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Disapplicazione normativa interna Con la sentenza 25 giugno 2018, n. 9, l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato pone fine all'annosa querelle avente ad oggetto la nomina di manager stranieri a direttori dei poli museali italiani. La pronuncia consegue alla disapplicazione del diritto interno per contrasto con previsioni del TFUE. L’Adunanza Plenaria ha infatti ritenuto che l’art. 1, comma 1,  d.P.C.M. n. 174 del 1994 e l’art. 2, comma 1, d.P.R. n. 487 del 1994 risultano in contrasto con il par. 2 dell’art. 45 del TFUE laddove impediscono in assoluto ai cittadini di altri Stati membri dell’UE di assumere i posti dei livelli dirigenziali delle amministrazioni dello Stato e laddove non consentono una verifica in concreto circa la sussistenza o meno del prevalente esercizio di funzioni autoritative in relazione alla singola posizione dirigenziale, e non possono trovare quindi applicazione. Si ricorda, per completezza, che il citato art. 45 TFUE recita: “1. La libera circolazione dei lavoratori all'interno dell'Unione è assicurata. 2. Essa implica l'abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda l'impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro. 3. Fatte salve le limitazioni giustificate da motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica, essa importa il diritto: a) di rispondere a offerte di lavoro effettive; b) di spostarsi liberamente a tal fine nel territorio degli Stati membri; c) di prendere dimora in uno degli Stati membri al fine di svolgervi un'attività di lavoro, conformemente alle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative che disciplinano l'occupazione dei lavoratori nazionali; d) di rimanere, a condizioni che costituiranno l'oggetto di regolamenti stabiliti dalla Commissione, sul territorio di uno Stato membro, dopo aver occupato un impiego. 4. Le disposizioni del presente articolo non sono applicabili agli impieghi nella pubblica amministrazione".   L’art. 1, c. 1, del DPCM n. 174/1994, prevede che  “I posti delle amministrazioni pubbliche per l'accesso  ai  quali non puo' prescindersi dal possesso della cittadinanza italiana sono i seguenti:     a) i posti dei livelli dirigenziali delle  amministrazioni  dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, individuati ai sensi  dell'art. 6 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, nonche' i posti dei corrispondenti livelli delle altre pubbliche amministrazioni;     b) i posti con funzioni di vertice amministrativo delle strutture periferiche delle amministrazioni pubbliche  dello  Stato,  anche  ad ordinamento  autonomo,  degli  enti  pubblici  non  economici,  delle province e dei comuni nonche' delle regioni e della Banca d'Italia;     c) i posti dei magistrati ordinari,  amministrativi,  militari  e contabili, nonche' i posti degli avvocati e procuratori dello Stato; (( d) i posti dei ruoli civili e militari  della  Presidenza  del Consiglio dei  Ministri,  del  Ministero  degli  affari  esteri,  del Ministero dell'interno, del Ministero  di  grazia  e  giustizia,  del Ministero della difesa e del Ministero  delle  finanze  e  del  Corpo forestale dello  Stato,  eccettuati  i  posti  a  cui  si  accede  in applicazione dell'art. 16 della legge 28 febbraio 1987, n. 56”.   A sua volta l’art. 2, c. 1, DPR n. 487/1994, dispone, per quanto di interesse, che “Possono  accedere  agli   impieghi   civili   delle   pubbliche amministrazioni  i  soggetti  che  posseggono  i  seguenti  requisiti generali: 1) cittadinanza italiana. Tale requisito non e' richiesto  per  i soggetti appartenenti alla Unione europea, fatte salve  le  eccezioni di cui al  decreto  del  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri  7 febbraio 1994, n. 174”.   * Interessante pronunciamento della sentenza C.G.U.E. 21 dicembre 2016, C-272/15 che ha chiarito come il diritto dell'Unione garantisca la parità di trattamento soltanto tra Paesi ed entità dell'Unione stessa e non la parità di trattamento tra Paesi terzi, concludendo, pertanto, che "l'esame della decisione n. 377/2013 alla luce del principio della parità di trattamento non rivela alcun elemento che possa inficiare la validità di tale decisione, nella parte in cui la deroga temporanea, prevista dall’articolo 1 della decisione stessa, agli obblighi dettati dall’articolo 12, paragrafo 2 bis, e dall’articolo 16 della direttiva 2003/87, per quanto riguarda la restituzione delle quote di emissioni a effetto serra per i voli effettuati nel 2012 tra gli Stati membri dell’Unione e la maggior parte dei paesi terzi, non si applica, in particolare, ai voli da e verso gli aeroporti situati in Svizzera".   *   T.A.R. Lazio-Roma, Sez. III ter, 20 febbraio 2015, n. 2896 - Con sentenza del 4 settembre 2014, pronunciata nelle cause riunite da C 184/13 a C 187/13, C 194/13, C 195/13 e C 208/13, la Corte di Giustizia ha stabilito che “l’art. 101 TFUE, in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 3, TUE, deve essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale, quale quella controversa nei procedimenti principali, in forza della quale il prezzo dei servizi di autotrasporto delle merci per conto di terzi non può essere inferiore a costi minimi d’esercizio determinati da un organismo composto principalmente da rappresentanti degli operatori economici interessati”. Nella motivazione la Corte ha evidenziato che la riscontrata violazione – da parte dell’art. 83 bis d. lgs. n. 112/2008 - del principio di concorrenza, come tutelato dagli artt. 101 TFUE e 4 paragrafo 3 TUE, è nella fattispecie riconducibile: a) sia alla particolare composizione e modalità di funzionamento dell’Osservatorio e all’assenza di criteri legislativi idonei a garantire che i componenti dell’organo operino nel rispetto dell’interesse pubblico che la legge dichiara di perseguire di talchè “l’Osservatorio è da considerarsi un’associazione di imprese ai sensi dell’articolo 101 TFUE quando adotta decisioni che determinano i costi minimi d’esercizio per l’autotrasporto quali quelle in parola” (paragrafo 41 della motivazione); b) sia alla predeterminazione dei costi, operata dall’art. 83 bis d. l. n. 112/2008, che concretizza una illegittima “determinazione orizzontale di tariffe imposte” (paragrafo 43 della motivazione) in quanto non giustificata da un motivo legittimo; la disciplina nazionale, infatti, è inidonea ai fini del perseguimento della tutela della sicurezza stradale assunto dal legislatore nazionale quale dichiarata finalità della predeterminazione dei costi dell’autotrasporto. In relazione a tale ultimo profilo, la Corte ha, in particolare rilevato che: “43 … la determinazione di costi minimi d’esercizio, resi obbligatori da una normativa nazionale quale quella di cui trattasi nei procedimenti principali, impedendo alle imprese di fissare tariffe inferiori a tali costi, equivale alla determinazione orizzontale di tariffe minime imposte. 44 Per quanto attiene al pregiudizio agli scambi intracomunitari, basti ricordare che un’intesa che si estenda a tutto il territorio di uno Stato membro ha, per sua natura, l’effetto di consolidare la compartimentazione nazionale, ostacolando così l’integrazione economica voluta dal Trattato FUE (v. sentenze Commissione/Italia, EU:C:1998:303, punto 48, nonché Manfredi e a., da C 295/04 a C 298/04, EU:C:2006:461, punto 45). 45 Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre dichiarare che la determinazione dei costi minimi d’esercizio per l’autotrasporto, resa obbligatoria da una normativa nazionale quale quella controversa nei procedimenti principali, è idonea a restringere il gioco della concorrenza nel mercato interno. 