Salta al contenuto principale
T.A.R. Liguria, Sez. I, 4 novembre 2014, n. 1539 - La sezione ha inoltre rilevato che un intervento edilizio, anche se assentito ai sensi dell'art. 6, l. n. 49 del 2009 (cd. Piano casa), consistente nella demolizione e successiva ricostruzione con diversa sagoma e diversa volumetria, integra gli estremi della nuova costruzione e non della ristrutturazione mediante demolizione e successiva ricostruzione, e ciò a prescindere dall'espressa qualificazione normativa in termini di sostituzione edilizia (Tar Liguria, I, 27 giugno 2013 n.966). Ne consegue che, una volta correttamente considerato l’intervento di demolizione ricostruzione ai sensi dell’art. 6 l.r. 49/09 in termini di nuova costruzione risulta evidente l’inapplicabilità della disciplina premiale ammessa dall’art. 12 del prg. di Riva Ligure e della relativa variante, esclusivamente per gli interventi edilizi minori. Detto in altri termini se normalmente gli strumenti urbanistici riconoscono la possibilità di aumento della volumetria ciò fanno esclusivamente con riferimento alla ristrutturazione mentre tale possibilità viene esclusa nel caso della nuova costruzione. Pertanto una volta assodato che gli interventi di demolizione e ricostruzione previsti dalla l.r. 49/09 per la loro natura premiale fuoriescono dall’ambito della ristrutturazione per essere ricompresi in quello della nuova costruzione, appare evidente l’inapplicabilità della disciplina sugli aumenti di volumetria prevista dal prg in relazione agli interventi di ristrutturazione.   T.A.R. Liguria, Sez. I, 9 luglio 2014, n. 1092 - "Ad avviso del Collegio dal complesso normativo recato dalla legge regionale n. 49/09 si evince come i benefici dalla stessa riconosciuti non possano essere accordati agli ampliamenti abusivamente realizzati anche se tali ampliamenti siano stati realizzati successivamente all'entra in vigore della legga. La legge prevede all'art. 5 che "gli ampliamenti previsti dagli articoli 3 e 4 non si applicano nei confronti degli edifici od unità immobiliari: a) abusivi, in quanto realizzati in assenza di titolo edilizio od in difformità da esso, con esclusione delle difformità non aventi ad oggetto i volumi o le superfici". Nel caso di specie, peraltro, il problema è quello dell'applicabilità del meccanismo premiale della legge ad ampliamenti abusivi di immobili regolarmente assentiti. In questo caso, infatti, non è abusivo l'immobile che si amplia ma solo l'ampliamento stesso. Il Collegio è dell'avviso che a tali ampliamenti non siano applicabili i benefici del cd. piano casa. La norma in questione, infatti, non costituisce una deroga generalizzata alla disciplina urbanistica vigente che resta comunque in vigore. La norma consente soltanto la possibilità di fruire dell'ampliamento, in deroga alla disciplina edilizia o urbanistica, qualora l'ampliamento sia finalizzato a migliorare la funzionalità o la qualità architettonica dell'edificio. Pertanto, solo in seguito al positivo accertamento della sussistenza dei requisiti previsti dalla norma, il rilascio del titolo può avvenire in deroga alla disciplina legislativa. Tutto ciò ovviamente non può avvenire a sanatoria posto che fino a quando non è intervenuto il titolo edilizio gli ampliamenti in deroga alla disciplina edilizia e urbanistica vigente devono qualifiicarsi come abusivi e come tali non possono essere sanati, difettando il requisito della doppia conformità previsto dall'art. 36 del d.p.r. 380/01. Altrimenti detto è il rilascio del titolo che legittima la deroga alla disciplina edilizia mentre fino al rilascio del titolo la realizzazione dell'ampliamento è da ritenersi illegittima".       