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T.A.R. Liguria, Sez. I, 1 febbraio 2019, n. 89 - Con il primo motivo dello stesso ricorso, l’esponente sostiene che i contenuti della contestata variante eccederebbero i margini di flessibilità del PUC e i limiti della procedura di aggiornamento di cui all’art. 43 della legge urbanistica regionale (l.r. Liguria 4 settembre 1997, n. 36), sicché la sua approvazione avrebbe richiesto l’espletamento della procedura disciplinata dall’art. 44 della stessa legge, comportante il coinvolgimento della Regione Liguria che, invece, non è stata convocata alla conferenza di servizi. Gli elementi che giustificano la proposta qualificazione della variante sarebbero molteplici: il radicale abbandono del precedente modello architettonico–urbanistico, l’introduzione di una funzione commerciale (media struttura di vendita) prima vietata, l’incremento del carico insediativo, la modifica del perimetro dello strumento attuativo, l’eliminazione dell’obbligo di realizzare un nuovo adeguato assetto stradale di contorno e il posizionamento di aree a standard all’esterno del perimetro di PUO. La censura è fondata. Si osserva, innanzitutto, che la l.r. Liguria n. 36 del 1997 consente allo strumento urbanistico comunale di dettare prescrizioni dotate di margini di flessibilità le quali implicano la sottrazione di un ampio numero di fattispecie alle ordinarie procedure di variante. I margini di flessibilità sono costituiti da indicazioni alternative di elementi determinati che, nei distretti di trasformazione, non comprendono la “definizione del perimetro del distretto” (cfr. art. 43, comma 1, secondo periodo, l.r. n. 36/1997). Nel caso in esame, il perimetro del PUO risulta modificato rispetto al perimetro indicato dal PUC, sicché esorbita dai margini di flessibilità definiti dalle norme dello strumento urbanistico comunale. Occorre verificare, quindi, se la contestata variante possa essere ricondotta alla disciplina dettata dall’art. 43 della legge urbanistica regionale in tema di varianti di aggiornamento. Tale tipologia si differenzia dalle varianti sostanziali ex art. 44 in ragione dell’incidenza sulla struttura portante dello strumento urbanistico generale, atteso che l’aggiornamento non incide sulla descrizione fondativa e sugli obiettivi del PUC (cfr. art. 43, comma 3, l.r. n. 36/1997). Come accennato nelle premesse, il PUC di Ventimiglia prevedeva due distretti di trasformazione da attuarsi mediante una distribuzione uniforme di funzioni residenziali e commerciali atta a replicare l’impianto urbanistico della “città bassa”. Il PUO contraddice gli obiettivi di trasformazione indicati dal PUC in quanto prevede, di fatto, l’accorpamento dei due distretti e la concentrazione della funzione residenziale nel solo sub-ambito “DT5a1”, dove tale funzione era ammessa nella misura massima del 50% ed esclusa dai locali posti al piano terreno. Quanto al sub-ambito “DT5a2”, la prevista realizzazione di un fabbricato a due piani, futura sede di una media struttura di vendita, si pone in palese contrasto con il modello dei quartieri ottocenteschi indicato dalle schede di PUC che, come reso evidente dalla documentazione fotografica facente parte della relazione dell’arch. Sibilla, era caratterizzato da fronti continui di palazzi, paralleli agli assi viari e composti da almeno quattro piani fuori terra. Occorre ancora rilevare come, a prescindere dall’acclarata incoerenza con gli obiettivi del PUC, la contestata variante non sarebbe comunque riconducibile all’ipotesi di cui all’art. 43, comma 3, lett. c), della l.r. n. 36/1997, secondo cui costituiscono aggiornamento le modifiche riguardanti “la disciplina urbanistico-edilizia degli ambiti di conservazione, di riqualificazione, di completamento e dei distretti di trasformazione, nonché dei relativi perimetri, purché non comportanti l’individuazione di nuovi distretti e l’incremento del già previsto carico urbanistico complessivo”. Come già rilevato, infatti, si configura nella fattispecie la sostanziale individuazione di un nuovo maxi-distretto quale risultato dell’accorpamento di due distretti di trasformazione. Né rileva il fatto che il progetto definitivo del PUC, poi variato in accoglimento delle osservazioni dei privati, contemplasse un solo distretto “DT6”, poiché la portata e la natura della variante devono essere apprezzate in relazione all’assetto definitivo dello strumento urbanistico generale. Inoltre, nonostante l’invarianza della superficie complessivamente destinata al commercio, la variante comporta un obiettivo incremento del carico urbanistico complessivo, poiché l’insediamento di una media struttura di vendita nel secondo sub-ambito, in luogo di una pluralità di esercizi di vicinato, è idoneo ad attirare clientela proveniente da un più vasto bacino di utenza e, soprattutto, a determinare una maggiore durata media degli accessi. Risultano superati, pertanto, i limiti dell’aggiornamento del PUC ex art. 43 della legge urbanistica regionale. 