione fermo restando il rispetto del progetto complessivo di contesto e delle norma di rilevanza ambientale L’osservazione è parzialmente accolta nei termini indicati”. In sostanza: l’amministrazione ha ritenuto che l’esclusione delle strutture di vendita eccedenti la dimensione dell’esercizio di vicinato fosse giustificata da ragioni inerenti alla particolare condizione dei luoghi, poiché l’ambito di cui si controverte, posto a confine con il centro storico di Sestri Ponente, svolge un “ruolo di cerniera di collegamento ed integrazione” con lo stesso e necessita, in conseguenza, di essere riqualificato attraverso l’insediamento di attività commerciali minute, le sole in grado di favorire “l’integrazione e la vivibilità del contesto”. Tali argomentazioni non resistono alle censure di legittimità sollevate dalla parte ricorrente la quale ha correttamente rilevato come, attraverso una motivazione più articolata (seppure non certo perspicua) e l’utilizzo di una terminologia (apparentemente) urbanistica, l’amministrazione abbia sostanzialmente riprodotto le ragioni “anticoncorrenziali” già opposte al privato in sede di adozione del P.U.C. A tale riguardo, il Collegio è a conoscenza di una recentissima pronuncia del giudice amministrativo di primo grado che ha dichiarato la legittimità di una scelta urbanistica dichiaratamente ispirata a finalità di tutela del piccolo commercio, siccome giustificata dal “preminente interesse pubblico alla salvaguardia delle caratteristiche precipue del centro storico cittadino, intessute di storia e di cultura, ma anche di piccole botteghe tradizionali, di commercio di qualità, di relazioni sociali e commerciali a misura d’uomo svolte nel contesto di un ambiente esteticamente gradevole, in cui potersi dedicare all’acquisto di beni di consumo anche come semplice attività di intrattenimento” (T.A.R. Piemonte, sez. II, 6 maggio 2016, n. 612). Tali considerazioni non potrebbero trovare applicazione nel presente giudizio, non essendo stata allegata l’esistenza di elementi atti a rendere peculiare il centro storico di Sestri Ponente, fatta salva la definizione di “centro commerciale naturale” che vuole semplicemente designare, in modo più suggestivo, un’area commerciale centrale. Ma, soprattutto, nel caso in esame non si controverte circa l’insediamento di una grande struttura di vendita all’interno del centro storico, bensì in un’area esterna allo stesso e ad un’apprezzabile distanza (l’immobile di proprietà della ricorrente dista circa 150 metri dal confine del centro storico di Sestri Ponente). Ne deriva che, anche volendo ammettere l’esistenza di esigenze di tutela dell’arredo urbano che, nella generalità dei casi, si frappongono all’insediabilità delle grandi strutture di vendita nei centri storici (opzione non del tutto in linea con quanto affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 104 del 2014), le stesse esigenze non potrebbero valere anche per le aree limitrofe, a scanso di consentire la surrettizia introduzione, attraverso gli strumenti di pianificazione del territorio, di inammissibili barriere all’ingresso di nuove attività commerciali in ampie zone del territorio cittadino. Nella fattispecie, comunque, la contestata scelta urbanistica è stata giustificata, in modo più specifico, con riferimento all’esigenza di valorizzare il ruolo di “cerniera di collegamento ed integrazione” che l’ambito in questione, rappresentando il percorso “di più immediata accessibilità” al centro storico di Sestri Ponente e alla marina, svolge nei confronti di tali luoghi. Non sono immediatamente evidenti, però, le ragioni per cui la presenza di una grande struttura di vendita lungo la via d’accesso (peraltro posta ad un’apprezzabile distanza dai confini del centro storico, all’interno di una zona caratterizzata dalla presenza di edifici industriali dismessi) debba risultare di per sé ostativa al perseguimento dell’obiettivo di riqualificazione del tessuto urbano enunciato dall’amministrazione. Nel merito, la ricorrente rileva, inoltre, che la pretesa funzione di “collegamento ed integrazione” risulterebbe smentita nei fatti, atteso che il distretto “Nuova Sestri”, attraverso il quale si snoda l’accesso al centro storico e alla marina di Sestri Ponente, è stato disarticolato in un pluralità di aree, ognuna assoggettata ad una diversa disciplina urbanistica: in posizione adiacente al settore di cui si controverte, sono state scorporate l’area 71 (ove sorgono attualmente due medie strutture di vendita) e l’area 72 (nella quale è previsto l’insediamento di una grande struttura di vendita alimentare all’insegna Coop). La stessa accentuata parcellizzazione degli ambiti urbanistici dimostrerebbe, ad avviso dell’esponente, l’incongruità della scelta in contestazione, non sussistendo valide ragioni per cui il ruolo di “cerniera di collegamento” con il centro storico sia stato riservato alla piccola area ex Cognitex e non a quelle limitrofe, sebbene tutte appartenenti ad un contesto morfologicamente unitario. Tali circostanziati rilievi non hanno natura di congetture intese a sollecitare un inammissibile sindacato di merito, essendo invece finalizzate a contestare la logicità e la congruenza di una scelta urbanistica che, come si è visto, non è assistita da adeguato supporto motivazionale. Alla luce degli elementi in atti, peraltro, detti rilievi risultano del tutto plausibili e l’amministrazione (come le altre parti resistenti) non vi ha opposto puntuali elementi a confutazione, In definitiva, non emergono dalla “motivazione procedimentale” elementi idonei a rendere conto dell’esistenza di reali esigenze di tutela dell’arredo urbano (o degli altri valori sensibili indicati dal legislatore) che si frappongano all’insediabilità di una grande struttura di vendita nell’area ex Cognitex. La prospettazione di parte ricorrente, invece, risulta idonea a dimostrare che tale scelta è stata ispirata, non da finalità di ordinato assetto del territorio, bensì dalla stessa logica protezionistica che, in modo più esplicito, era emersa dalle controdeduzioni opposte alle prime osservazioni del privato. 