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T.A.R. Liguria, Sez. I, 20 dicembre 2018, n. 976 - 2) Vanno scrutinate preliminarmente le eccezioni di inammissibilità delle impugnative per difetto di legittimazione e di interesse ad agire. Tale indagine deve essere distintamente svolta con riguardo alle due categorie di soggetti che agiscono in giudizio: l’Associazione commercianti, pubblici esercizi, artigiani e attività di servizi Santa 2.0 e i singoli operatori commerciali che hanno proposto il ricorso collettivo. 2.1) Per quanto concerne il primo soggetto, la giurisprudenza amministrativa ha da tempo chiarito che le associazioni dei commercianti sono legittimate ad agire unicamente per la tutela di interessi collettivi riferibili alla categoria in modo complessivo e unitario, senza contrasto, neppure potenziale, fra gli iscritti (cfr., ex multis, T.A.R. Liguria, sez. II, 5 luglio 2007, n. 1312). L’Associazione ricorrente, pertanto, non è legittimata a impugnare gli atti relativi ad un intervento edilizio preordinato all’insediamento di una media struttura di vendita, poiché essa agisce per la tutela degli interessi di una parte dei commercianti, in contrasto con la controinteressata Coop Liguria che beneficia degli effetti di tali atti. Non rileva, ovviamente, che la controinteressata non sia iscritta all’Associazione ricorrente, anche perché le norme statutarie di quest’ultima (cfr. art. 4) consentono l’adesione di nuovi soggetti che esercitano attività commerciali nel territorio di Santa Margherita Ligure o zone limitrofe. 2.2) Si perviene a tale conclusione anche seguendo una diversa traiettoria argomentativa. Infatti, posto che lo scopo associativo non è di per sé sufficiente a rendere differenziato un interesse diffuso facente capo ad una parte della popolazione, la giurisprudenza riconosce la legittimazione ad agire delle associazioni che perseguano statutariamente in modo non occasionale obiettivi di protezione degli interessi dedotti in giudizio, purché abbiano un adeguato grado di stabilità e di rappresentatività (cfr., ex multis, T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. I, 9 maggio 2013, n. 565). Secondo i principi, spetta ovviamente alla parte ricorrente dimostrare la sussistenza dei requisiti che supportano la propria legittimazione ad agire. Nel caso in esame, difetta innanzitutto il requisito della stabilità, inteso quale apprezzabile protrazione nel tempo dell’attività del soggetto che agisce in giudizio, poiché la costituzione dell’Associazione Santa 2.0 ha preceduto di pochi mesi l’impugnata deliberazione consiliare. La ricorrente, in secondo luogo, non ha fornito informazioni circa il numero attuale di aderenti, rendendo così impossibile apprezzarne l’effettiva consistenza. L’unico dato certo, in tal senso, è il numero di 8 soci fondatori che emerge dall’atto costitutivo, inadeguato a dimostrare un sufficiente grado di rappresentatività dei commercianti attivi in un Comune di circa 9.000 abitanti “la cui economia si basa principalmente sul turismo, sul commercio e sui servizi accessori” (cfr. ricorso introduttivo, pag. 19). 2.3) Per tali ragioni, non sussiste la legittimazione ad agire in capo all’Associazione ricorrente. 2.4) I singoli operatori commerciali dichiarano di avere “legittimazione ed interesse ad agire in virtù del noto criterio della vicinitas”, in ragione dello stabile collegamento con l’area interessata dall’intervento edificatorio e nella qualità di soggetti economici asseritamente operanti nello stesso bacino di utenza rispetto a quello del soggetto proponente. Secondo tale prospettazione, quindi, le condizioni dell’azione sarebbero integrate dal requisito della vicinitas in senso sia edilizio sia commerciale. 