46 Occorre infine, tuttavia, rilevare che la normativa controversa nei procedimenti principali che rende obbligatoria una decisione di un’associazione d’imprese avente per oggetto o per effetto di restringere la concorrenza o la libertà d’azione delle parti o di una di esse non ricade necessariamente sotto il divieto sancito dal combinato disposto dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE e dell’articolo 4, paragrafo 3, TUE. 47 Infatti, ai fini dell’applicazione di tali disposizioni a un caso di specie, occorre anzitutto tenere in considerazione il contesto globale nel quale la decisione controversa dell’associazione di imprese in questione è stata adottata o dispiega i suoi effetti e, in particolare, i suoi obiettivi. Occorre poi verificare se gli effetti restrittivi della concorrenza che ne derivano ineriscano al perseguimento di detti obiettivi (v. sentenze Wouters e a., C 309/99, EU:C:2002:98, punto 97, nonché Consiglio nazionale dei geologi e Autorità garante della concorrenza e del mercato, C 136/12, EU:C:2013:489, punto 53). 48 Ciò premesso, si deve verificare se le restrizioni così imposte dalle norme di cui trattasi nei procedimenti principali si limitino a quanto necessario al conseguimento di obiettivi legittimi (v., in tal senso, sentenze Meca Medina e Majcen/Commissione, C 519/04 P, EU:C:2006:492, punto 47, nonché Consiglio nazionale dei geologi e Autorità garante della concorrenza e del mercato, EU:C:2013:489, punto 54). 49 Tuttavia, senza che occorra valutare se la giurisprudenza citata ai punti 47 e 48 della presente sentenza si applichi a una normativa nazionale che prescrive un accordo orizzontale sui prezzi, è sufficiente dichiarare che la normativa di cui trattasi nei procedimenti principali non può, comunque, essere giustificata da un obiettivo legittimo. 50 A norma dell’articolo 83 bis, comma 4, del decreto legge n. 112/2008 modificato, la determinazione dei costi minimi d’esercizio mira a tutelare, in particolare, la sicurezza stradale. 51 Anche se non si può negare che la tutela della sicurezza stradale possa costituire un obiettivo legittimo, la determinazione dei costi minimi d’esercizio non risulta tuttavia idonea né direttamente né indirettamente a garantirne il conseguimento. 52 A tale riguardo va rilevato che la normativa di cui trattasi nei procedimenti principali si limita a prendere in considerazione, in maniera generica, la tutela della sicurezza stradale, senza stabilire alcun nesso tra i costi minimi d’esercizio e il rafforzamento della sicurezza stradale. 53 Inoltre, una normativa nazionale è idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo addotto solo se risponde realmente all’intento di raggiungerlo in modo coerente e sistematico (v. sentenze Hartlauer, C 169/07, EU:C:2009:141, punto 55, e Attanasio Group, C 384/08, EU:C:2010:133, punto 51). 54 Al riguardo occorre rilevare che, sebbene si reputi che il «costo minimo», ai sensi dell’articolo 83 bis del decreto legge n. 112/2008 modificato, rappresenti l’importo minimo oggettivamente determinato al di sotto del quale non sarebbe possibile adempiere gli obblighi imposti dalla normativa in materia di tutela della sicurezza stradale, la normativa di cui trattasi nei procedimenti principali prevede tuttavia delle deroghe. Così, in forza dell’articolo 83 bis, comma 4 quater, del decreto legge n. 112/2008 modificato, la determinazione del corrispettivo è rimessa all’autonomia negoziale delle parti ove le prestazioni di servizi di trasporto siano effettuate entro il limite di 100 chilometri giornalieri. Del pari, il comma 16 di detto articolo prevede la possibilità di derogare mediante accordi di settore al costo minimo fissato dall’Osservatorio.   