8) Per tali ragioni, il ricorso n. 785/15, nella parte in cui conserva attualità, e i motivi aggiunti sono fondati e, con assorbimento delle censure dedotte con il secondo motivo di gravame, devono essere accolti. Ne consegue l’annullamento delle previsioni del P.U.C. approvato che si frappongono all’insediamento di medie e di grandi strutture di vendita nel settore 01 del distretto di trasformazione “Nuova Sestri” (area ex Cognitex).   T.A.R. Liguria, Sez. I, 8 novembre 2016, n. 1088 - 6. Il collegio osserva che questo tribunale amministrativo in diversa sezione si è pronunciato in argomento (sentenza 103 del 2016), statuendo che la pianificazione sopravvenuta sul sedime di che si tratta è inidonea a rendere illegittima la riattivazione dell’attività d’impresa nel sito in questione, sì che alla proprietà ed ai suoi aventi causa non sono opponibili gli atti comunali menzionati in precedenza. Usualmente le esigenze di certezza del diritto portano a conformarsi alla giurisprudenza affermata, particolarmente quando la pronuncia è così recente; nel caso in esame la questione di diritto è tuttavia rilevante, sì che il tribunale non può che aderire alla difesa spiegata dall’amministrazione e riassunta in precedenza, in forza della quale è nella potestà comunale inibire una futura destinazione ad un fondo, soprattutto quando l’attività da sempre esercitata sullo stesso risulta definitivamente cessata, come si ricava dall’esplicita dichiarazione della parte privata. Nella specie non può dubitarsi del fatto che, in più occasioni, il liquidatore della Piombifera aveva dichiarato che l’oggetto industriale della società era venuto meno, ed era stata al contrario richiesta espressamente la riconversione del bene di proprietà verso la residenza. 7. La linearità del procedimento comunale di adozione ed approvazione del PUC convince che con atti legittimi è stata mutata la destinazione dell’area in questione, sulla quale non può pertanto essere più svolta alcuna attività di natura industriale. Il rapporto tra una destinazione in atto ed un nuovo strumento urbanistico è stato più volte esaminato, soprattutto in relazione al dedotto profilo secondo cui un PRG (o PUC) sopravvenuto non potrebbe incidere sull’attività in corso in una determinata porzione del territorio comunale. Al riguardo deve disattendesi la tesi sostenuta dalle ricorrenti, secondo cui il sito di proprietà La Piombifera srl sarebbe insensibile ad ogni mutamento dello strumento: fermo infatti il rispetto del diritto di proprietà e dei suoi contenuti minimi più volte individuati dalla giurisprudenza costituzionale e della corte di Strasburgo, si osserva che un’amministrazione civica può rideterminare in modo unilaterale le modalità di uso di un’area in precedenza vocata ad un’attività divenuta incompatibile con la nuova organica pianificazione. Si intende con ciò che le esigenze di una comunità possono mutare nel tempo, sì che il diritto dominicale può diventare recessivo rispetto alle nuove istanze fatte proprie dal pianificatore, si renda necessario o meno un indennizzo per compensare la compressione delle facoltà connesse al diritto del privato.   T.A.R. Liguria, Sez. I, 8 novembre 2016, n. 1102 - 2. Con il primo motivo viene dedotta l’illegittimità della qualificazione dell’area in questione come AC-VU, aree di conservazione a verde strutturato, in quanto lo stato dei luoghi non sarebbe corrispondente a quanto previsto dalle disposizioni comunali e regionali a tale riguardo. Il collegio osserva a tale riguardo che le disposizioni generali del PUC sugli ambiti di conservazione testualmente dispongono che appartengono ad un “…ambito di conservazione del verde urbano strutturato AC-VU Aree appartenenti alla struttura urbana a forte connotazione del verde da sottoporre ad una rigorosa conservazione, poiché sottendono valori paesaggistici che contribuiscono a costituire l'immagine della città e assicurano il permanere delle risorse ambientali e del verde urbano, comprendente aree verdi private, giardini strutturati di ville e parchi di pregio storico, contraddistinti da valore paesistico e ambientale e costituenti un sistema unitario da conservare...”: le relazioni peritali allegate descrivono il sito come assai degradato, con essenze non pregiate, sì che risulterebbe oggettivamente difficile fare collimare la norma menzionata con lo stato di fatto evidenziato. Va notato al riguardo che il progetto di ampliamento dello struttura di proprietà ricorrente, ed ancor più l’intendimento di realizzare l’autorimessa interrata che avrebbe dovuto sovvenire finanziariamente l’attività d’istituto, sono stati oggetto di opposizione da parte di alcuni residenti nei pressi del fondo (doc. 25 delle produzioni di parte ricorrente), cosa che ha tra l’altro comportato il ritardo nell’inizio dei lavori previsti dalla citata convenzione. Ne è derivato l’inserimento nel piano della disposizione qui contestata, frutto di un emendamento accolto dalla maggioranza consiliare, che ha equiparato l’area di che si tratta a quelle di maggior rilievo ambientale. La norma del piano sopra riportata è articolata, e a differenza di quanto menzionato in ricorso, non si limita a disporre che i distretti AC-VU saranno quelli un tempo destinati a ville e parchi di pregio storico, posto che il livello di protezione assicurato dal piano riguarda anche le aree urbane a forte connotazione di verde da conservare, in quanto capaci di caratterizzare l’ambiente urbano del sito. L’area di che si tratta risulta effettivamente contraddistinta da numerose essenze di non rilevante pregio (le relazioni agronomiche sono concordi sul punto), è inserita in un contesto di forte urbanizzazione a palazzi, per cui non appare del tutto illogico che l’amministrazione abbia ritenuto di salvaguardare assai strettamente lo stato di fatto. E’ per contro ben possibile che la stabilità della maggioranza abbia costituito uno dei motivi che hanno indotto all’approvazione della norma compressiva della facoltà di trasformare il fondo in senso urbanistico; tuttavia per l’esame del collegio è sufficiente osservare che la norma riportata risulta osservata nella sua prima parte precettiva, sì che la causa della determinazione è conforme alle norme applicabili. La censura è pertanto infondata e va disattesa. 