Corte Costituzionale 13 marzo 2014, n. 46 - La legge reg. Sardegna n. 4 del 2009 costituisce attuazione dell’intesa sul cosiddetto «piano casa», raggiunta tra Stato, Regioni ed enti locali in sede di Conferenza unificata il 31 marzo 2009 e formalmente sancita con deliberazione della medesima Conferenza del 1° aprile 2009: intesa promossa dal Governo, con la dichiarata finalità di rilancio dell’economia, tramite la ripresa dell’attività edilizia, quale misura per far fronte alla situazione di crisi. Oggetto dell’intesa era l’impegno delle Regioni ad approvare, entro novanta giorni, proprie leggi – con «validità temporalmente definita, comunque non superiore a 18 mesi» – le quali consentissero: a) incrementi, entro il venti per cento della volumetria esistente, di edifici residenziali uni o bifamiliari o comunque di volumetria non superiore ai mille metri cubi; b) interventi straordinari di demolizione e ricostruzione di edifici a destinazione residenziale, con ampliamento entro il limite del trentacinque per cento della volumetria esistente (venendo, peraltro, espressamente esclusa la possibilità di operare su «edifici abusivi o nei centri storici o in aree di inedificabilità assoluta»). Le Regioni si sono impegnate, per altro verso, ad introdurre «forme semplificate e celeri per l’attuazione» delle opere di cui si discute. Sono state fatte salve, in ogni caso, sia l’«autonomia legislativa regionale» nel promuovere ulteriori forme di incentivazione volumetrica e diverse tipologie di intervento e nel definire gli ambiti nei quali gli interventi sono esclusi o limitati; sia – e più in generale – «ogni prerogativa costituzionale delle regioni a statuto speciale e delle province autonome». 6.– Le Regioni hanno dato attuazione all’intesa, munendosi di proprie leggi sul «piano casa», recanti discipline piuttosto variegate quanto all’ampiezza e alle modalità degli interventi consentiti. La larga maggioranza delle leggi regionali ha d’altro canto previsto, con diverse formule, che gli interventi di ampliamento possano essere realizzati anche in deroga alle prescrizioni degli strumenti urbanistici localmente vigenti, e particolarmente di quelle relative ai limiti volumetrici. Nella medesima direzione si è mossa anche la Regione Sardegna, con la citata legge n. 4 del 2009. Per quanto qui interessa, l’art. 2 di detta legge – norma oggi impugnata – consente, al comma 1, «anche mediante il superamento degli indici massimi di edificabilità previsti dagli strumenti urbanistici ed in deroga alle vigenti disposizioni normative regionali, l’adeguamento e l’incremento volumetrico dei fabbricati ad uso residenziale, di quelli destinati a servizi connessi alla residenza e di quelli relativi ad attività produttive, nella misura massima, per ciascuna unità immobiliare, del 20 per cento della volumetria esistente» (intendendosi per volumetria esistente «quella realizzata alla data del 31 marzo 2009»). Il comma 2 dello stesso art. 2 – dopo aver richiesto, in via generale, che gli adeguamenti ed incrementi si inseriscano «in modo organico e coerente con i caratteri formali e architettonici del fabbricato esistente» e che costituiscano «strumento per la riqualificazione dello stesso» – diversifica le possibili modalità dell’intervento a seconda della tipologia del fabbricato (uni o bifamiliare, sottotetto, singolo piano, ecc.). Nei successivi commi dell’art. 2 sono indicati, altresì, i casi nei quali l’incremento consentito della volumetria è aumentato (commi 3 e 8), ovvero diminuito (commi 4 e 5). Gli interventi in questione (al pari di quelli previsti, per determinate categorie di immobili, dagli artt. 3, 4 e 6 della legge in questione) non possono comunque avere ad oggetto edifici abusivi o immobili di particolare interesse (artistico, storico, archeologico, ecc.: art. 8, comma 1). Fatta eccezione per talune ipotesi, gli interventi «sono assoggettati alla procedura di denuncia di inizio attività», da avviare entro diciotto mesi dall’entrata in vigore della legge (art. 10, commi 3 e 4; termine peraltro prorogato da leggi successive). 7.– Ciò premesso, deve escludersi che la norma censurata violi gli artt. 117 Cost. e 3, primo comma, dello Statuto speciale della Regione Sardegna, in ragione del suo asserito contrasto con il «sistema della pianificazione», che assegna in modo preminente ai Comuni, quali enti locali più vicini al territorio, la valutazione generale degli interessi coinvolti nell’attività urbanistica ed edilizia. L’art. 117 Cost. – il cui terzo comma attribuisce alle Regioni potestà legislativa concorrente in materia di «governo del territorio» – è parametro, per questo verso, inconferente alla luce della “clausola di maggior favore” dettata dall’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione). L’art. 3, primo