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CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. UNITE CIVILI, 30/7/2020 n.16457 A seguito di Ordinanza del TAR per il Lazio di declaratoria  di incompetenza territoriale  viene impugnato davanti al TAR per la Lombardia il provvedimento n. 6094 con cui sono state revocate le agevolazioni concesse alle due imprese ricorrenti. Dal provvedimento di revoca emerge  l’inammissibilità del progetto a seguito di indagini essendo le agevolazioni risultate troppo basse rispetto al costo totale del progetto. Per motivi di giurisdizione la situazione  viene posta all’attenzione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione civile. Ex Art. 59 della l. n. 69/ 2009. La pronuncia in commento afferma che la  controversia promossa per ottenere l’annullamento del provvedimento di revoca di un finanziamento pubblico concerne una posizione di diritto soggettivo ( devoluta quindi alla giurisdizione di un giudice ordinario) tutte le volte in cui l’amministrazione abbia inteso far valere la decadenza del beneficiario dal contributo in ragione della mancata osservanza, da parte sua, di obblighi al cui adempimento la legge o il provvedimento condizionano l’erogazione, mentre riguarda una posizione di interesse legittimo ( con conseguente devoluzione al giudice amministrativo ) allorché la mancata erogazione del finanziamento, pur oggetto di specifico provvedimento di attribuzione, sia dipesa dall’esercizio di poteri di autotutela dell’amministrazione, la quale abbia inteso annullare il provvedimento stesso per i vizi originari di legittimità o revocarlo per contrasto originario con l’interesse pubblico. Nel caso di specie la revoca dell’agevolazione è stata disposta in modo controverso. L’originaria erogazione non discendeva direttamente dalla legge, ma presupponeva il potere della pubblica amministrazione, attribuito dalla legge, di riconoscere l’agevolazione all’esito di una valutazione comparativa tra gli interessati e sulla base della formulazione di un’apposita graduatoria tra possibili beneficiari. Rispetto all’erogazione dell’agevolazione il soggetto finanziato vantava quindi una posizione di interesse legittimo e tale posizione conserva,  laddove l’agevolazione venga revocata per un vizio originario afferente al provvedimento di erogazione , afferente cioè ad una fase in cui la sua posizione era di interesse legittimo ( e non di diritto soggettivo). Viene pertanto dichiarata la giurisdizione del giudice amministrativo, dinanzi al quale rimette le parti.       "- il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo in materia di controversie riguardanti la concessione e la revoca di contributi e sovvenzioni pubbliche deve essere attuato sulla base del generale criterio di riparto fondato sulla natura della situazione soggettiva azionata, con la conseguenza che: - sussiste sempre la giurisdizione del giudice ordinario quando il finanziamento è riconosciuto direttamente dalla legge, mentre alla Pubblica Amministrazione è demandato soltanto il compito di verificare l’effettiva esistenza dei relativi presupposti senza procedere ad alcun apprezzamento discrezionale circa l’an, il quid, il quomodo dell’erogazione (cfr. Cass. Sez. Un. 7 gennaio 2013, n. 150); - qualora la controversia attenga alla fase di erogazione o di ripetizione del contributo sul presupposto di un addotto inadempimento del beneficiario alle condizioni statuite in sede di erogazione o dall’acclarato sviamento dei fondi acquisiti rispetto al programma finanziato, la giurisdizione spetta al giudice ordinario, anche se si faccia questione di atti formalmente intitolati come revoca, decadenza o risoluzione, purché essi si fondino sull'inadempimento alle obbligazioni assunte di fronte alla concessione del contributo. In tal caso, infatti, il privato è titolare di un diritto soggettivo perfetto, come tale tutelabile dinanzi al giudice ordinario, attenendo la controversia alla fase esecutiva del rapporto di sovvenzione e all'inadempimento degli obblighi cui è subordinato il concreto provvedimento di attribuzione (cfr. Cass. Sez. Un., ord. 25 gennaio 2013, n. 1776); - viceversa, è configurabile una situazione soggettiva d’interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo, solo ove la controversia riguardi una fase procedimentale precedente al provvedimento discrezionale attributivo del beneficio, oppure quando, a seguito della concessione del beneficio, il provvedimento sia stato annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse, ma non per inadempienze del beneficiario (Cass. Sez. Un. 24 gennaio 2013, n. 1710; Cons. Stato, Ad. Plen. 29 luglio 2013, n. 17)".     