3. Con la seconda doglianza si denuncia l’illegittimità della disposizione lesiva che sarebbe illogica, non sussistendo alcuna esigenza di salvaguardia delle aree verdi esistenti, posto che l’unica ragione che ha indotto la p.a. alla determinazione gravata consisterebbe nell’assecondare la volontà di coloro che si sono opposti alla realizzazione del parcheggio sotterraneo. Il tribunale richiama al riguardo le note nozioni sulla differenza tra il motivo e la causa di una determinazione amministrativa che sono state esposte in sede di esame della prima censura, e rimarca che la norma generale in questione attribuisce alla p.a. la discrezionalità di considerare una serie di alberi ubicati in prossimità gli uni degli altri alla stregua di un verde pubblico, con carattere strutturato. Nella specie non appare pertanto illogica né contrastante con le norme denunciate la previsione introdotta dal consiglio comunale di sottoporre a rigorosa tutela il fondo, anche al di là di quanto imposto dagli strumenti sovraordinati (PTC provinciale), in quanto la giurisprudenza condivisibilmente ritiene che il piano comunale non può derogare a quelli provinciale o regionale quanto al livello minimo di protezione ambientale, ma può determinarsi in senso più restrittivo sulla base di motivate ragioni ambientali. Ciò è quanto il comune ha inteso fare, cosa che non appare illegittima, dal che l’infondatezza del motivo.   T.A.R. Liguria, Sez. I, 8 novembre 2016, n. 1101 - Nel merito l’interessata propone un’azione di accertamento ed una di annullamento: al riguardo il collegio non può dichiarare la cessazione della materia del contendere relativamente alla richiesta di accertare l’illegittimità dell’art. 14 punto 4 comma 5 delle norme generali del PUC, nella parte in cui esso poteva essere inteso come limitativo della possibilità di realizzare dei parcheggi interessati nel fondo. La difesa comunale ha infatti dichiarato che l’area verde a contorno dell’immobile non è censita quale verde strutturato (AC-VU), ma che comunque essa non sopporta altro tipo di parcheggio al di là di quelli a raso. Ciò induce a riconsiderare l’originaria censura, con cui si lamenta la violazione della legge 122/1989, che aveva introdotto la generale possibilità di creare posti auto anche interrati, al fine di decongestionare le vie occupate dalle vetture di chi vive nelle abitazioni realizzate senza il rispetto dei necessari standard. Il motivo non tiene tuttavia conto della salvezza operata dalla norma denunciata nell’assorbente profilo ambientale, che nella specie sostanzia nella volontà di impedire il troppo veloce ruscellamento delle acque che in Liguria causano frequenti e dannose alluvioni.   T.A.R. Liguria, Sez. I, 8 novembre 2016, n. 1104 - Sono inammissibili per difetto di interesse le censure, dedotte con il secondo motivo di gravame, inerenti ai pretesi vizi del procedimento di V.A.S. che la Regione Liguria avrebbe contraddittoriamente concluso sebbene non fossero state adempiute le prescrizioni impartite né risolte le criticità emerse nel corso del procedimento medesimo. A tale riguardo, le esponenti denunciano anche il fatto che la V.A.S. non sarebbe stata effettuata, come doveroso, “il più a monte possibile”, bensì immediatamente prima dell’approvazione del P.U.C. Ha precisato la giurisprudenza amministrativa, infatti, che la censura con la quale si contesta la legittimità di un atto di pianificazione urbanistica per mancanza della V.A.S. o per vizi inficianti tale procedura è inammissibile, per difetto di interesse, se questa non abbia alcun nesso con la destinazione urbanistica dell’area oggetto del giudizio (T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 27 gennaio 2012, n. 297; T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. I, 19 luglio 2011, n. 1093). Il Collegio condivide tale impostazione giurisprudenziale, incline a limitare la configurabilità dell’interesse strumentale all’impugnazione dello strumento urbanistico, sicché non possono ritenersi ammissibili le doglianze sollevate in merito a pretesi vizi del procedimento di V.A.S., al solo fine di travolgere il procedimento di approvazione del nuovo P.U.C., senza che sia stata allegata l’esistenza di uno specifico nesso tra i vizi in questione e la destinazione urbanistica dell’area oggetto del giudizio.   T.A.R. Liguria, Sez. I, 8 novembre 2016, n. 1100 - Il ricorso in esame appare fondato in ordine alle censure dedotte in termini di eccesso di potere, in specie sotto i profili del difetto di istruttoria, di contraddittorietà e di manifesta illogicità, di cui al primo ed al terzo motivo di gravame, nonché al quarto concernente la c.d. casa del custode. Invero, nel caso in esame le censure appaiono ammissibili, contrariamente a quanto eccepito dalla difesa comunale, in specie nella parte in cui risultano tese ad evidenziare i predetti ambiti ammessi di travisamento fatti e manifesta illogicità ovvero la violazione di norme e piani sovraordinati. Dall’analisi dell’ampia documentazione esaminata in sede pianificatoria ed a quella prodotta nella presente sede giudiziale, nei predetti limiti di sindacato ammesso, emergono due elementi del tutto illogicamente disattesi dalla p.a. procedente, tali