6) I rilievi svolti al punto precedente comportano l’immediata diagnosi di fondatezza della censura dedotta con il secondo motivo. Infatti, ai sensi dell’art. 44, comma 1, l.r. n. 36/1997 e dell’art. 3, commi 1 e 2, l.r. n. 32/2012, le varianti (in senso proprio) al PUC che hanno per oggetto l’uso di piccole aree a livello locale e le modifiche minori degli atti di pianificazione territoriale sono assoggettate a verifica di assoggettabilità a VAS. L’art. 5, comma 1, della l.r. n. 32/2012, individua nella Regione l’autorità competente per la verifica di assoggettabilità, mentre il Comune è autorità competente nel caso di varianti (di aggiornamento) la cui approvazione sia attribuita alla competenza dello stesso Ente locale. Nel caso in esame, l’erronea qualificazione della variante urbanistica alla stregua di aggiornamento non sostanziale ha comportato la rimessione della procedura di screening ad un’autorità incompetente (il Comune di Ventimiglia anziché la Regione Liguria), sicché difetta un necessario presupposto di legittimità del provvedimento di approvazione della variante medesima.   T.A.R. Liguria, Sez. I, 2 luglio 2013, n. 982 - "Con il primo motivo di gravame parte ricorrente lamenta sotto diversi angoli visuali (violazione degli artt. 14 ss l. 241\1990, 104 d.lgs. 152\2006, 50 e 59 l. 36 cit., violazione del procedimento, difetto di istruttoria e di motivazione, errore sui presupposti, illogicità) l’approvazione di un puo ai sensi della normativa regionale sopra riportata nonostante le accertate, anche in sede di pareri acquisiti nel corso dell’iter, gravi carenze idrogeologiche e geotecniche. Rispetto alle controdeduzioni delle parti resistenti, per le quali il livello di verifica urbanistica non potrebbe essere dettagliato, lasciando la soluzione delle diverse questioni alla fase di rilascio del titolo, assumono rilievo dirimente due ordini di considerazioni. In primo luogo, da un punto di vista fattuale e documentale, dall’analisi della copiosa documentazione versata in atti emerge all’evidenza come la gran parte degli approfondimenti in ordine alla fattibilità idrogeologico e geotecnica degli interventi siano stati rimessi ad approfondimenti successivi. In proposito, ad esempio, va richiamata la statuizione della commissione richiamata – e fatta propria - nel fondamentale deliberato consiliare n. 2 \2012, in cui abdicando agli obblighi di cui all’art. 50 come sopra richiamato, si rinviano alla fase di rilascio del titolo edilizio gli approfondimenti necessari rispetto all’attuale documentazione, rinviando tra gli altri valutazioni generali e preliminari quali addirittura gli approfondimenti sulla natura geologica ed idrogeologica dei terreni con un congruo numero di sondaggi profondi. In sostanza, viene approvato un puo senza conoscere a sufficienza la natura geologica ed idrogeologica del terreno coinvolto, di cui son state evidenziate rilevanti criticità proprio sul punto. La stessa delibera consiliare, rendendosi conto presumibilmente delle carenze, specifica che “in conclusione le cautele, prescrizioni e richieste di attività fatte proprie dall’amministrazione costituiscono temi da risolvere che condizionano l’approvabilità o meno del progetto a scala edilizia..”. Invero, la contraddittorietà ed il difetto di istruttoria, specie alla luce del chiaro disposto normativo predetto, appaiono evidenti. In tale contesto, reputare che il principio già espresso dal Tribunale (sent 800 del 2005) sia garantito da un’approvazione sostanzialmente al buio, ovvero per relationem ad atti di parte senza approfondimenti istruttori circa le emerse criticità, appare operazione non condivisibile né perseguibile, pur nella consapevolezza delle finalità perseguite dalle amministrazioni nel complesso dell’operazione concernente il mantenimento e lo spostamento di una realtà produttiva di estremo rilievo. Il sindacato va mantenuto nei termini tradizionali: nel caso de quo, peraltro, non si tratta di optare tra la prospettazione tecnica di parte proponente l’intervento e quella di parte ricorrente, entrambe dettagliate, quanto piuttosto di prendere atto ed accertare l’illegittimo iter seguito dalle amministrazioni che, lungi