comma, lettera f), dello statuto riconosce, infatti, alla Regione Sardegna una autonomia più ampia di quella risultante dalla norma costituzionale generale, attribuendole potestà legislativa primaria, ossia piena, nella materia dell’«edilizia ed urbanistica», entro la quale si colloca la norma censurata. Quanto, poi, al parametro statutario, anche riconoscendo che il «sistema della pianificazione» – evocato, peraltro, dal rimettente in modo del tutto generico, senza alcun riferimento alle relative fonti normative – assurga a «principio dell’ordinamento giuridico della Repubblica» e ad espressione degli «interessi nazionali», limitando perciò l’esplicazione della competenza legislativa regionale di cui discute, è dirimente il rilievo che il principio in questione non potrebbe ritenersi così assoluto e stringente da impedire alla legge regionale – che è fonte normativa primaria, sovraordinata rispetto agli strumenti urbanistici locali – di prevedere interventi in deroga quantitativamente, qualitativamente e temporalmente circoscritti, come quelli di cui si discute. Al riguardo, deve infatti escludersi che la norma censurata assuma una vera e propria valenza “eversiva” del «sistema di pianificazione», così come sostiene il rimettente. Gli incrementi volumetrici, in deroga agli indici massimi di edificabilità previsti dagli strumenti urbanistici, sono infatti da essa consentiti – in via straordinaria e temporanea e con modalità specifiche, diverse a seconda delle tipologie di fabbricati – solo su edifici già esistenti e che si presuppongono conformi alle predette previsioni urbanistiche (essendo espressamente esclusi, come detto, gli edifici abusivi), nonché alla condizione – verificabile dai competenti organi comunali ai fini dell’eventuale esercizio del potere inibitorio delle opere dopo la presentazione della DIA – che gli incrementi stessi «si inseriscano in modo organico e coerente con i caratteri architettonici del fabbricato esistente» e costituiscano «strumento per la riqualificazione dello stesso in relazione alla tipologia edilizia interessata». Specifiche ipotesi di interventi edilizi in deroga agli strumenti urbanistici sono state e sono, del resto, previste da numerose norme regionali – tanto di Regioni ordinarie che a statuto speciale – anche per finalità diverse dall’attuazione dell’intesa sul «piano casa» (quali, ad esempio, il recupero a fini abitativi dei sottotetti esistenti o il sostegno a soggetti portatori di handicap): norme che questa Corte ha ritenuto censurabili non in assoluto, ma ove la deroga investa profili evocativi di specifici titoli di competenza legislativa esclusiva dello Stato, quale, in particolare, la disciplina delle distanze tra i fabbricati posta dal decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, rientrante nella materia dell’«ordinamento civile» (al riguardo, ordinanza n. 173 del 2011). Ipotesi, questa, non riscontrabile – né dedotta – nel caso in esame. 8.– Considerazioni analoghe valgono anche ad escludere la configurabilità della denunciata violazione degli artt. 117, sesto comma, ultimo periodo, e 118 Cost., per avere la norma censurata «esautorato» i Comuni delle loro competenze in tema di pianificazione urbanistica: materia qualificabile, in assunto, come «funzione fondamentale» dei Comuni stessi e, in quanto tale, oggetto di legislazione esclusiva dello Stato (ai sensi della lettera p dell’art. 117, secondo comma, Cost.). A prescindere da ogni altro rilievo – e, in particolare, dalla circostanza, trascurata dal rimettente, che lo statuto di autonomia riconosce alla Regione Sardegna potestà legislativa primaria, non solo in materia di «edilizia ed urbanistica», ma anche di «ordinamento degli enti locali» (art. 3, lettera b) e stabilisce, altresì, il principio del parallelismo tra funzioni legislative e funzioni amministrative (art. 6) – non si può comunque addebitare alla norma denunciata, così come ritiene il giudice a quo, di aver “svuotato” le funzioni comunali in tema di pianificazione urbanistica, posto che essa si limita a consentire ampliamenti volumetrici di edifici esistenti ad una certa data in deroga agli indici massimi di fabbricabilità, collegati a specifici presupposti e circoscritti in limiti ben determinati. 