da integrare – nei termini dedotti - sia un palese travisamento di fatti rilevanti a fini pianificatori, sia una contraddittorietà rispetto ad altri atti comunali adottati nei confronti del medesimo immobile. In primo luogo, assumono rilievo la destinazione privatistica – trattandosi di struttura avente tale carattere ed in tali termini gestita da un privato - in base ad un contratto di locazione fra privati che risulta essere stato nelle more risolto, come reso evidente dalle pronunce giudiziali (di primo grado e di conferma in appello) prodotte in sede procedimentale ed acquisite anche agli atti di causa. In secondo luogo, assume rilievo dirimente la pacifica reputata abusività dei mutamenti adottati sul bene, con particolare riferimento proprio al mutamento di destinazione d’uso che si vorrebbe ratificare in sede pianifcatoria. Invero, l’abusività risulta contestata dallo stesso Comune, attraverso atti – contraddittori all’evidenza rispetto alla scelta qui contestata - che la stessa proprietà ha inteso seguire ed invocare in sede di risoluzione del rapporto privatistico con la conduttrice della struttura rsa. Dall’analisi della documentazione versata in atti emerge come tali elementi non siano stati adeguatamente valutati dalla stessa p.a., la quale ha, per un verso, erroneamente liquidato il riferimento alle sentenze come controversie fra privati, mentre in realtà minano giuridicamente e di fatto l’effettivo utilizzo invocato e, per un altro e decisivo verso, del tutto omesso di verificare l’abusività sanzionata da uffici della stessa amministrazione comunale. Fondare una previsione rilevante come la destinazione di cui al puc su di una destinazione privatistica (venuta meno per risoluzione giudiziale) e di fatto, avente carattere abusivo sanzionato dalla stessa p,a. appare, oltre che manifestamente illogico e contraddittorio in linea generale, una determinazione priva della necessaria adeguata valutazione ed esplicazione. In tale contesto, invocare il tardivo convenzionamento (in quanto successivo alla stessa adozione del puc) ed il rilascio di titoli non aventi carattere e rilevanza urbanistico edilizio (come le autorizzazioni di ambito sanitario) appare alla stregua di un tentativo di ratificare ex post una determinazione non adeguatamente istruita né motivata a monte nell’ambito del necessario iter pianificatorio. Ad ulteriore e dirimente conferma delle gravi carenze rilevate va richiamato il principio evidenziato in sede di inquadramento degli ambiti di sindacabilità, laddove si impone una specifica motivazione in caso di mutamento della destinazione di cui alla pianificazione previgente, come pacificamente avviene nel caso de quo. In definitiva, nella presente fattispecie la parcellizzazione evidenziata in sede di inquadramento ricostruttivo, trova piena e specifica conferma, avendo la p.a. dato vita ad una previsione che impone una nuova specifica destinazione su di un singolo compendio immobiliare, basandosi su dati di fatti errati ovvero su di una situazione di fatto abusiva, senza alcuna adeguata valutazione, approfondimento istruttorio e conseguente motivazione della scelta, la quale pertanto resta unicamente basata su dati per un verso errati e, per un altro, manifestamente illogici. Particolarmente evidente risulta poi l’omessa valutazione degli elementi di abusività, contestati dagli uffici competenti della stessa p.a., che peraltro la stessa parte odierna ricorrente ha diligentemente prospettato ed invocato in sede di osservazioni.   T.A.R. Liguria, Sez. I, 8 novembre 2016, n. 1099 - In via preliminare, anche a fronte della pluralità di contestazioni alla pianificazione in oggetto ed al conseguente necessario esame, occorre svolgere qualche considerazione di inquadramento. In generale, infatti, emerge una impressione di fondo in ordine ad una non infrequente parcellizzazione delle previsioni pianificatorie, legate in particolare alla specifica disciplina dei singoli compendi. In proposito, emerge in diverse ipotesi una disciplina che, seppur in distinti ma coevi contesti, non a caso è stata definita a macchia di leopardo; nel caso di specie, quindi, emerge il rischio di riprodurre i vizi di fondo che hanno segnato, anche in termini di difficoltà applicative, i cc.dd vincoli alberghieri. Se è pur vero che ciò è imputabile – come correttamente ricostruito dalla difesa odierna ricorrente – dal tenore della normativa regionale di inquadramento della pianificazione – ciò ha imposto un esame analitico delle osservazioni conseguentemente proposte. In conseguenza di ciò, ai fini dell’esame della pianificazione generale in oggetto, emerge il rischio derivante dalla mancanza di una adeguata visione generale e programmatica, in specie rispetto a quella che tradizionalmente assume la denominazione di zonizzazione, risultando la stessa legata ed adeguata alla specifica disciplina prevista per il singolo compendio. In tale ottica, appare foriero di rischi e di contraddizioni il percorso inverso che in diversi casi pare emergere, cioè alla disciplina particolare segue il tentativo di inquadrarla in quella più generale, quando invece il percorso che si richiede ad una pianificazione di livello generale quale quella presente è di senso fondamentalmente inverso. E’ in tale contesto che si spiegano molte delle censure sollevate nei diversi gravami, compreso il presente, proposti avverso la nuova pianificazione. Pur nella comprensibile difficoltà derivante dalla pluralità di obiettivi affidati al piano e di vincoli derivanti da competenze altrui, oggetto del piano deve essere prima di tutto l’intero territorio comunale distinto per zone. In materia va ricordato come l’incisione del singolo compendio al di fuori di una programmazione generale o comunque più ampia abbia portato alla delimitazione rigorosa dei limiti della potestà conformativa ed alla puntuale disciplina, anche