2.5) Sotto il primo profilo, la legitimatio ad causam va esclusa in quanto i ricorrenti non hanno allegato di essere proprietari degli immobili nei quali esercitano la loro attività e, comunque, non hanno dimostrato che il contestato intervento edilizio possa pregiudicare concretamente le eventuali posizioni dominicali. Infatti, il mero criterio della vicinitas non può ex se radicare la legittimazione al ricorso, dovendo pur sempre il ricorrente fornire la prova concreta di pregiudizi specifici inferti dagli atti impugnati in termini di deprezzamento del valore del bene o della concreta compromissione del diritto alla salute e all’ambiente (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 2 febbraio 2016, n. 383). 2.6) Per quanto concerne la cosiddetta “vicinitas commerciale”, la prevalente giurisprudenza riconosce la legittimazione degli operatori commerciali a pretendere il rispetto, da parte dei potenziali concorrenti, di tutti i precetti normativi che regolano l’attività esercitata, inclusi quelli relativi alla regolarità urbanistica ed edilizia dei locali destinati al suo svolgimento. In linea di principio, quindi, non si può escludere che un operatore economico possa impugnare un titolo edilizio al solo fine di contrastare l’attività commerciale cui è preordinato l’intervento contestato. Per evitare che il giudizio amministrativo si trasformi in una sorta di giurisdizione oggettiva, però, non può ritenersi sufficiente la generica allegazione di un “interesse commerciale”, occorrendo anche la puntuale dimostrazione di un’interferenza tra i rispettivi “bacini di utenza”, nel senso che l’attività del soggetto che agisce in giudizio e quella del controinteressato che aspira ad insediare una nuova attività commerciale devono porsi, per vicinanza territoriale e per analogia dell’offerta, in rapporto di effettiva concorrenzialità (cfr., ex multis, T.A.R. Liguria, sez. I, 5 maggio 2016, n. 420). 2.7) Nel caso in esame, nessuno dei 65 operatori che agiscono collettivamente in giudizio ha allegato elementi concretamente atti a dimostrare la possibilità di interferenze non occasionali tra l’attività del futuro supermercato e quella dei propri esercizi commerciali. Essi, infatti, non hanno quantificato la distanza che separa tali esercizi dall’area di intervento né allegato altre circostanze idonee a dimostrare la sovrapponibilità delle rispettive fasce di clientela. Non è stata fornita, in sostanza, alcuna prova in ordine al rischio di effettiva concorrenzialità tra la media struttura di vendita in progetto e le attività commerciali dei ricorrenti che, nella maggior parte dei casi, sono del tutto estranee al settore della vendita di generi alimentari (figurano tra i ricorrenti un’agenzia di pompe funebri, una provveditoria marittima, laboratori orafi, ottici, una farmacia, negozi di elettronica, ecc.). 2.8) L’omessa dimostrazione dei requisiti necessari per incardinare l’interesse e la legittimazione ad agire comporta la declaratoria di inammissibilità del ricorso introduttivo e dei motivi aggiunti.   T.A.R. Liguria, Sez. I, 25 maggio 2017, n. 460 - A diverse conclusioni deve giungersi rispetto agli altri ricorrenti i quali, in quanto titolari di impianti limitrofi (come dimostrato dalla documentazione versata in atti sub n. 8 di parte ricorrente) hanno piena legittimazione nonché interesse alla proposizione del gravame, sia sulla scorta del noto criterio della vicinitas sia in relazione a profili di concorrenza trattandosi dell’identico settore commerciale interessato. Anche al riguardo la conclusione si fonda sulla prevalente giurisprudenza a mente della quale la c.d. vicinitas costituisce elemento legittimante l'impugnazione non solo del permesso di costruire, ma anche dell'autorizzazione all'apertura di una nuova attività commerciale di cui il permesso di costruire costituisce il presupposto, da parte di soggetti operanti nel medesimo bacino commerciale, stante l'esistenza di un rapporto di presupposizione giuridica tra il rilascio del