dall’approfondire i numerosi e delicati punti controversi, hanno optato per un’approvazione con rinvio dei necessari approfondimenti. In secondo luogo, in termini di approfondimento delle indicazioni fornite dalla normativa invocata, se è pur vero che ci si trova a livello di piano attuativo e non ancora edilizio, è altrettanto vero che almeno la fattibilità idrogeologica deve essere garantita – nel logico disegno del legislatore - anteriormente all’approvazione (e non posteriormente e solo genericamente come nella specie), quantomeno nell’an, lasciando alla fase del titolo edilizio il quomodo delle soluzioni fra le diverse eventualmente possibili. Nel caso di specie si rinvia addirittura la verifica completa e definitiva circa l’an della stessa fattibilità. Così opinando perde di senso e si snatura la stessa fase dello strumento attuativo, specie laddove di carattere specifico e di rilevante impatto quantitativo e qualitativo quale quello di specie, oltre che in generale nel sistema delineato dalla legge regionale. Altrimenti opinando, portando alle necessarie conseguenze le tesi resistenti, gli strumenti procedimentali potrebbero dar luogo a stravolgimenti delle previsioni generali in variante, come nel caso de quo, con vincolo a valle non verificabile a livello di piano attuativo ma solo a livello edilizio. Ciò sarebbe illogico prima (ancora) che illegittimo, in violazione della norma predetta".   "In via generale, come detto la disciplina VAS ex art. 3 della direttiva invocata impone agli Stati membri di attuare ««piani e programmii» che possono avere effetti significativi sull'ambiente, sottoponendoli ad una valutazione ambientale. Tale obbligo discende in termini immediatament eprecettivi sulla scorta dei principi predetti e della normativa attuativa di cui al d.lgs. 152 del 2006, la quale va intesa in tali termini. Le eventuali diverse indicazioni di dettaglio – comprese quelle invocate dalle difese resistenti - vanno esaminate in termini restrittivi ovvero di disapplicazione per contrasto col principio. L'art. 3, comma 2 della direttiva aggiunge che ««fatto salvo il par. 3 viene effettuata una valutazione ambientale per tutti i piani e i programmi, che sono elaborati per i settori agricolo, forestale, della pesca, energetico, industriale, dei trasporti, della gestione dei rifiuti e delle acque, delle telecomunicazioni, turistico, della pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli, e che definiscono il quadro di riferimento per l'autorizzazione dei progetti elencati negli allegati I e II della direttiva [85/337/CEE], o per i quali, in considerazione dei possibili effetti sui siti, si ritiene necessaria una valutazione ai sensi degli articoli 6 o 7 della direttiva 92/43/CEEE».. Di conseguenza, gli Stati adempiono a tale obbligo (e non facoltà), ponendo in essere tutte quelle modalità organizzative opportune e apprestando le risorse necessarie, per realizzare l'obiettivo indicato. Completa tale adempimento la divulgazione dell'informazione ai cittadini, in modo chiaro e trasparente, che tale attività è esercitata mediante un atto vincolante, non facilmente modificabile, e in attuazione di quella precisa normativa di rango primario che trova applicazione. A propria volta il paragrafo 3 prevede la possibilità di esclusione per i piani che determinano l’uso di piccole aree, pur dovendo a priori scontare la determinazione del concetto di piccola area (e nel caso di specie rispetto al contesto interessato l’area è tutt’altro che piccola), unicamente in assenza di effetti significativi sull’ambiente; questi ultimi invece sono ampiamente presenti nel caso de quo, come emerso sin dall’origine a fronte delle diverse problematiche idrogeologice e geotecniche evidenziate e non adeguatamente approfondite. Con la sentenza della Corte di Giustizia, sopra richiamata, anche lo strumento programmatico del ««piano regolatore particolareggiatoo» (esaminato nell'ordinamento belga), può integrare la nozione di ««piano e programmaa» ricompreso nell'art. 2, tale da essere sottoposto obbligatoriamente alle norme relative alla valutazione ambientale strategica. L'occasione della pronuncia pregiudiziale afferente allo strumento urbanistico belga, attrae l'attenzione di tutti gli ordinamenti statali, compreso il nostro che utilizza metodologie programmatiche similari. Infatti, come evidenziato in dottrina, nell'ordinamento belga, (preso di riferimento nella sentenza in commento), il Code Bruxellois de l'Aménagement du Territoire, modificato dalla legge del 2009 menziona tra le varie categorie di piani: il piano di sviluppo regionale; il