indennitaria, dei vincoli che fuoriescono da tale ambito. Come noto, non hanno natura espropriativa, ma conformativa del diritto di proprietà esistente sui suoli, i vincoli che non solo non sono esplicitamente preordinati all'esproprio in vista della realizzazione di un'opera pubblica, ma nemmeno si risolvono in una sostanziale ablazione dei suoli medesimi, consentendo al contrario la realizzazione degli interventi su di essi previsti anche da parte di privati ed in regime di economia di mercato quale espressione della zonizzazione dei suoli la quale è esercizio non del potere espropriativo, neanche in senso lato, ma della più generale potestà di pianificazione del territorio spettante all'Amministrazione comunale, alla quale è connaturata la facoltà di limitare l'edificabilità su determinate aree a specifiche categorie e tipologie di opere, nell’ambito della generale attività programmatoria e pianificatoria connaturata nella zonizzazione.   T.A.R. Liguria, Sez. I, 8 novembre 2016, n. 1090 - Se in generale in sede di pianificazione del territorio la discrezionalità, di cui certamente il Comune dispone in ordine alle scelte sulla destinazione dei suoli, è ben ampia e, quindi, in genere non abbisogna di una particolare motivazione al di là di quella ricavabile dai criteri e principi generali cui s'ispira il Piano regolatore generale, in linea applicativa è altrettanto vero che già il concreto esercizio di tale amplissima discrezionalità del Comune comunque può esser censurato quando appaia manifestamente illogico, irragionevole, contraddittorio, errato nei presupposti o viziato nel procedimento (cfr. ad es. CdS 3250\2016). Analogamente, va ribadito che le scelte urbanistiche effettuate dal Comune in sede di adozione del piano regolatore generale costituiscono valutazioni discrezionali attinenti al merito amministrativo che, come tali, sono sottratte al sindacato di legittimità del giudice amministrativo in sede di giudizio impugnatorio, a meno che non risultino inficiate da errori di fatto o da vizi di grave illogicità. E’ in tale contesto che va quindi verificata l’altrettanto consolidata opinione per cui le osservazioni proposte dai cittadini e/o proprietari nei confronti degli atti di pianificazione urbanistica non costituiscono veri e propri rimedi giuridici, ma semplici apporti collaborativi e, pertanto, non danno luogo a peculiari aspettative, sicché il loro rigetto o il loro accoglimento, di regola, non richiede una motivazione analitica, essendo sufficiente che esse siano state esaminate e confrontate con gli interessi generali sottesi allo strumento pianificatorio. Infatti, laddove le osservazioni portino ad una motivazione che evidenzi errori di fatto o vizi di illogicità e contraddittorietà, deve farsi applicazione della predetta regola generale in termini di sindacabilità delle previsioni. Attenta giurisprudenza ha riassunto tale concetto tramite alcune fondamentali indicazioni, in specie evidenziando che, in caso di presentazione da parte di privati di osservazioni al piano regolatore in itinere, il relativo rigetto deve essere supportato da una motivazione, pur succinta, dovendo la medesima rivelarsi congrua rispetto al contenuto concreto delle dette osservazioni, così da dimostrare l'avvenuto riscontro dell'apporto critico dei privati in comparazione con gli interessi pubblici coinvolti (cfr. ad es. Tar Parma 219\2016). In termini ancor più ampi va altresì ricordato un altro fondamentale principio espresso dalla prevalente e condivisa giurisprudenza (cfr. ad es. CdS 295\2005), per cui ad esempio una scelta di piano regolatore generale può essere considerata illogica quando attribuisce "ex novo" una destinazione in aperta incoerenza con la situazione di fatto e con la destinazione urbanistica precedentemente attribuita. Occorre quindi fare applicazione di tali fondamentali indicazioni in ordine ai limiti ed alla conseguente estensione del sindacato, verificando in relazione al singolo caso concreto (nei limiti all’evidenza dei vizi dedotti) che nella censurata sede pianificatoria si sia verificata, con il necessario scrupolo anche istruttorio oltre che motivazionale (nei limiti sin qui ricordati), la situazione del singolo compendio interessato dalla specifica previsione. Ciò a maggior ragione a cagione dell’evidenziato rischio derivante dalla parcellizzazione della pianificazione, in specie in ordine alla correttezza delle valutazioni sullo stato di fatto ovvero alla sussistenza di un logico coordinamento con gli obiettivi pianificatori perseguiti per la zona. Peraltro, il sindacato nei termini richiamati all’evidenza può portare, al massimo, al riesame delle singole situazioni, non certo alla possibile sostituzione. 3. Il ricorso appare fondato in parte qua, in ordine ad alcuni profili di cui al primo motivo, concernente le singole previsioni riguardanti l’area di proprietà, ammissibili in quanto contenuti nei limiti di sindacato sopra ricostruiti. 3.1 Innanzitutto, è fondata la censura dedotta in relazione al difetto di motivazione a fronte del mutamento restrittivo della destinazione pregressa, secondo il principio giurisprudenziale sopra richiamato. Le risposte formulate appaiono da un lato del tutto generiche, rinviando a considerazioni di carattere generale – insufficienti per le ragioni evidenziate in sede di inquadramento -, e dall’altro lato erroneamente fondate su prescrizioni di piani sovraordinati che, una volta esaminati, non confermano il generico rinvio (come nel caso del ptcp che, rispetto al paventato verde strutturato del puc, qualifica l’area come struttura urbana qualificata). Ciò che manca è la necessaria e dovuta valutazione urbanistica in ordine al mutamento della disciplina previgente in relazione all’area in questione; in proposito, la qualificazione di verde strutturato non viene dimostrata né vengono in concreto analizzati e valutati gli elementi forniti dal privato. Invero, se le generiche risposte potrebbero in astratto adeguarsi ad una pianificazione di livello tradizionale, del tutto insufficienti ed illogiche appaiono a fronte di previsioni di dettaglio del puc nonché rispetto ad una conseguente doverosa attenta analisi delle caratteristiche del territorio disciplinato. 