titolo edilizio e di quello per l'esercizio di un'attività commercialmente rilevante. Invero, per l'impugnativa degli atti aventi ad oggetto l'esercizio di un’attività di rilievo commerciale, la vicinitas in senso spaziale deve essere trasferita nell'ambito della nozione di bacino commerciale, ossia dell'area in cui si dispiega l'influenza economica del concorrente ed è quindi idonea ad incidere sulle posizioni di mercato del controinteressato; in questo settore, la rilevanza della posizione del ricorrente si rapporta all'interesse ad un regolare svolgimento della concorrenza, tale da non ledere illegittimamente la posizione di un altro operatore nel proprio settore di mercato (cfr. ad es. Tar Lazio 7837\2016 e CdS 2324\2015).   Informative antimafia e autorizzazioni commerciali Consiglio di Stato, III, 14 febbraio 2017, n. 672 - Le comunicazioni antimafia riguardano anche le attività soggette a scia poiché l'art. 89, comma 2, lett. a) del d. lgs. n. 159 del 2011 prevede che l’interessato debba attestare, con apposita dichiarazione resa ai sensi dell’art. 38 del d.P.R. n. 445 del 2000, che nei propri confronti non sussistono le cause di divieto, sospensione o decadenza, previste dall’art. 67 del medesimo d. lgs. n. 159 del 2011, anche quando gli atti e i provvedimenti della pubblica amministrazione riguardino, tra l’altro, "attività private, sottoposte a regime autorizzatorio, che possono essere intraprese su segnalazione certificata di inizio attività da parte del privato alla pubblica amministrazione competente". L'informativa antimafia può essere emessa anche laddove la richiesta concerna l'emissione di una comunicazione antimafia e il Prefetto accerti la sussistenza di tentativi di infiltrazione di stampo mafioso. La valutazione prefettizia deve fondarsi su elementi gravi, precisi e concordanti che, alla stregua della logica del più probabile che non, consentano di ritenere razionalmente credibile il pericolo di infiltrazione mafiosa in base ad un complessivo, oggettivo e sempre sindacabile in sede giurisdizionale, apprezzamento dei fatti nel loro valore sintomatico.  L'informativa antimafia non è un provvedimento repressivo, con finalità sanzionatoria, ma una misura preventiva, che ha carattere inibitorio alla quale non può pertanto trovare applicazione il principio di irretroattività delle misure aventi carattere afflittivo, anche in sede amministrativa. I provvedimenti inibitori dell'attività commerciale hanno carattere vincolato, non residuando all’amministrazione richiedente la comunicazione antimafia  alcun margine di discrezionalità in seguito all’emissione dell’informativa antimafia, anche se resa ai sensi dell’art. 89-bis, c. 2, del d.lgs. n. 159/2011.   Le autorità amministrative, in seguito all’emissione dell’informativa, sono obbligate ad emettere immediatamente i conseguenti provvedimenti vincolati, senza poter concedere alcuno spatium temporis all’impresa colpita dall’informativa antimafia.   TAR Liguria, Sez. I, 4 novembre 2016, n. 1085 - Ai sensi dell'art. 67 del d.lgs. n. 159/2001 l'obbligo degli enti pubblici di richiedere la comunicazione antimafia non opera solo per il rilascio di titoli abilitativi o licenze commerciali, ma anche in relazione ai titoli conseguiti dai privati con il deposito di una scia o di un consimile atto privato. Se fosse altrimenti risulterebbe frustrato lo scopo della normativa in questione, che è quello di sottoporre l’economia ad un controllo penetrante, così da salvaguardarne i principi fondanti che il fenomeno mafioso mira invece a sovvertire. La richiesta di comunicazione antimafia può essere riscontrata con l’interdittiva di cui all’art. 89 bis del d.lgs. 159/2011, anche qualora sia antecedente all'entrata in vigore della norma che l'ha introdotta nell'ordinamento (art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 153/2014); ciò in quanto, il Legislatore,  ne ha espressamente disposto l'irretroattività, com'è sua facoltà alla stregua dell'art. 25 Cost., il quale esclude ogni possibilità di deroga soltanto in materia penale.  