piano regolatore regionale; i piani di sviluppo comunali; il piano regolatore particolareggiato etc. Nell'ordinamento italiano si possono richiamare, senza presunzione di esaustività, il Piano regolatore generale (PRG), il piano per l'edilizia economica e popolare (PEEP), i piani di settore; il piano territoriale di coordinamento (PTC), i piani territoriali paesistici (PTP), il piano di fabbricazione (PdF), il piano particolareggiato esecutivo (PPE), il piano esecutivo convenzionato (PEC), il piano per insediamenti produttivi (PIP), il piano di recupero del patrimonio edilizio esistente (PdR) e tutta una ulteriore serie di piani di dettaglio, cui la fantasia dei legislatori regionali ha dato nuova linfa. In Italia, tali strumenti prendono avvio anche prima della legge quadro del 17 agosto 1942, n.1150 (vd. i Piani paesistici che trovano la loro fonte nella legge n. 1497 del 1939). Una visione di insieme in sede dottrinale ha portato a riassumere il fenomeno quale passaggio in quattro tappe: a) da un approccio territoriale generale con la legge quadro 1150/1942, b) alle leggi di supporto (167/1962; 765/1967; 865/1971; 10/1977; 431/1985, 142/1990 ecc.) per settori specifici (edilizia popolare, standard, ecc.) sempre di respiro statale, c) alla visione più circoscritta nell'ambito territoriale delle singole Regioni dal 1972 così determinando nuove normative per i vari settori dell'edilizia, dell'urbanistica e del territorio per una gestione che dal governo centrale cede a quello a regionale, d) alla rivalutazione del ruolo delle città e delle peculiarità delle risorse che ineriscono all'area territoriale, in senso stretto, determinando una visione più capillare delle problematiche locali anche per contesti non considerati oculatamente in precedenza (es. tutela del paesaggio e della difesa dell'ambiente, ecc.). In virtù dei principi espressi in sede sovranazionale pertanto si apprende che la VAS, quale processo a supporto dell'attività di gestione del territorio e delle connesse scelte di programmazione e di pianificazione, prima che queste vengano tradotte in interventi diretti (autorizzazioni, concessioni ecc.), e non quale strumento di verifica a posteriori delle scelte di pianificazione , ben può radicarsi con lo strumento del piano o programma urbanistico-territoriale. Strumento mediante il quale le Autorità sono chiamate allo studio organico del territorio, della gestione delle sue risorse, all'obbligo preventivo di coinvolgimento di tutte le parti, mediante l'avvio delle procedure di informazione e di consultazione dell'opinione pubblica, in ordine a qualsiasi decisione futura che inerisca un qualunque assetto territoriale. L'obiettivo essenziale della direttiva VAS consiste nel sottoporre a valutazione ambientale, i piani e programmi che possono avere effetti significativi sull'ambiente, durante la loro elaborazione e prima della loro adozione. La VAS, al pari di qualsiasi atto programmatico e strategico richiede che siano esaminate le informazioni riguardanti gli aspetti pertinenti allo stato attuale dell'ambiente e alla sua evoluzione probabile, con o senza la previsione del piano o del programma di riferimento, nonché alla decisione della sua modifica o abrogazione. È in questo contesto che la direttiva (art. 2) prevede l'obbligo della VAS per qualsiasi piano e programma previsto da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative, elaborato e/o adottato da un'Autorità a livello nazionale, regionale o locale per essere approvato mediante una procedura legislativa dal Parlamento o dal Governo, financo per qualsiasi modifica dei medesimi piani o programmi già adottati. Su tale ultimo richiamo normativo, la Corte di giustizia, nell'ambito del decisum pregiudiziale, afferma che la VAS trova applicazione anche in caso di modifica o abrogazione, totale o parziale, dello strumento di pianificazione, nella specie, del piano regolatore preso a riferimento. Ciò in quanto anche il venir meno dell'efficacia, integrale o parziale, della strumentazione di pianificazione in essere o una sua modifica, può comportare la genesi o l'aumento degli effetti significativi sull'ambiente. Di conseguenza, una nuova VAS deve essere immediatamente apprestata prima di procedere a deliberare le varianti della pianificazione in essere. La configurazione empirica della VAS, che emerge anche dalle chiare indicazioni della Corte di Giustizia, consente di avvalorare la sua connotazione quale impianto giuridico sperimentale, tale da presentarsi particolarmente flessibile e da assorbire e inglobare le diversificate metodologie di impiego e di