3.2 In secondo luogo, trova analogo fondamento nel principio già richiamato e posto a conclusione del predetto inquadramento la connessa (alla precedente) censura dedotta in termini di errore di fatto e travisamento in ordine allo stato dei luoghi, con conseguente difetto di motivazione sopra evidenziato. Al riguardo, se per un verso assume rilievo preminente l’analisi del ptcp (che parla di struttura urbana qualificata) e della documentazione, anche fotografica, prodotta da parte ricorrente circa l’effettivo stato dell’area in questione e la difficoltà evidente nel ritenere ivi sussistenti i presupposti per l’invocata qualificazione di verde strutturato, invero assente, per un altro verso, ai fini del presente giudizio di legittimità rileva ancor di più la assoluta genericità della risposta alle osservazioni presentate ed il palese difetto di istruttoria rispetto agli elementi di fatto prospettati da parte odierna ricorrente in sede procedimentale e non sufficientemente valutati – almeno secondo quanto emerso dagli atti del procedimento, non potendo le difese giudiziali integrare la motivazione degli atti impugnati per principio consolidato. In dettaglio, come già evidenziato, neppure l’analisi delle norme di piano sovraordinate – approfondita nella presente sede dalle rispettive difese - conforta le generiche considerazioni svolte in risposta alle osservazioni e poste a base della qualificazione: il ptcp parla di struttura urbana qualificata mentre il piano provinciale contiene valutazioni generali rispetto alle quali spetta al pianificatore urbanistico trovare una logica determinazione, assente nel caso de quo per le considerazioni che seguono. 3.3 Infatti, in terzo luogo, oltre che a conferma del lamentato travisamento, sussiste anche la manifesta illogicità della previsione dell’area in questione, laddove la stessa ammette l’ampliamento volumetrico dell’esistente (nella misura del venti per cento) vietando invece qualsiasi nuova costruzione. In proposito, già in astratto (in termini cioè pienamente consoni ad un livello pianificatorio quale quello impugnato) l’ampliamento di un quinto può essere foriero di maggior consumo del suolo anche rispetto ad una nuova costruzione; cosicchè, se il fine connesso alla qualifica di verde strutturato era quello di vietare e limitare il consumo del suolo, la previsione è irragionevole, in quanto o si vieta tutto o si consente un volume predefinito entro i termini in cui si ritiene “consumabile” un’area di verde strutturato. L’irragionevolezza per disparità di trattamento fra chi ha già un volume e chi no appare fondata, in specie a fronte delle dichiarate finalità perseguite dalla previsione contestata di evitare consumo di suolo stante il carattere dell’area di verde strutturato.   T.A.R. Liguria, Sez. I, 8 novembre 2016, n. 1095 - 4. Il primo profilo di carattere generale che l’interessata allega riguarda l’inidoneità del piano regolatore ad incidere sulla situazione giuridica di un soggetto che svolge un’attività economica su un fondo determinato; la tesi è nel senso che solo l’espropriazione del compendio può comportare la cessazione coattiva di un’attività svolta, mentre le norme del piano in sé sono inidonee a conseguire tale effetto. Il tribunale non condivide tale assunto, posto che la potestà pianificatoria che le leggi nazionali e regionali hanno attribuito al comune ed agli altri enti locali individuati mira a far collimare l’interesse della collettività con il più corretto utilizzo del territorio. Questo può essere ritenuto convenientemente conformato in un determinato momento storico, cosa che può invece risultare non più rispondente all’esigenze pubbliche in una diversa epoca. Nel caso in questione i grandi serbatoi di che si tratta conobbero un importante sviluppo soprattutto nel secondo dopoguerra, quando l’economia fondò l’espansione registrata sull’abbondante ed allora poco costosa disponibilità degli idrocarburi intesi come fonte di energia primaria, sì che apparve strategico poter disporre degli importanti magazzini di stoccaggio da collegare agli oleodotti che dall’entroterra genovese raggiungono il nord-ovest dell’Italia. E’ un dato di fatto che, nell’epoca indicata, la comunità mirò soprattutto al miglioramento delle condizioni di vita, e ripose scarsa attenzione al profilo ambientale dell’insediamento. 5. Si legge negli atti allegati che, in epoca successiva, si è verificata una notevole edificazione nelle aree prossime ai fondi di proprietà Sigemi, sì che la popolazione ha da tempo chiesto la ricollocazione delle importanti strutture di proprietà dell’interessata. 6. La ricorrente contesta che la volontà popolare possa portare a frapporre ostacoli ad un’attività industriale insediata con lo strumento della pianificazione, ma il tribunale deve disattendere detta opinione osservando che la collocazione della relativa potestà in capo all’organo da sempre elettivo del comune lascia intendere che il legislatore ha attribuito un notevole rilievo alla volontà popolare nella confezione degli atti di conformazione del territorio. Tuttavia tale potestà non può essere intesa come svincolata dalle esigenze degli abitanti in altre zone del comune (coerenza interna dello strumento) o di quelle di coloro che vivono ed operano in altre zone della regione o dell’Italia: queste ultime istanze devono infatti trovare considerazione nelle opportune sedi conferenziali o di approvazione dello strumento. 