L'inibitoria delle attività commerciali da parte del Comune per sopravvenuta interdittiva antimafia in capo al soggetto titolare dell'autorizzazione configura l'esercizio di un potere vincolato vincolato ai sensi dell’art. 92 del d.lvo 159 del 2001, nella parte in cui la norma impone di far venir meno le autorizzazioni, gli assensi, i finanziamenti e gli altri benefici di cui potrebbe avere usufruito l’impresa soggetta alle infiltrazioni mafiose.   ***  Legittimazione ad agire in materia di autorizzazioni commerciali T.A.R. Liguria, Sez. I, 5 maggio 2016, n. 420 - La valorizzazione del principio di tutela della concorrenza, infatti, ha indotto talvolta la giurisprudenza amministrativa a negare che il mero timore di vedere diminuiti i livelli di vendita costituisca ragione sufficiente a qualificare l’interesse ad impedire l’apertura di un nuovo esercizio commerciale (T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, 26 giugno 2008, n. 850) ovvero ad affermare che la posizione derivante dalla preesistenza dell’attività commerciale non costituisca elemento sufficiente a differenziare la posizione della parte ricorrente e, pertanto, non risulti ex se meritevole di tutela, qualora non sia stato allegato un collegamento ulteriore con il titolo autorizzativo di cui si lamenta il rilascio (T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. II, 12 febbraio 2009, n. 138). Si registra anche, in una recente pronuncia del Consiglio di Stato (sez. IV, 25 gennaio 2013 n. 489), la drastica affermazione secondo cui, per impugnare un’autorizzazione commerciale, non è sufficiente la mera vicinitas, occorrendo l’allegazione di uno specifico e concreto pregiudizio (che, nella specie, non è avvenuta). In aderenza alle recenti pronunce di questa Sezione, non dubita il Collegio, invece, che vada riconosciuta la legittimazione di un operatore commerciale a pretendere il rispetto, da parte dei potenziali concorrenti, di tutti i precetti normativi che regolano l’attività esercitata, pertanto anche di quelli poste a presidio di interessi pubblici non specificamente correlati alla categoria cui essi appartengono, bensì riguardanti indistintamente tutti i consociati. Con la sentenza n. 363 del 25 febbraio 2013, infatti, si era avuto modo di affermare che, “poiché il legittimo esercizio di un’attività commerciale è subordinato, sia in sede di rilascio del titolo che durante lo svolgimento dell’attività, alla disponibilità giuridica e alla regolarità urbanistica ed edilizia dei locali, è possibile ammettere che un operatore economico impugni un titolo edilizio avendo come sua esclusiva finalità quella di perseguire un interesse commerciale, essendo l’iniziativa strumentale (attraverso la rimozione del titolo edilizio) alla caducazione del titolo commerciale di cui il primo costituisce presupposto”. Va richiamata, in tal senso, anche la sentenza n. 228 del 25 febbraio 2015 che ha riconosciuto la legittimazione dei titolari di alcune attività di commercio al dettaglio ad impugnare le autorizzazioni all’apertura di una media struttura di vendita e connessa variante al permesso di costruire, poiché i ricorrenti, “quali titolari di analoghe situazioni giuridiche attive, operanti in zona in potenziale concorrenza con la nuova struttura, hanno la piena legittimazione a contestare la legittimità delle scelte amministrative che mutano la zona, oltreché l’interesse concreto a contestare la legittimità di iniziative edilizie e commerciali limitrofe alla propria e, conseguentemente, il rispetto delle regole dettate a livello urbanistico ed edilizio per l’area in cui si trovano i propri interessi giuridicamente rilevanti ed i propri immobili”. Ancor più