Il Consiglio di Stato, ad. plen., 29 luglio 2013, n. 17 ha definitivamente chiarito che "il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo deve essere attuato distinguendo le ipotesi in cui il contributo o la sovvenzione è riconosciuto direttamente dalla legge (e alla p.a. è demandato esclusivamente il controllo in ordine all'effettiva sussistenza dei presupposti puntualmente indicati dalla legge stessa ) da quelle in cui la legge attribuisce invece alla p.a. il potere di riconoscere l'ausilio previa valutazione comparativa degli interessi pubblici e privati in relazione all'interesse pubblico primario apprezzando discrezionalmente l'an, il quid ed il quomodo dell'erogazione", sicché il medesimo criterio di riparto (natura discrezionale o meno del provvedimento erogativo) deve essere utilizzato per individuare la giurisdizione anche nel caso in cui s'intenda contestare il provvedimento di revoca del contributo erogato.   Secondo il TAR Liguria, sezione II, 7 febbraio, 2014, n. 229  deve prevalere un’interpretazione sostanzialistica della lex specialis quando il bando non imponga a pena di esclusione di fornirne la prova documentale del possesso di un requisito e l’Amministrazione sia a conoscenza della sua effettiva sussistenza in capo all’impresa esclusa. Nel caso di specie, l'impresa ricorrente, beneficiaria di finanziamenti comunitari “obiettivo 2” dal 2003, avanzava nel 2009 domanda di assegnazione, ma la stessa veniva rigettata sulla base ad una formalistica interpretazione del rinnovato bando regionale. Secondo l’Ente convenuto, l’impresa non aveva fornito prova di essere un soggetto “tecnicamente organizzato”, in quanto mancava, fra i documenti allegati alla domanda di contributi, la prova della disponibilità della struttura operativa iscritta al registro delle imprese. Il TAR ha ritenuto il diniego opposto illegittimo per diverse ragioni. Nel rilevare come non esista, nel bando in questione, una norma che preveda l’espresso obbligo di fornire tale prova documentale a pena di esclusione, il Tribunale ricorda che, secondo un principio giurisprudenziale ormai consolidato, le cause poste a pena di esclusione devono essere chiare e puntuali e, nell’eventuale incertezza delle disposizioni del bando, deve essere fornita l’interpretazione meno restrittiva. L’Amministrazione aveva in ogni caso a propria disposizione, secondo il TAR, documenti atti a comprovare, fino a prova contraria, il possesso del requisito. Innanzi tutto, la risposta al preavviso di rigetto, che, in quanto dichiarazione sostitutiva di certificazione ex art. 46 del DPR n. 445/2000, deve ritenersi veritiera in assenza di prova contraria. Nessuna violazione di par condicio, poi, si pone in essere accogliendo un’integrazione documentale in sede di preavviso di rigetto, quando essa faccia seguito ad uno specifico rilievo dell’Amministrazione e non sia valsa a sanare la mancanza di un documento richiesto dal bando a pena di inammissibilità. Anche la visura camerale, in ogni caso, fornisce la prova della disponibilità della sede operativa iscritta nel registro fino a prova contraria;  sul punto, il TAR osserva come la sede risulti immutata rispetto all’epoca del precedente finanziamento e ricorda che l’iscrizione al registro delle imprese è una forma di pubblicità dichiarativa che tutela l’affidamento dei terzi in merito alla veridicità ed attualità dei dati pubblicizzati, sia in riferimento all’avvio, che con riguardo alle modifiche intervenute nella vita dell’impresa.

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