7. Tanto premesso, la successiva questione che si pone riguarda l’individuazione della latitudine della potestà in tale ambito, posto che la redazione di uno strumento urbanistico implica ordinariamente l’introduzione di norme conformative e di altre che prevedono divieti. Queste ultime possono essere immediatamente operative, nel senso che una sopravvenuta esigenza ad esempio ambientale può portare all’inibizione allo svolgimento di un’attività produttiva, ove la stessa non risulti più compatibile con i risultati che il consiglio comunale può aver tratto dall’istruttoria preliminare all’adozione ed all’approvazione del piano. 8. La possibilità di imporre un’attività positiva al privato volta alla modificazione dell’utilizzo del territorio in corso è da considerare con maggiore delicatezza: l’estensione del diritto dominicale è infatti notevole, e le pur rilevanti norme (ad esempio artt. 41 segg cost.) che ne limitano la latitudine non prevedono che si possa comprimere il contenuto del diritto sino all’imposizione di un’attività modificativa spesso assai onerosa. 9. Poste tali nozioni di carattere generale che inducono peraltro a disattendere i contenuti del primo motivo, si osserva che la vicenda della riallocazione dei serbatoi di idrocarburi di che si tratta è da tempo all’attenzione delle amministrazioni e della cittadinanza genovese, nonché di coloro che operano sul territorio del comune. Risulta infatti (doc. 2 delle produzioni della p.a.) che il 31.7.1997 venne stipulato un protocollo d’intesa tra la regione Liguria, il comune di Genova, i rappresentanti dei sindacati dei lavoratori e numerosi operatori del settore petrolifero, tra cui le due società danti causa dell’odierna ricorrente. Nel corpo della convenzione che venne sottoscritta risulta infatti specificato che “… Comune di Genova e Regione Liguria prendono atto dell’avvio del progetto di costituzione di un’unica società (SIGeMi) alla quale Colisa e Continentale Italiana conferiranno ciascuna quella parte dei propri impianti che risulterà strettamente necessaria al funzionamento del nuovo sistema logistico integrato… omissis … considerato che nell’ambito di tale processo di integrazione e razionalizzazione la società Continentale Italiana prevede investimenti sull’area di S. Quirico, … si conviene fra le parti di definire in quindici anni il periodo di permanenza dell’impianto anche in considerazione del fatto che il Piano Regolatore Generale destina quest’area alla realizzazione del futuro ospedale di vallata…” 10. La difesa del comune attribuisce un notevole rilievo alle pattuizioni contenute nelle proposizioni riportate, mentre la ricorrente ne allega la sopravvenuta inefficacia, in quanto l’amministrazione e taluna delle altre parti contraenti si sarebbe sottratta al doveroso adempimento delle convenzioni stipulate, non sarebbe più attuale la realizzazione nel sito del previsto ospedale e non sarebbe mai stato sottoscritto l’accordo di programma che era prefigurato dal punto 5 (cinque) della convenzione. Il comune allega per ciò che la ricorrente non avrebbe interesse alla deduzione di molte delle censure proposte, proprio in considerazione del tenore delle obbligazioni che questa assunse nella ricordata sede. 11. Il collegio nota che la regione Liguria ha ormai previsto di realizzare altrove l’ospedale della val Polcevera, ma che l’originario intendimento in tal senso non era decisivo ai fini delle norma del piano, posto che la prima esigenza perseguita riguardava la riqualificazione ambientale del sito. Oltre a ciò parte ricorrente ha soltanto allegato ma non comprovato quali sarebbero le obbligazioni che sarebbe restate inadempiute dalle controparti delle convenzione. Infine il termine così fissato era stato accettato dalle danti causa della ricorrente, sì che esso le è opponibile, ma esso va inserito nell’ambito della pianificazione generale ed in quella di dettaglio, la cui approvazione richiede tempi dilatati. 12. Il tribunale rileva infatti che la conformazione che la norma ha dato all’area di proprietà ricorrente comporta l’applicazione dell’art. 29 della legge regione Liguria 4.9.1997, n. 36, che individua il distretto di trasformazione come riferito a quelle “… parti di territorio comunale, anche tra loro non contigue, purché funzionalmente connesse, per le quali il PUC prevede una trasformazione urbanistica che comporta un sistema complesso di interventi destinati ad innovare in modo sostanziale l'assetto fisico e funzionale del distretto…”: l’attuazione della previsione è demandata ad un PUO (art. 51 della legge citata), la cui approvazione è circondata dalle cautele previste dalla disposizione ora menzionata e da quelle successive, configurandosi come un vero e proprio strumento di dettaglio. A loro volta le norme sul distretto di trasformazione sono seguite da quelle di più recente introduzione (arrt. 29 bis e seguenti) che riguardano la cosiddetta urbanistica convenzionale o premiale, su cui la corte costituzionale si è già pronunciata ad esempio con le sentenze 179/1999 e 67/2016. 13. Ne deriva, che ferma l’attualità dell’interesse della parte alla proposizione del ricorso volto all’annullamento di una disposizione oggettivamente lesiva, l’illegittimità delle norme generali del PUC qui contestate non risulta apprezzabile, atteso che il comune ha titolo a pretendere che l’area in questione sia liberata dai serbatoi ormai incongrui dal punto di vista ambientale (il principale pericolo che essi comportano è quello delle sversamento degli idrocarburi nel terreno e poi verso il torrente sino al mare). Tuttavia in sede di approvazione delle norme concretamente attuative del PUC sarà onere della parte pubblica individuare le diverse situazioni in cui la ricorrente potrà ricollocare i depositi, che risultano essere stati già ridotti nella loro ampiezza in attuazione della ricordata convenzione 31.7.1997. Nella sede di dettaglio andrà altresì considerata la possibilità di collegare i nuovi serbatoi agli oleodotti che servono altri depositi o raffinerie, sì che non si interrompa la fornitura degli idrocarburi alle zone oggi servite dagli impianti esistenti.   