recentemente, con la sentenza n. 744 del 17 settembre 2015, questa Sezione ha precisato che va riconosciuta, in capo ad un operatore commerciale, la legittimazione a pretendere che siano rispettati tutti i parametri normativi relativi al nuovo insediamento commerciale concorrente, poiché gli atti ampliativi rilasciati in favore di quest’ultimo darebbero vita, qualora illegittimi, ad uno sviamento di clientela che, oltre a pregiudicare l’interesse del privato, “si traduce anche a danno dell’interesse pubblico relativo alla tutela della leale concorrenza”. Sulla base di tali principi, dai quali il Collegio non ravvisa ragioni per doversi discostare, non potrebbe ritenersi precluso l’esame, nel merito, della spettanza del bene della vita cui aspirano sostanzialmente i ricorrenti (vale a dire l’inibizione o la cessazione dell’attività commerciale concorrente) né la possibilità che l’illegittimità degli atti urbanistico-edilizi a monte sia fatta valere come vizio delle autorizzazioni commerciali rilasciate alle controinteressate. Il requisito della vicinitas, perciò, deve ritenersi sufficiente a fondare l’interesse ad impugnare le autorizzazioni commerciali rilasciate ad operatori concorrenti, mentre l’inammissibilità, per carenza di legittimazione, dell’azione diretta all’annullamento dei titoli urbanistico-edilizi lascia comunque integra la possibilità che i relativi vizi di legittimità siano esaminati al fine di sindacare la legittimità delle autorizzazioni suddette (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, sez. II ter, 13 marzo 2014, n. 2804). La sussistenza del requisito in parola implica, peraltro, la dimostrazione di un’interferenza tra i rispettivi “bacini di utenza”, nel senso che l’attività del soggetto che agisce in giudizio e quella dei controinteressati devono porsi, per vicinanza territoriale e analogia dell’offerta commerciale, in rapporto di effettiva concorrenzialità. Nel caso in esame, la parte ricorrente non ha fornito elementi di dettaglio sulla scorta dei quali sia possibile valutare l’impatto concorrenziale del nuovo insediamento sulle loro attività; essa si è limitata ad evocare il concetto di vicinitas nonché la posizione di debolezza sul mercato correlata alle ridotte dimensioni dei propri esercizi, ma non ha concretamente individuato le lesioni potenziali (o reali, giacché il nuovo centro commerciale ha concretamente avviato la propria attività nelle more del giudizio) provocate dall’attività che presume concorrente. La situazione di fatto relativa ad ognuno dei ricorrenti, invece, è stata dettagliatamente ricostruita dalla difesa delle Società controinteressate: - la Biemme s.n.c. è titolare di una macelleria che dista 1.830 metri dal nuovo centro commerciale; - la signora Chiara Cavallone gestisce una rosticceria sita a 2.150 metri da tale insediamento; - Market s.n.c. è titolare di una media struttura di vendita, ove sono commercializzati generi alimentari e di drogheria, ma ha una superficie di soli 160 mq ed è ubicata a 1.830 metri di distanza dal centro commerciale. Alla luce di tali elementi, non contestati dalla controparte, va escluso che l’attività del nuovo centro commerciale interferisca nel bacino di utenza dei ricorrenti e, pertanto, la sussistenza dello stabile collegamento materiale richiesto per concretizzare il requisito della vicinitas. Le rispettive attività si svolgono, infatti, ad una distanza assai considerevole e, per la dimensione degli esercizi nonché (in parte) per la tipologia dei prodotti commercializzati, sono destinate ad attrarre fasce di clientela non sovrapponibili, se non in modo occasionale e sporadico. Non si può negare, a tale riguardo, il grande richiamo esercitato sui consumatori dai centri commerciali che, normalmente, sono in grado di produrre un impatto economico su un’area piuttosto ampia, non ristretta ai commercianti già insediati nelle