9.– Insussistente è anche la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., connessa, secondo il rimettente, al fatto che la norma denunciata consentirebbe deroghe alla pianificazione comunale anche in assenza della valutazione ambientale strategica (VAS), richiesta dalla direttiva n. 2001/42/CE, recepita con il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale). Analogamente a quanto già rilevato da questa Corte in ipotesi similari, si deve in effetti escludere che la disposizione censurata eluda la disciplina considerata. Essa regola, infatti, soltanto i profili urbanistici degli interventi di ampliamento, senza recare alcuna clausola di esclusione dell’applicabilità della normativa sulla VAS: normativa che, d’altra parte, essendo di portata generale, trova applicazione nei casi da essa previsti senza necessità di uno specifico richiamo (sentenza n. 168 del 2010, con riferimento alla valutazione di impatto ambientale; con riguardo alla VAS, sentenza n. 251 del 2013). 10.– Parimenti infondata è la censura di violazione della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia penale (artt. 25 e 117 Cost.), per avere la norma denunciata reso lecita in Sardegna una condotta (l’edificazione in contrasto con gli strumenti urbanistici) che, in base all’art. 44, comma 1, lettera a), del d.P.R. n. 380 del 2001, dovrebbe rimanere invece soggetta a pena. Questa Corte ha infatti riconosciuto che la legislazione regionale – pur non potendo costituire fonte diretta e autonoma di norme penali, né nel senso di introdurre nuove incriminazioni, né in quello di rendere lecita un’attività penalmente sanzionata dall’ordinamento nazionale (a quest’ultimo riguardo, ex plurimis, sentenze n. 185 del 2004, n. 504, n. 213 e n. 14 del 1991) – può, tuttavia, «concorrere a precisare, secundum legem, i presupposti di applicazione di norme penali statali», svolgendo, in pratica, «funzioni analoghe a quelle che sono in grado di svolgere fonti secondarie statali»: ciò, particolarmente quando la legge statale «subordini effetti incriminatori o decriminalizzanti ad atti amministrativi (o legislativi) regionali» (il riferimento è, in particolare, alle cosiddette norme penali in bianco: sentenze n. 63 del 2012 e n. 487 del 1989). Nella specie, è pacifico che il citato art. 44, comma 1, lettera a), del d.P.R. n. 380 del 2001 – che punisce con l’ammenda fino a 20.658 euro le trasformazioni del territorio operate in violazione di norme, prescrizioni e modalità esecutive previste dal Titolo IV dello stesso decreto, nonché dai regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dal permesso di costruire – configuri una norma penale in bianco. Essa rinvia, infatti, ad una serie di altre fonti normative, primarie e secondarie, e ad atti amministrativi per l’individuazione dei precetti penalmente sanzionati. 11.– Per quanto riguarda, infine, le censure concernenti la lesione del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) – escluso che possa ravvisarsi il profilo di inammissibilità per genericità eccepito dalla Regione – è sufficiente osservare che si tratta di doglianze meramente “ancillari” rispetto a quelle prospettate in riferimento agli altri parametri, precedentemente esaminate, delle quali condividono pertanto la sorte. È evidente, in particolare, che la denunciata diversità di regime tra il territorio sardo e altre parti d’Italia (fermo restando, peraltro, che la larga maggioranza delle altre Regioni ha adottato una disciplina più o meno analoga a quella censurata in tema di «piano casa») in tanto potrebbe integrare, ex se, una violazione dell’art. 3 Cost., in quanto si neghi la spettanza alla Regione del potere di incidere, con proprie norme, sulla materia considerata. è fisiologicamente connaturata allo stesso principio regionalistico, la possibilità di regimi differenziati della stessa fattispecie tra Regione e Regione, giustificando così sia la specifica regolamentazione della pianificazione nella Regione Sardegna, sia il compimento di attività edilizie contrastanti con gli strumenti urbanistici, penalmente sanzionate in altre Regioni.

Contattaci

Dove siamo

Via Corsica, 10/4, 16128 Genova

Telefono e Fax

Tel: 010 5701414

Fax: 010 541355