studio del territorio, ove accomunate allo scopo di assicurare un controllo ex ante, in itinere ed ex post dei possibili impatti ambientali. Sono sottoposti all'obbligo della VAS tutti quegli strumenti urbanistici muniti di ««indicatori di performancee», che verificano il livello di conseguimento degli obiettivi assunti e generati sulla città e sul territorio e che permettono di quantificare se, quando e quanto gli obiettivi di piano siano raggiunti. La connotazione duttile e plasmabile della VAS è invece assente in altri strumenti quali la VIA deputata a singoli progetti, in cui è richiesto un approccio più circoscritto ed unidirezionale. Nel caso di specie, peraltro, pur dinanzi alla rilevanza della trasformazione ed all’impatto sull’ambiente sono state omesse entrambe le valutazioni, e si è svolta solo ex post la mera verifica screening. I principi richiamati appaiono invero già noti alla giurisprudenza, sulla scorta della normativa invocata dagli stessi ricorrenti. E’ stato statuito ad esempio (cfr. CdS 5715\2012 e Tar Sardegna 810\2012) che già ex art. 4 e ss. d.lg. n. 152/2006, devono essere sottoposti a v.a.s. i piani e programmi che possano avere un impatto significativo sull'ambiente e sul patrimonio culturale; non è allora escluso che anche i piani attuativi possano essere sottoposti a v.a.s. in presenza di particolari presupposti da verificarsi in concreto, quali l'espressa volontà della p.a. a sottoporre a detta procedura tale tipo di piano; e all'attitudine del piano stesso a incidere sui profili ambientali delle aree interessate. Quindi, la normativa in materia di v.i.a. e di screening ambientale si applica anche agli strumenti urbanistici attuativi, purché sussistano tutte le condizioni ulteriori richieste dalla disciplina vigente; la normativa comunitaria e nazionale, infatti, prevede la necessità di un esame e un'autorizzazione preventiva di progetti che comportino un notevole impatto ambientale e, sotto tale profilo, è proprio la pianificazione attuativa ad individuare (ed autorizzare) con sufficiente grado di dettaglio - sul piano e qualitativo e quantitativo - gli insediamenti da realizzare. L’esame e la valutazione sul punto devono essere svolte e ciò va fatto in via preventiva. Nel caso de quo, invece, a fronte di un piano attuativo avente rilevante impatto ambientale - come emerso in sede istruttoria ed oggetto di considerazione rispetto ai precedenti motivi di gravame -, non è stata svolta alcuna vas e la verifica screening ha seguito l’approvazione definitiva del piano attuativo, in termini illgici e contraddittori rispetto ai principi sin qui richiamati. A monte, la stessa variante di puc, sia per le peculiarità critiche della zona sotto i profili ambientali, sia per il rilevante impatto derivante dal raddoppio delle volumetrie precedenti, avrebbe a priori ed a maggior ragione essere soggetto alla valutazione imposta dai principi sovranazionali invocati. Nel caso de quo nessun livello di piano è stato sottoposto alla necessaria valutazione, cosicchè neppure è possibile trarre spunti positivi sul punto per il puo dalla verifica fatta in ambito variante puc. Anche qui si conferma pertanto il trascinarsi di carenze negli approfondimenti, non certo recuperabili nella mera fase edilizia. Al riguardo, a conferma dell’illogicità del percorso seguito, è emerso (ma anche sul punto si è già svolto il relativo approfondimento) che è stato oggetto di verifica screening e modifica prescrittiva un puo non più coincidente con quanto in precedenza approvato a livello urbanistico. Da ciò la fondatezza delle censure dedotte sul punto. Infine, in termini più ampi ricostruttivi del sistema va evidenziato che le considerazioni ed i principi di origine sovranazionale hanno trovato di recente ulteriore conferma da parte della Corte Costituzionale (cfr. sent n. 93 del 2013), la quale ha evidenziato la rilevanza della normativa comunitaria in questione e la relativa prevalenza; in dettaglio è stato ad esempio ribadito che dalla citata dir. CE UE discende un preciso obbligo gravante su tutti gli Stati membri di assoggettare a VIA non solo i progetti indicati nell'allegato I, ma anche i progetti descritti nell'allegato II, qualora si rivelino idonei a generare un impatto ambientale importante, all'esito della procedura di c.d. Screening. Pertanto, la mancata considerazione dei predetti criteri della dir. CE UE pone la normativa regionale ovvero quella statale di dettaglio (come quelle invocate dalle difese resistenti) in evidente contrasto con le indicazioni comunitarie".

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