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L'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, 13 aprile 2015, n. 4 ha chiarito che in virtù del principio della domanda "non può ammettersi che in presenza di un atto illegittimo (causa petendi) per il quale sia stata proposta una domanda demolitoria (petitum), potrebbe non conseguirne l’effetto distruttivo dell’atto per valutazione o iniziativa ex officio del giudice. L’azione di annullamento si distingue, infatti, dalla domanda di risarcimento per gli elementi della domanda, in quanto nella prima la causa petendi è l’illegittimità, mentre nella seconda è l’illiceità del fatto; il petitum nella prima azione è l’annullamento degli atti o provvedimenti impugnati, mentre nella seconda è la condanna al risarcimento in forma generica o specifica. Inoltre il risarcimento è disposto su “ordine” del giudice ed è diretto a restaurare la legalità violata dell’ordinamento, costituendo una situazione quanto più possibile pari o equivalente (monetariamente) o il più possibile identica a quella che ci sarebbe stata in assenza del fatto illecito; l’annullamento invece è una restaurazione dell’ordine violato “ad opera” del giudice. Al massimo, il giudice può non già “modulare” la forma di tutela sostituendola a quella richiesta, ma determinare, in relazione ai motivi sollevati e riscontrati e all’interesse del ricorrente, la portata dell’annullamento, con formule ben note alla prassi giurisprudenziale, come l’annullamento parziale, o , oppure e così via. Se poi la domanda di annullamento, con il suo effetto tipico di eliminazione dell’atto impugnato dal mondo giuridico non dovesse soddisfare l’interesse del ricorrente e anzi dovesse lederlo (in realtà l’ordinanza di rimessione riconosce che non si verte in tale ipotesi), la pronuncia del giudice non potrebbe che essere di accertamento, ma nell’altro senso, cioè della sopravvenuta carenza di interesse del ricorrente che aveva proposto domanda di annullamento. Cosa diversa dall’accertamento del sopravvenuto difetto di interesse è, come proporrebbe invece l’ordinanza di rimessione, che sia il giudice ex officio a preferire la forma di tutela, facendo recedere l’interesse, a suo dire, indebolito del ricorrente, sulla base di altre valutazioni di interessi" Talché viene espresso il seguente principio di diritto: "Sulla base del principio della domanda che regola il processo amministrativo, il giudice amministrativo, ritenuta la fondatezza del ricorso, non può ex officio limitarsi a condannare l’amministrazione al risarcimento dei danni conseguenti agli atti illegittimi impugnati anziché procedere al loro annullamento, che abbia formato oggetto della domanda dell’istante ed in ordine al quale persista il suo interesse, ancorché la pronuncia possa recare gravi pregiudizi ai controinteressati, anche per il lungo tempo trascorso dall’adozione degli atti, e ad essa debba seguire il mero rinnovo, in tutto o in parte, della procedura esperita".

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