T.A.R. Liguria, Sez. I, 8 novembre 2016, n. 1097 - 2. L’interessata deduce innanzitutto la carenza del potere regionale a determinarsi nel senso indicato, e tale censura è articolata in numerosi profili. 3. Il collegio osserva innanzitutto che la normativa statale (art. 6 del d.lvo 114 del 1998) ha attribuito una penetrante funzione regionale nella pianificazione del territorio quanto alle grandi strutture di vendita: la ragione di ciò è intuitiva, posto che tali esercizi non servono soltanto gli abitanti di un comune, sia esso piccolo o di grandi dimensioni come Genova, ma si propongono di attrarre la clientela da altri territori, sì che sarebbe oggettivamente riduttiva la previsione che lascia in capo al solo comune la potestà di allocare tali strutture. Anche la norma introdotta dall’art. 9 comma 5 del citato decreto legislativo è significativa al riguardo, posto che l’ente titolare del potere deve anche prevedere le forme procedimentali con cui darà corso all’istruttoria sulle istanze ricevute. Per parte sua la regione Liguria ha introdotto le disposizioni di cui alla legge 2.1.2007, n. 1 che (art. 3) prevedono la potestà regionale in materia di pianificazione degli insediamenti commerciali, così da renderli più favorevoli per la cittadinanza e compatibili con le disposizioni costituzionali e comunitarie sulla libertà di commercio e l’incremento della concorrenza. E’ intervenuta poi la deliberazione consiliare 17.12.2012, n. 31 con cui sono state dettate le norme regolamentari per il commercio in sede fissa, attesa l’intervenuta introduzione dei principi di maggiore libertà commerciale (direttiva 2006/123/CE) che avevano trovato accoglimento proprio nella legge regionale 2007, n. 1. Tutti questi atti di diversa forza normativa chiariscono quanto sia incisiva la potestà attribuita all’amministrazione regionale nella localizzazione delle grandi strutture di vendita, sì che le censure dedotte sul punto non possono trovare favorevole considerazione. 4. La doglianza viene successivamente precisata rilevando che dal punto di vista urbanistico non sussiste alcun potere regionale di vietare l’installazione di una grande struttura di vendita; la qualificazione come urbanistica del potere regionale e comunale esercitato in concreto deriva dalla ragione dell’intervenuta esclusione del fondo in questione dalla possibilità di ospitare il grande magazzino in previsione. L’assunto è nel senso che l’orientamento legislativo dipanatosi nel dopoguerra ha assunto un sempre più marcato rilievo autonomistico, che ha comportato il venir meno delle potestà regionali di controllo sui piani urbanistici: una diversa prospettiva interpretativa si porrebbe oltretutto in contrasto con l’art. 5 cost, dal che l’eccezione di illegittimità sollevata. In Liguria è avvenuto che l’originaria stesura della legge urbanistica (legge 4.9.1997, n. 36) prevedeva con gli abrogati articoli 38 e 40 le modalità con cui il comune esercitava le funzioni necessarie per completare il procedimento di approvazione del PUC, e tale norma implicava soltanto l’interlocuzione con la provincia. Le note vicende sull’esistenza e le potestà dell’ente di area vasta hanno indotto la regione ad approvare la legge regionale 24.4.2015, n. 11 che contiene l’art. 43 che ha novellato il previgente art. 38, ripristinando con ciò la funzione regionale di maggior controllo sull’operato comunale. Tale attività sarebbe illegittima, in quanto l’art. 79 della legge regionale 24.4.2015, n. 11 ha previsto l’ultrattività delle norme previgenti per tutti i procedimenti che, come quello in esame, erano iniziati prima dell’entrata in vigore della norma in questione. La censura dedotta in tal senso è corretta, ma il collegio rileva che anche a tale stregua appare difficile contestare la potestà regionale (un tempo provinciale) di sollecitare il comune al controllo del profilo idrogeologico che ha indotto l’amministrazione civica allo stralcio del progetto; il fondo risulta infatti interessato dallo scorrimento delle acque segnalate dal piano di bacino (tre sarebbero i torrenti che lo attraversano) sì che non appare destituita di fondamento la preoccupazione espressa dalla regione ed accolta dal comune, anche se solo al fine di concludere l’annoso procedimento approvativo dello strumento. A diversa conclusione non può indurre l’ulteriore censura che sottolinea la pregnanza del profilo urbanistico in rassegna, posto che da tempo la giurisprudenza ha attribuito ai piani comunali anche una valenza ambientale La censura è pertanto infondata e va disattesa. 5. Con il successivo motivo si denuncia l’illegittima discriminazione che avrebbe indotto la regione ad opporsi all’insediamento della ricorrente, in quanto il piano di bacino sarebbe stato travisato e comunque la potestà dell’ente in materia di pianificazione degli insediamenti commerciali non si estenderebbe al profilo idrogeologico. Il tribunale osserva che anche a voler acconsentire alle osservazioni riportate non è eludibile il rilievo rivestito nel settore della pianificazione del territorio dal profilo della salvaguardia dello scorrimento delle acque: è un dato di comune esperienza (art. 115 comma 2 cod. proc. civ) che la Liguria è costituita da un territorio soggetto a ricorrenti e pericolose alluvioni, sì che tale aspetto della pianificazione deve essere tenuto accuratamente in considerazione. Ne deriva che sono irrilevanti le censure con cui si osserva che la citata DCR 2012/31 non prevede che la regione sollevi questioni di tipo idrogeologico in sede di pianificazione commerciale, sì che la censura è complessivamente infondata e va disattesa.

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