55 Ad ogni buon conto, i provvedimenti in esame vanno al di là del necessario. Da un lato, non permettono al vettore di provare che esso, nonostante offra prezzi inferiori alle tariffe minime stabilite, si conformi pienamente alle disposizioni vigenti in materia di sicurezza (v., in tal senso, sentenze del 2 aprile 1998, Outokumpu, C 213/96, EU:C:1998:155, punto 39, nonché del 13 dicembre 2005, Marks & Spencer, C 446/03, EU:C:2005:763, punti da 54 a 56). 56 Dall’altro, esistono moltissime norme, comprese quelle del diritto dell’Unione, menzionate al punto 7 della presente sentenza, riguardanti specificamente la sicurezza stradale, che costituiscono misure più efficaci e meno restrittive, come le norme dell’Unione in materia di durata massima settimanale del lavoro, pause, riposi, lavoro notturno e controllo tecnico degli autoveicoli. La stretta osservanza di tali norme può garantire effettivamente il livello di sicurezza stradale adeguato. 57 Ne consegue che la determinazione dei costi minimi d’esercizio non può essere giustificata da un obiettivo legittimo”. La citata sentenza della Corte di Giustizia ha, pertanto, accertato il contrasto dell’art. 83 bis d. l. n. 112/2008 con l’art. 101 TFUE e la conseguente violazione del principio di concorrenza tutelato dalla disposizione comunitaria. Solo per esigenza di completezza, deve essere evidenziato che la disciplina dei costi del trasporto di merci su strada, in coerenza con le indicazioni provenienti dalla Corte di Giustizia, è stata liberalizzata per effetto della legge n. 190 del 2014. Questo Tribunale, pertanto, nel prendere doverosamente atto del contrasto tra norma interna e comunitaria, è obbligato, in virtù del principio di primazia del diritto comunitario, desumibile dal TFUE e dalla nostra Carta Costituzionale (artt. 11 e 117 Cost.), come interpretati dalla Corte Costituzionale (sentenze n. 168/1991, n. 113/1985 e n. 170/1984), a disapplicare l’art. 83 bis d.l. n. 112/2008 che costituisce la norma attributiva del potere in virtù del quale sono stati adottati gli atti impugnati nel presente giudizio. La constatata inapplicabilità dell’art. 83 bis d.l. n. 112/2008 induce il Tribunale a ritenere fondata la violazione del principio di concorrenza, di matrice comunitaria, prospettata nel ricorso. *   La CEDU con la sentenza, sez. II, 8 aprile 2014, n. 17120/09 (Dhahbi contro Italia), ha pronunciato un fondamentale principio ossia che i tribunali nazionali le cui decisioni non sono soggette a ricorso giurisdizionale di diritto interno, allorquando si rifiutano di cogliere una pregiudiziale eurounitaria sollevata da una delle parti in giudizio ai sensi dell'art. 267 TFUE sono tenuti a motivare il loro rifiuto dando conto dei motivi per cui ritengono che la questione non è pertinente o che la disposizione di diritto comunitario in questione è già stata interpretata dalla Corte di giustizia o che se la corretta applicazione del diritto comunitario non lascia spazio ad alcun ragionevole dubbio. *   Il Consiglio di Stato, sez. III, 27 marzo 2014, n. 1486 statuisce un principio molto importante per il nostro ordinamento ossia la possibilità per il Giudice (e, quindi, deve ritenersi in primis per l'Amministrazione) di disapplicare una norma di legge nazionale ove contrastante con il diritto eurounitario. La sentenza in disamina affronta la previsione dell'art. 1, commi 15 e 16 d.l. 6 luglio 2012 n. 95, cvt. in l. 7 agosto 2012 n. 135, che dispone la proroga ex lege delle convenzioni CONSIP in scadenza al 30.06.2013.   