sue immediate prossimità e, almeno nel caso dei piccoli Comuni, neppure ai confini dell’Ente territoriale. Tuttavia, l’esigenza di evitare slittamenti verso una giurisdizione di tipo obiettivo induce ad escludere, in linea con la giurisprudenza formatasi in materia, la titolarità di un interesse oppositivo laddove non siano state fornite prove circa la diretta e immediata interferenza che la nuova attività commerciale può esercitare (o esercita) nei confronti di quelle già insediate nei Comuni viciniori (Cons. Stato, sez. V, 13 marzo 2014, n. 1263). Nel caso di specie, si ribadisce, non è stata fornita la necessaria dimostrazione in ordine alla concreta interferenza tra i bacini di utenza e tale omissione comporta la declaratoria di inammissibilità del ricorso introduttivo e dei motivi aggiunti.  *** Misure cautelari in materia di commercio T.A.R. Liguria, Sez. I, Ord. 10 marzo 2016, n. 84 - L'allegato interesse di natura anticoncorrenziale, peraltro espresso in maniera generica, non è idoneo ad integrare il requisito del pregiudizio grave e irreparabile    *** Orari di apertura  T.A.R. Liguria, Sez. II, 7 ottobre 2014, n. 1424 - Il tribunale rileva che, in effetti, le norme denunciate con la censura in esame hanno apportato una progressiva liberalizzazione nei tempi e nelle modalità di apertura delle attività commerciali, così da favorire tali imprese che differenti vicende hanno reso meno profittevoli; tuttavia permangono i limiti normativi che tendono a conformare l’attività delle imprese di che si tratta in relazione a differenti interessi, quali sono quelli della salute umana e dell’ambiente urbano; in tal senso l’atto impugnato ha delineato in maniera convincente che le relazione dei carabinieri e gli esposti di alcuni cittadini hanno descritto una situazione di contrasto tra l’attività della società ricorrente ed i valori citati; le macchine per la distribuzione automatica dei cibi e delle bevande commercializzati dall’interessata sono divenute, sicuramente al di là del volere di quest’ultima, un centro di aggregazione di giovani che pongono poi in essere dei comportamenti che nuocciono al sonno ed alla tranquillità degli abitanti e dei turisti che trascorrono le vacanze a Sestri Levante; tale circostanza di fatto non ha trovato un’adeguata confutazione nel ricorso, che si limita a rilevare l’incongruità desumibile tra alcuni spunti contenuti nell’ordinanza e l’ipotesi secondo cui gli schiamazzi e i danneggiamenti occorsi sarebbero ricollegabili all’occasionale frequentazione delle macchinette distributrici di alimenti e bevande; in altre parole manca nel ricorso l’idonea contestazione della tesi sostenuta dall’amministrazione secondo cui quel che arreca pregiudizio al sonno ed alla salute delle persone, così come all’ambiente urbano, non è l’occasionale acquisto notturno dalle macchine distributrici, quanto l’abitudine contratta da taluni di radunarsi in prossimità del centro di vendita nella ore centrali della notte, con le conseguenze negative evidenziate nell’ordinanza; tutto ciò premesso il tribunale condivide l’assunto contenuto nell’atto secondo cui spetta all’amministrazione la comparazione tra la libertà economica che postula la libertà negli orari di apertura delle imprese esercenti il commercio e la tutela del riposo delle persone e dell’ambiente urbano;   l’esito di tali apprezzamento non è poi oggetto della cognizione giudiziale, dovendosi questa arrestare alla considerazione dell’esistenza di una congrua motivazione al riguardo.   Testo del d.lgs. 26.03.2012, n. 59 recante "Attuazione  della  direttiva  2006/123/CE  relativa  ai servizi nel mercato interno" (cosiddetta direttiva Bolkestein) coordinato con il d.lgs. 06.08.2012 n° 147 , (G.U. 30.08.2012, n. 202) recante disposizioni integrative e correttive. Fonte www.normattiva.it

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