il Collegio reputa "che tale proroga contrasti con il diritto comunitario e, come correttamente affermato dalla sentenza impugnata, va disapplicato dal giudice nazionale secondo l’insegnamento della Corte di Giustizia e della Corte costituzionale. La normativa in parola viola, infatti, gli artt. 28 e 31, Dir 2004/18 CE, che precludono la possibilità di affidare contratti pubblici di servizi e forniture senza procedure di gara a evidenza pubblica. Il combinato disposto delle citate norme comunitarie impone agli Stati membri di aggiudicare gli appalti pubblici facendo ricorso vuoi alla procedura aperta o ristretta, vuoi, nelle circostanze specifiche espressamente previste all’art. 29 della direttiva 2004/18, al dialogo competitivo, vuoi ancora, nelle circostanze specifiche espressamente elencate agli artt. 30 e 31 della medesima direttiva, ad una procedura negoziata. L’aggiudicazione di appalti pubblici mediante altre procedure non è autorizzata dalla detta direttiva» (Corte di Giustizia CE, sez. III, 10 dicembre 2009, causa C-299/08, punto 29). E’ consentito di ricorrere ad una procedura negoziata, con o senza pubblicazione del bando di gara, solo nei casi espressamente individuati dagli artt. 30 e 31 della Direttiva. Nella fattispecie in questione il citato art. 31, comma 1, n. 4, lett. b) consente il rinnovo dell’affidamento ricorrendo alla procedura negoziata solo quando ricorrono le condizioni ivi indicate tra le quali rileva che la possibilità del rinnovo sia indicato «sin dall’avvio del confronto competitivo» e l’importo totale previsto per la prosecuzione sia individuato nel bando. Il rinnovo operato ex lege delle convenzioni della Consip si pone pertanto in violazione del diritto comunitario. Mutatis mutandis, si sta ripetendo la situazione di contrasto con l’ordinamento comunitario determinato dall’art. 6 , comma 2, ultimo periodo della legge 24 dicembre 1993, n. 537 che, ammettendo il rinnovo tacito dei contratti per la fornitura di beni e servizi della pubblica amministrazione delle pubbliche amministrazioni, determinò l’apertura di una procedura di infrazione nei confronti del nostro Paese, recata dal parere motivato della Commissione europea n.2003/2110 del 16 dicembre 2003, chiusasi a seguito dell’abrogazione della norma in parola ad opera dell’art. 23 della legge 18 aprile 2005". *   Importante decisione della CGUE 18.7.2013, C36/12, con la quale si chiariscono alcuni aspetti importanti in materia di obbligo di rinvio dei giudici nazionali alla Corte di Giustizia: - "qualora non esista alcun ricorso giurisdizionale avverso la decisione di un giudice nazionale, quest’ultimo è, in linea di principio, tenuto a rivolgersi alla Corte ai sensi dell’articolo 267, terzo comma, TFUE quando è chiamato a pronunciarsi su una questione di interpretazione del predetto Trattato (v. sentenza del 4 novembre 1997, Parfums Christian Dior, C‑337/95, Racc. pag. I‑6013, punto 26)" tale dovere sussiste e prescinde dal principio di ragionevole durata del processo; - i giudizi nazionali sfuggono a tale obbligo soltanto nel caso in cui la "questione di interpretazione del diritto dell’Unione sollevata dinanzi ad essi se questa non è rilevante, vale a dire nel caso in cui la sua soluzione, qualunque essa sia, non possa in alcun modo influire sull’esito della controversia (sentenza del 6 ottobre 1982, Cilfit e a., 283/81, Racc. pag. 3415, punto 10)"; - "la determinazione e la formulazione delle questioni da sottoporre alla Corte spettano al giudice nazionale e le parti in causa nel procedimento principale non possono modificarne il tenore (v. sentenze del 14 aprile 2011, Vlaamse Dierenartsenvereniging e Janssens, C‑42/10, C‑45/10 e C‑57/10, Racc. pag. I‑2975, punto 43, nonché del 21 dicembre 2011, Danske Svineproducenter, C‑316/10, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 32)"; - le eventuali norme nazionali, abbiano esse natura sostanziale o processuale, vanno disapplicate allorché contrastino con i succitati principi.

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